Il Censis fotografa la crisi. “L’Italia resiste, ma non crea”.

5 Dicembre 2009 Off Di Pantaleo Gianfreda
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In "apnea" aspettando la fine della crisi. Ma lo "schema italiano" regge la recessione. Il 43° Rapporto Censis sul Paese disegna un popolo fragile, che ha retto alla recessione replicando schemi collaudati. Il ruolo delle piccole imprese. I nuovi stili di vita degli italiani. De Rita: "Occorre costruire un soggetto collettivo"

Ed ecco dunque l'annuale "risonanza magnetica" del Censis sul corpo della società italiana. Tra famiglie stressate da una faticosa resistenza alla crisi e le "gocce di sudore" dell'immenso arcipelago di microimprese, eroine di un capitalismo molecolare destinato ancora una volta a "tirare la carretta". In questo rapporto, il numero 43, l'analisi minuziosa dei "filamenti" che compongono il tessuto sociale, parte da un'osservazione fondamentale: la crisi globale ha fatto emergere l'inclinazione degli italiani a replicare schemi reattivi rispetto ad insidie esterne, come la congiuntura economica.

La risposta alla crisi. Una coazione a ripetere di schemi culturali collaudati obbligatoria. Se ne è avuto conferma nell'ultimo anno di crisi, annunciata come epocale, un uragano che ci si aspettava travolgesse la fragile e poco competitiva economia italiana. E invece che quel "non saremo mai più come prima", insinuato nella coscienze collettive, sembra ora essersi trasformato in "siamo sempre gli stessi". Certo, appiattiti sul presente, ma meno depressi di quanto si potesse immaginare.

Uno schema che funziona. E' successo che il modello su cui silenziosamente s'incardina la società italiana ha funzionato ancora una volta, replicando se stesso. Alla crisi si è resistito perché:

1) A quanto pare, non si è esasperato il primato della finanza sull'economia reale.

2) Perché il settore bancario, secondo il Censis, ha mantenuto saldo il rapporto con il territorio.

3) Perché il sistema economico continua ad essere caratterizzato da una molecolare presenza di piccole imprese.

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4) Perché in Italia c'è un mercato del lavoro, per metà assai elastico, ma nello stesso tempo protetto.

5) Perché imprese e lavoro sono tenacemente protetti dai patrimoni delle famiglie, fra risparmi e proprietà immobiliari.

6) Perché tutti i soggetti della società vivono integrati al territorio.

Condotta adattivo-reattiva. Dunque, se la "nottata" sembra passata, lo si deve all'intrecciarsi quotidiano di queste condizioni. E' stato messo in atto un comportamento che il Censis definisce "adattivo-reattivo", in funzione da tempo, già sperimentato durante la crisi del 2001, ma che sembra seguire una traccia cominciata ad emergere fin dagli anni '70, con l'entrata in scena e il progressivo affermarsi delle piccole imprese, del sommerso della "famiglia s.p.a".

I rischi. Ma di fronte al "paesone" italiano che comunque esiste e funziona, in una dimensione replicante, rimane il rischio insito in ogni società dove funziona continuamente solo una sommersa e inconsapevole propensione collettiva a restare prigionieri dell'esistente, sia pure fatto di agiato adattamento, senza spinte innovative. I rischi che si corrono, dice il Censis, sono legati a diversi fattori. Eccone solo alcuni.

1) La finanza italiana non ha smaltito del tutto la dimensione tossica che l'ha messa in difficoltà.

2) L'ansia di chiudere bilanci a breve, induce ancora molti a "fare soldi con i soldi".

3) La stessa economia reale resta comunque esposta alle turbolenze dei mercati internazionali.

"In apnea". Le vibrazioni che accompagneranno i prossimi mesi non sono tutte in linea con l'ottimismo suscitato da un modello che ha finora funzionato. Si vive da mesi in apnea, in orgogliosa resistenza alle pressioni degli eventi. Ma se nei primi mesi del 2010 i mercati mondiali non dovessero riprendere; se non riprendessero forza le filiere essenziali dell'industria; se l'economia non riuscisse a camminare con le proprie gambe, senza l'appoggio alle economie trainanti, se tutto questo non accadesse, l'ottimismo crollerebbe e il ricorso all'adattamento non servirebbe più.

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Tre processi in atto. Il sistema, insomma, continua a ruminare giorno per giorno il suo sviluppo "incrementale", tuttavia l'analisi del Censis individua in controluce tre grandi processi.

1) Una dolorosa, complicata ristrutturazione del terziario, la prima nella storia dell'Italia moderna.

2) La tendenza ad attribuire la leadership dello sviluppo sulle spalle delle imprese.

3) Lo spostamento, nella gestione degli interessi reali, dal primato dell'opinione socio-politica, alla loro difesa diretta.

Agire senza rappresentanza. Il Censis approfondisce molto il terzo di questi processi. C'è un silenzioso lavorìo che accompagna una nuova enfatizzazione degli interessi particolari, volto a cancellare ogni loro rappresentazione sul piano dell'opinione collettiva. Siamo in una società dove si acquisisce potere prescindendo dal primato dell'opinione, che sembra invece essere ormai l'unico mondo frequentato da leaders politici, costretti ad esprimersi più come opinionisti che come portatori di interessi concreti.

Le tre borghesie. Nell'attuale situazione in Italia non esiste nessun aggregato sociale capace di coagulare un pensiero collettivo, "egemone". I tre blocchi culturali, cui si è abbeverato lo sviluppo italiano negli ultimi 150 anni, non sono spendibili più per mobilitazioni sociali o politiche. Essi sono:

1) La cultura risorgimentale, che ha fatto l'Italia e gli italiani ed ha tentato di diffondere il primato della legalità, i sentimenti patriottici, i valori della persona, la divisione costituzionale dei poteri dello Stato.

2) La piccola borghesia riformista, aggregata nelle tre grandi forze politiche del dopoguerra – cattolica, comunista e socialista – ha fatto sì che i bisogni della gente si esaurissero sempre meno nella sfera delle responsabilità individuali. Una cultura che ha posto l'accento sulle esigenze collettive e i bisogni sociali.

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3) La soggettività individuale, alimentata da spirito competitivo, che si trova più a suo agio nelle acque del libero mercato.

L'attenzione sul "dopo". Il Censis conclude la sua analisi ammettendo che non è facile avanzare interpretazioni e formulare sintesi rispetto a ciò che sta avvenendo. Non è facile definire nuovi obiettivi da perseguire, non è facile dire cosa succederà "dopo". C'è chi immagina di tornare a Marx; chi fugge in avanti e punta al post-ideologico, che lo spinge verso il fondamentalismo dei valori, o della scienza o ancora dell'ecologia.

L'insensatezza diffusa. Insomma, segnala il Censis, molte delle dialettiche in voga oggi in Italia (da quelle sul rapporto tra etica ed economia, a quelle tra religione e bioscienze) dimostrano come spesso si pensi di sfuggire all'insensatezza diffusa attraverso dinamiche che restano comunque chiuse in una nicchia.

Ma il modello resiste. E' vero, dunque: chi si replica non crea, riafferma il Censis nel suo rapporto 2009. Può sicuramente reagire bene alla crisi, ma è difficile che possa instaurare un nuovo ciclo. Detto questo, tuttavia, il destino di questo sistema – forse senza che esso se ne renda conto – è quello di costruire costantemente il "dopo", in uno scambio continuo e in una costante combinazione fra adattamento e sviluppo incrementale. Difendendo le sfide nella ristrutturazione del terziario; nel protagonismo delle imprese; nell'agire direttamente sugli interessi reali. Sfide – conclude il Censis – forse poco emozionanti, rispetto ai richiami fondamentalisti, ma sfide storiche, imposte qui ed ora.


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Pantaleo Gianfreda