Almeno 65 scuole da chiudere e taglio di 1.601 posti di lavoro a Lecce

16 Ottobre 2008 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Questi sarebbero gli effetti sulle scuole della provincia di Lecce di un recente decreto del governo Berlusconi. I dati esposti in una conferenza stampa, tenuta il 15 ottobre a Bari, da Antonio Maniglio, presidente del Gruppo consiliare del Partito Democratico alla Regione Puglia. In base al decreto, le scuole da chiudere in tutta Italia saranno 4.000. Dilaga la protesta. Molte le manifestazioni per contrastare la “controriforma” del ministro Gelmini. Assemblee in molte università: prof e studenti chiedono il blocco della didattica. Il 30 ottobre sciopero generale di tutte le sigle sindacali. (p.g.)

In un decreto legge del 7 ottobre u.s. (n. 154/08) avente per oggetto “Disposizione per il contenimento della spesa sanitaria” il Governo ha trovato modo di inserire un articolo sul ridimensionamento della… scuola pubblica.

Ma forse, trattandosi di tagli all’occupazione e di colpi di mannaia sull’organizzazione scolastica territoriale, l’apporto della sanità, per sanare le ferite, è finanche appropriato.

Con tale decreto si obbligano le regioni ad approvare entro il 15 novembre p.v. gli atti operativi conseguenti all’approvazione della legge 133/2008.

E quindi: meno ore di studio, meno insegnanti di sostegno per i disabili, formazione impoverita con il maestro unico, classi più numerose.

Accanto a questa aggressione alla funzione di una scuola moderna e universale c’è il contorno: taglio dei docenti e del personale tecnico, accorpamenti e chiusure di istituti scolastici con meno di 300 alunni.

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E qui non c’è nulla che non stia scritto negli atti ufficiali.

Nel triennio 2009-2011 saranno cancellati 87.400 posti di lavoro di insegnanti e 44.500 posti di personale tecnico (pagg. 15-16 del piano programmatico del Ministero dell’Istruzione del 29 settembre u.s.).

La ricaduta in provincia di Lecce di tali decisioni è la seguente: -975 docenti, -634 non docenti.

E’ evidente che in tal modo si indebolisce l’offerta formativa del sistema scolastico e si rimandano a casa tanti laureati, che, punto dopo punto, stanno cercando da anni di entrare nel mondo della scuola.

Ma non basta. Il secondo capitolo riguarda l’accorpamento, mediante chiusura o trasferimento, degli istituti scolastici con meno di 300 alunni.

Questo significa che in provincia di Lecce, a parte gli accorpamenti funzionali, potrebbero essere chiuse almeno 67 scuole o, come pudicamente vengono definite dal ministro Gelmini, “punti di erogazione del servizio”.

I cittadini, e soprattutto le famiglie salentine, vogliono sapere in quali Comuni si trovano le scuole destinate a chiudere.

E che di chiusura si tratta, si rileva dalla lettura della legge 133/2008, art. 64, che testualmente prevede la possibilità che “nel caso di chiusura o accorpamento degli istituti scolastici aventi sede nei piccoli comuni, lo Stato, le regioni e gli enti locali possono prevedere specifiche misure finalizzate alla riduzione del disagio degli utenti".

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Traduciamo in italiano il burocratese: i tantissimi piccoli Comuni del Salento, quando le scuole saranno chiuse, dovranno caricarsi le spese di trasporto per alunni che diventano precocemente pendolari e che saranno costretti a spostarsi in Comuni diversi da quello di residenza.

Questo è il succo della scellerata scelta del governo Berlusoni. E forse gli stessi parlamentari salentini del centrodestra, invece di fare i difensori d’ufficio di scelte che penalizzano il Sud, dovrebbero essere consapevoli di aver votato una norma indecente e tentare di metterci una pezza.

La Regione Puglia, e questa è la nostra risposta, non starà ferma.

Impugneremo insieme alle altre regioni il decreto 154/08 di fronte alla Corte Costituzionale, perché contrario alle norme che assegnano la competenza in materia di riordino scolastico alle Regioni e alle Autonomie locali.

E fa sorridere naturalmente che in periodi di federalismo spinto, quale quello attuale, l’organizzazione della rete scolastica di Lecce debba essere decisa a Roma. Ma questa è tutt’altra storia.


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Pantaleo Gianfreda