Il bastone della Lega deciderà la partita.
8 Agosto 2010Il settimanale commento su "la Repubblica" di Eugenio Scalfari sull'attuale situazione politica.
Chi pensava con timore oppure con gioia che l'espulsione di Fini e dei finiani fosse l'inizio della fine del berlusconismo e ne aveva avuto conferma dal voto della Camera di mercoledì scorso che aveva trasformato la maggioranza in minoranza, dovrà invece ricredersi?
Dopo l'ira per la sconfitta subita il Capo dei capi dalle cento vite sembra infatti aver riacquistato lucidità e starebbe mettendo a punto una duplice strategia, un programma di governo su quattro punti concreti sui quali chiedere la fiducia di Fini e perfino di Casini, oppure elezioni a marzo per cogliere l'opposizione impreparata e spazzarla via, Fini e Casini compresi.
I quattro punti rappresentano un ponte per raccogliere intorno a sé tutti i moderati, una sorta di Berlusconi-bis con annesso rimpasto ministeriale e si articolano su altrettante riforme: Fisco, Federalismo, Giustizia, Mezzogiorno. Gli scrivani incaricati di metterle in carta sono Tremonti, Calderoli, Alfano, Fitto. Poi il vaglio dei finiani ed eventualmente di Casini. Infine il voto. Un patto di legislatura. E perfino (perfino) un'apertura verso i riformisti del Pd, quelli veri, identificati con gli ex popolari (Rosy Bindi esclusa) ma anche con D'Alema, Enrico Letta e forse Bersani.
Che ne dite? Non è un fior di strategia? Non volevate, voi arrabbiati e decisi a far fuori l'Orco ad ogni costo e ad ogni prezzo, un governo d'unità nazionale da chiunque presieduto, perfino da Tremonti se necessario? Eccolo il governo d'unità nazionale. Solo che a presiederlo ci sarà Berlusconi in prima persona e governerà fino al 2013. Provare per credere.
Il senatore Pisanu – l'ha detto venerdì a "Repubblica" – è convinto che questa sia la sola via percorribile. Casini del resto fu il primo a proporlo mentre si accingeva a concordare con Fini l'astensione dei 75 sulla sfiducia a Caliendo. Quanto al presidente della Camera, un patto di legislatura all'interno del Pdl del quale tuttora dichiara di far parte l'aveva proposto martedì mentre preparava la formazione dei gruppi parlamentari separati.
Chi dirà la verità e qual è la verità? Le lingue dei politici sono biforcute per definizione, ma mai come ora il gioco degli inganni è stato lo strumento-principe per la conquista del potere. Neanche ai tempi d'oro di Andreotti. E meno che mai all'epoca del trasformismo di Depretis e poi, un secolo fa, a quello di Giolitti.
Giolitti aveva un obiettivo: portare dentro le istituzioni liberali le masse cattoliche e le masse socialiste. Lo fece in due tappe e allargò il suffragio elettorale per render possibile quella trasfusione di sangue dentro l'esangue oligarchia della vecchia destra. Fu intelligenza politica, non trasformismo e non fu colpa sua se cattolici e socialisti sprecarono malamente l'occasione.
Berlusconi si inscrive in una fenomenologia del tutto diversa. Non è un fenomeno nuovo nella nostra storia nazionale. Interpreta quel fiume carsico, come più volte l'abbiamo definito, che rappresenta una delle costanti della nostra vicenda politica, prima ancora della nascita dello Stato unitario, riapparso poi in modi diversi ma con analogo spirito illiberale con Crispi, Di Rudinì, Pelloux, Mussolini, Tambroni, Craxi. Alcuni si affidarono alle sciabole, altri al populismo, altri ai dossier e ai ricatti e ci fu chi utilizzò tutti questi strumenti spolverandoci sopra una bella manciata di corruzione. Infine ci fu perfino chi non esitò neppure a negoziare il silenzio-assenso o addirittura l'amichevole benestare delle organizzazioni mafiose e camorristiche.
Berlusconi appartiene a questa tipologia. È il figlio imbarbarito dell'antipolitica, del qualunquismo, dell'anarchismo, che sono le tre condizioni preliminari che conducono alla delega di tutto il potere all'uomo della provvidenza. E questo è quanto è accaduto negli ultimi quindici anni e in particolare negli ultimi otto.
Sperare di trasformarlo in un leader liberal-democratico non è un crimine e non è neppure un errore; piuttosto è il tentativo – in chi formula questi progetti – di procurarsi un lasciapassare per entrare a far parte di quel sistema di potere cercando di mantenere un'apparenza di dignità. Questi sono i veri trasformisti e non sono l'ultimo dei pericoli che minacciano la nostra sgangherata democrazia.
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Quando avrà fine il gioco degli inganni e chi avrà in mano il manico del bastone per chiudere a proprio vantaggio la partita che si sta svolgendo tra Berlusconi da un lato e Fini-Casini dall'altro? C'è un quarto giocatore ed è lui che tiene in pugno fin da ora il manico del bastone. È Umberto Bossi, il convitato di pietra che ha già piantato saldamente i paletti che delimitano il campo da gioco.
La riforma della Giustizia gli interessa poco o niente: per la Lega quella riforma è una merce di scambio e l'ha già ceduta a Berlusconi assicurandogli il suo appoggio per chiuderla come a lui conviene.
Gli altri due temi, del Fisco e del Mezzogiorno, sono due sfaccettature della questione principale, quella del Federalismo sulla quale la Lega gioca l'intera sua posta. Sul Federalismo la Lega vuole carta bianca e non accetta condizionamenti.
Non è certo Berlusconi che potrà intralciarla: per lui il Federalismo è merce di scambio così come per la Lega lo è la riforma della Giustizia, tu dai una cosa a me e io do una cosa a te.
Il condizionamento può venire da Fini. Non a caso Calderoli ha preannunciato un incontro con il presidente della Camera nei prossimi giorni. Gli porterà le carte sui costi-standard dei servizi pubblici nelle varie regioni, i calcoli sulla perequazione tra le Regioni povere e quelle ricche, le imposte attribuite agli Enti locali; insomma il meccanismo federalista finora fotografato nello stato in cui si trova. E chiederà anche a lui carta bianca affinché sia la Lega a gestirne la costruzione che è ancora tutta da fare.
Neppure Calderoli conosce le vere cifre che il Federalismo comporta. Luca Ricolfi, in un articolo di tre giorni fa sulla "Stampa" afferma che ci vorranno almeno altri due anni di studi per dare vera sostanza alla trasformazione dello Stato centralizzato in Stato federale e forse la sua valutazione è ottimistica.
Perciò l'importante per la Lega è di assicurarsene la gestione in esclusiva. Il voto di fiducia che il governo chiederà su questo punto ha questo significato. Fini è disposto a darla questa cambiale in bianco, insieme a quella sulla giustizia di Alfano e Ghedini?
Certo può darla oggi e smentirla e rimangiarsela domani quando sarà più rafforzato sul territorio per tentare un'altra spallata decisiva contro il berlusconismo. Ma in che modo può rafforzarsi? Se dovrà cessare di logorare il suo avversario, se dovrà votare la fiducia quattro volte su quattro capitoli, se dovrà stipulare un patto di legislatura dopo aver digerito quattro rospi di quella portata, la credibilità di Fini sarà ridotta a zero e si sarà anche dovuto separare da Casini per la semplice ragione che Casini la Lega non lo vuole nell'alleanza. Accetta un Fini con quattro rospi in pancia ma senza Casini.
Fini potrebbe rivalersi negoziando le future liste per le elezioni del 2013. Affidandosi alla parola di Berlusconi? O ad un rogito notarile? Sono possibili e pensabili queste due ipotesi?
Finora il presidente della Camera ha dimostrato di essere un ottimo tattico, una dote che gli si conosce da tempo. Ma la strategia difetta. Quando il più fedele dei suoi luogotenenti, Italo Bocchino, afferma che "Futuro e Libertà" non sarà mai alleata con la sinistra, la strategia gli fa evidentemente difetto: l'area finiana ha un senso se può giocare su due sponde, altrimenti sarà riassorbita in poche settimane.
È anche vero che l'altra sponda non versa in condizioni migliori.
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L'altra sponda, cioè il centrosinistra, per ora aspetta. Con l'arma al piede, dice chi vuole incoraggiarla. In realtà annaspa perché ha un suo progetto solo nel caso in cui Berlusconi si dimetta e chieda le elezioni anticipate. Qualora si arrivasse a questa eventualità il centrosinistra chiederebbe l'"Union sacrée" di tutte le opposizioni, Fini compreso, per mettere quelle forze a disposizione del presidente della Repubblica il quale deciderà sulla base dei suoi poteri-doveri costituzionali.
In realtà quando diciamo centrosinistra diciamo soltanto Partito democratico e Italia dei valori. Il resto (che equivale più o meno all'8 per cento del corpo elettorale) è rimasto fuori dal Parlamento salvo uno spicciolame di poche unità.
Manca però ogni traccia di strategia nel caso che Fini rifluisca sul programma berlusconiano e il governo duri fino al 2013. E manca altresì ogni strategia sul che fare in caso di scioglimento della legislatura. Bersani dice in proposito cose accettabili ma non è riuscito finora a guadagnare maggiore consenso nel bacino elettorale del suo partito. Forse perde troppo tempo con inutili mediazioni. Dovrebbe spostare la sua attenzione verso gli elettori potenziali e occuparsi poco o niente dei vari Fioroni, Marini, Letta, D'Alema, Veltroni, Chiamparino. Se il partito resta nei limiti dei soli iscritti e dell'oligarchia che ne è l'espressione, la partita è chiusa, sia che ci siano tre anni di tempo sia che ci siano soltanto 3 mesi.