Due debolezze a confronto.

25 Settembre 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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L'analisi di Giuseppe D’Avanzo sull’ulteriore capitolo dello scontro Fini-Berlusconi.

Immaginiamo che noi si abbia un nemico che ci vuole vedere morti. Immaginiamo che questo nemico nella sua vita non sia mai andato troppo per il sottile nella difesa dei suoi interessi o in oblique pratiche che gli consentono di accrescere la sua fortuna.

Immaginiamo addirittura che questo nostro nemico abbia dato nel tempo lampanti e documentatissime prove di saper corrompere capi di governo, ministri, giudici, parlamentari. Immaginiamo che anche in quest'occasione – la partita è mortale: o la vince o perde tutto – non rinunci ai suoi metodi spicci e convinca con buoni argomenti fruscianti o con qualche efficace minaccia un governo o un ministro di uno staterello off-shore a convocare una conferenza stampa per dire Tal dei Tali è il beneficiario di un trust nel nostro Paese. Immaginiamo che Tal dei Tali non sa niente di quel trust, come farà a difendersi? Quali leve potrà muovere per tirarsi fuori dai guai? La sua disarmata parola contro il ministro che magari ha firmato e autenticato un documento gonfio di menzogne. In questo caso, Tal dei Tali lo possiamo considerare colpevole e quindi fritto, morto, fottuto?

Immaginiamo ora la deliziosa gioia del Corruttore, chiamiamolo così, se questo schema dovesse prevalere lasciando tutti confusi, senza parole, incapaci di vederne la trama e la pericolosità. Per il Corruttore il gioco si fa molto facile. L'operazione si potrà ripetere per tutti i suoi nemici o semplicemente contro chi gli sta sul gozzo. Che so, l'avversario politico, l'alleato dubbioso, il direttore di giornali disobbediente, il banchiere insofferente, l'anchorman non conforme. Un'accusa: quello, Pinco, ha i soldi all'estero. Un frusciante argomento o un'intimidazione tosta convince un ministro dello staterello. Zac, il bersaglio è affondato.

Chi, oggi, si sbraccia gridando al "Verdetto", alla "Mazzata", al "Caso chiuso" invocando "Ora Fini si dimetta", "Ora chieda scusa" conferma che l'Italia è un Paese gobbo. Accade che un ministro di uno staterello dei Caraibi, Santa Lucia, dica: "Sì, quel documento l'ho scritto io" e manco fossero le tavole del Talmud quel che c'è scritto in quel foglio di carta diventa la Verità indiscutibile nel cerchio rumoroso e patetico dei sempre ostinatissimi "garantisti" di casa nostra e in una platea di osservatori e critici che si lascia confondere dallo strepito e dimentica di chiedersi che cosa accade? Che cosa ci è stato detto? Chi lo ha detto e come e perché?

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Il perché è decisivo in questo caso: non si è mai visto il governo di un paradiso fiscale convocare una conferenza stampa per svelare il beneficiario di un trust. Che cosa lo convinto a questo passo?

Santa Lucia è un paradiso fiscale. Come tutti i centri off-shore, la riservatezza a tutela dei clienti è il vero valore aggiunto dei suoi servizi finanziari. Comunicare le generalità di un titolare di società è come se una banca svizzera pubblicasse spensieratamente i nomi dei titolari dei suoi conti correnti criptati. Potete crederlo? E allora perché dobbiamo credere senza un dubbio, senza un'esitazione, senza porre una domanda, che quest'allegro disvelamento possa avvenire in un paradiso fiscale del Caraibi? Per di più farlo – svelare i beneficiari di una società – è esplicitamente vietato dalla legge in quel Paese. "In Santa Lucia divulgare dati personali di un cliente senza la sua autorizzazione è un reato punibile con multa o prigione. Gli affari di una società off-shore possono essere rivelati solo quando il suo titolare è stato condannato nel suo Paese d'origine per un reato criminale valido anche per il sistema legislativo di St. Lucia". (www. stluciafinance. com/offshore-advantages. html, redatto dallo studio legale Glitzenhirn Augustin & Co. law practice).

Giancarlo Tulliani non è stato condannato in Italia. Per quel che se ne sa non è stato mai nemmeno indagato. Se avesse rispettato la legge del suo Stato, il ministro di Giustizia Francis non avrebbe potuto fare né la conferenza stampa né il nome di Tulliani. Se si è deciso al passo, deve averlo fatto in stato di costrizione. Qual era questo stato di necessità?

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Lorenzo Rudolph Francis accenna alle improvvise difficoltà che il suo governo ha dovuto fronteggiare in questo lasso di tempo. Dice: "L'attenzione dei giornalisti italiani e – pare – la presenza dei servizi segreti stava danneggiando la reputazione della piccola isola che vive della sua riservatezza sulle vicende fiscali dei clienti".

Giornalisti e servizi segreti, dunque. I giornalisti italiani (tre o quattro) sono arrivati a Santa Lucia soltanto negli ultimi giorni. A chi potevano far paura, poi? Qualche timore autentico devono averlo provocato gli agenti dei servizi segreti indicati dal ministro. Di quali servizi segreti? Ce n'erano di italiani? O anche di altri Paesi? E in questo caso, di quali Paesi? Chi hanno contattato? Su chi e con quali argomenti hanno mosso la loro pressione?

Il ministro salva la faccia ripetendo che con quell'andirivieni di spioni aggressivi c'era "il rischio di danneggiare l'economia dell'isola". Si è così convinto a scrivere al primo ministro quella letterina riservata poi finita nelle redazioni di due giornali in un Paese, Santo Domingo, a mille miglia di distanza. Questo si comprende perché pubblicata a Santa Lucia quella nota avrebbe consegnato il cronista alla galera. "Non so come la lettera che ho scritto al primo ministro sia finita nelle mani dei giornalisti che l'hanno pubblicata", dice infine il ministro. E' illegittimo credere che l'affare possa anche essere andato in un altro modo? Così: il governo pressato non dagli agenti segreti – mero strumento operativo – ma con ogni evidenza dai governi di quei servizi segreti abbia deciso di uscire dall'angolo concordando con quei Paesi, con quei governi la redazione del "confidencial memo" (con contenuti falsi, ma non importa), la "fuga" del documento verso le redazioni, la conferenza stampa del ministro per confermarne l'autenticità. Questo circuito tossico può davvero farci credere che il caso sia chiuso, che si possa credere alla scena organizzata ai Caraibi?

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Questo affare è ancora tutto da scrivere. Anche se le ugole ubbidienti del Sovrano, i Brighella che ne dirigono i giornali, gridano vittoria e pretendono o la genuflessione del vinto o, in alternativa, la sua decapitazione, il "caso" ci mostra soltanto due debolezze a confronto. Debole è stato finora Gianfranco Fini che, pur dichiarandosi assolutamente certo dell'estraneità di suo cognato alla proprietà dell'immobile di Montecarlo, non ha ancora mostrato in pubblico le ragioni di quella "certezza assoluta". Debole è anche Berlusconi che, come sempre quando è a mal partito (gli è capitato negli affari come in politica), si affida al lavoro sporco che non sempre gli addetti gli combinano a regola d'arte. Qualche volta gli incaricati si fanno beccare con le mani nel sacco e anche in questo caso hanno disseminato intorno più di una traccia. La partita mortale tra il capo del governo e il presidente della Camera non è ancora all'epilogo. Chi crede che poche parole di un ministro caraibico possano chiudere il match può sbagliarsi. E anche di grosso.


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Pantaleo Gianfreda