Il Cavallo di Cutrofiano del Salento leccese: discende dai puledri di Anchise.
5 Settembre 2010L’Equus caballus (Linneo 1758), o più semplicemente cavallo, è un mammifero ungulato di grossa taglia. Appartiene al genere Equus, unico della famiglia Equidae. Di antica domesticazione da una sottospecie estinta delle steppe asiatiche, il Tarpan, viene utilizzato come animale da sella, da tiro, da soma e da carne. È in grado di rinselvatichirsi e di sopravvivere autonomamente allo stato brado. In questa nota la sua storia a Cutrofiano nel Salento leccese.
Mia nonna e mia madre erano costrette ad acquistare ogni giorno pesce. Non aveva importanza di che pesce si trattasse, il fatto era che mio nonno non mangiava carne, e soprattutto non mangiava carne di cavallo.
Mio nonno si chiamava Giuseppe Ferro, era un Carabiniere a cavallo, e lui i cavalli non li avrebbe mai mangiati, per nessun motivo! Con il cavallo era andato in Libia nel 1911 e con il cavallo aveva preso parte alla prima guerra mondiale. A cavallo conobbe mia nonna Maria Ruggeri, quando dalla natia Marsala venne trasferito a Lecce, e sempre a cavallo prestò servizio prima in Sicilia e poi a Bari per rientrare a Lecce dopo la pensione. Mio nonno Giuseppe il cavallo lo considerava un fratello! Un cavallo quando l’hai avuto, lo rispetti e non puoi mangiarlo!
Gli studiosi che hanno indagato le immagini presenti nelle grotte e che risalgono all’era glaciale ovvero tra 60.000 e 10.000 anni fa hanno definito quelle figure naturalistiche e impressionistiche e molte di queste vere e proprie opere d’arte ritraggono l’uomo con il cavallo.
Quando i nostri antenati del Salento leccese vivevano nelle palafitte c’era con loro il cavallo che non era stato ancora addomesticato. Il cavallo diviene un servitore dell’uomo appena 4000 anni fa e viene utilizzato per i lavori agricoli e per la guerra e il galoppo!
La notizia che ci dà la forza del cavallo come arma di guerra è quella del popolo degli Hyksos che invasero l’Egitto nel 1700 a. C. e travolsero l’esercito del faraone con una nuova arma formidabile: la cavalleria e i cavalli ippotrainati.
Il cavallo è stato domato dall’uomo e quegli uomini che lo facevano, per Omero erano degli eroi, erano i domatori di cavalli. Gli Ariani e i Semiti erano popoli di domatori di cavalli. Nella Bibbia il Signore fa a Giobbe un elogio del cavallo. Salomone possedeva quarantamila cavalli. Gli Arabi selezionano i purosangue.Poi ci sono i miti, come quello di Giove, padre degli Dei, che donò a Re Laomedonte cavalli divini che vivevano nell’Olimpo in segno di ricompensa perchè Ganimede, figlio del re, sostituì Vulcano nella funzione di coppiere degli dei.
Il padre di Enea, ovvero il re di Troia Anchise, fece accoppiare questi cavalli divini con sue giumente e da queste nacquero sei puledri. Quattro li tenne Anchise e due li diede ad Enea.
Durante la guerra di Troia sotto le mura di Ilio, Diomede viste le performance dei due cavalli di Enea decise che dovevano essere suoi!
Per ottenerli disse al suo auriga Stenelo di prenderli.
Diomede sfidò al duello Enea che cadde ferito mentre Stenelo si precipitò su quei due cavalli impossessandosene.
Diomede era ammirato al cospetto di quei due cavalli e li mandò in Grecia. E lo stesso di trasferì nel Salento leccese e con lui portò quei due cavalli nella Decatría Choría (τα Δεκατρία Χωρία), cioè i tredici paesi di Terra d’Otranto che conservavano la lingua e le tradizioni greche. Il nome del paese in lingua grika è Kutrufiàna, mentre in dialetto salentino si chiama Cutrufiànu.
I cavalli di Enea erano due corsieri da cui discendono i cavalli del Salento leccese!
Un salto nel tempo e leggiamo: IL BELVEDERE ERA UNA BRUNA FORESTA! Così la chiama, nel 1789, lo svizzero Carlo Ulisse De Salis, signore di Marschlins, nelle sue note di viaggio dal titolo “Nel Regno di Napoli”, alludendo al famoso Bosco Belvedere, disteso nei Comuni di Scorrano, Spongano, Muro, Ortelle, Castiglione, Miggiano, Poggiardo, Vaste, Torrepaduli, Supersano, Montesano, Surano, Sanarica, Botrugno, San Cassiano e Nociglia.
Immenso latifondo boschivo, che al suo proprietario, il principe Gallone di Tricase, assicurava la pingue rendita di L. 42.500 e a tutti i Comuni confinanti gli usi civici. Smembrato, nel 1851, e suddiviso fra i Comuni interessati, a Supersano, dopo Scorrano e Nociglia, toccò la quota maggiore e forse la più bella, non solo per impianto e varietà di piante, ma anche per i pascoli eccellenti. «Nei pascoli sopra queste alture – scrisse il De Salis – e nella foresta di Supersano, sono allevate due razze equine appartenenti al Marchese di Martina e al Duca di Cutrofiano, le quali forniscono buonissimi cavalli da sella e da tiro.
Nel 1484 il casale di Cutrofiano fu ceduto dalla corona Aragonese alla famiglia Del Croce-Capece fino al 1664 quando il feudo fu acquistato dai Filomarini che governarono fino al 1806, anno in cui fu soppressa la feudalità. Questa famiglia si distinse per gli allevamenti di cavalli di razza, molto ricercati nel Regno di Napoli. La razza di Cavalli di Cutrofiano godette di largo prestigio per lungo tempo non solo nel regno di Napoli, ma soprattutto in Inghilterra. Ancora oggi vi è una Strada vicinale Cavallerizza verso Collepasso, prima chiamato “Colopati”, e che solo nel 1907 si staccò da Cutrofiano.
La foresta di Cutrofiano, che era ancora demanio nel Quattrocento, faceva parte della vasta macchia mediterranea che un tempo ricopriva il basso Salento. Si estendeva a sud del casale per 1000 tomoli corrispondenti a circa 716 ettari, procurando la legna che alimentava i forni per la produzione della terracotta. Oggi sono ancora visibili alcune parti come il “Boschetto” di querce a ovest del paese.
Nello stemma del Comune di Cutrofiano c’è un cavallo. Le origini dello stemma non hanno certezza storica. Si suppone che abbia avuto origine dal fatto che i Filomarini avevano un grande allevamento di cavalli pregiati. Che i cavalli fossero una componente rilevante dell’economia locale è dimostrato anche dalla antica denominazione della principale piazza del paese, largo Cavallerizza, oggi piazza Municipio.
Antonio Bruno, Dottore Agronomo.
Bibliografia:
– Aldo De Bernart: Il belvedere era una bruna foresta.
– Vincenzo Ligori, Alessandro Calò, Mario Cazzato, Salvatore Matteo: Cutrofiano l’argilla, la terra, la pietra.
– Salvatore Matteo: Ceramica di Cutrofiano dal Cinque al Settecento.
– Sito Comune di Cutrofiano: www.comune.cutrofiano.le.it.
– Mengoli Sara: Lo stemma di Cutrofiano.
– Cosimo Enrico Marseglia: Le nostre leggende. Martina Franca: I focosi cavalli della Iapigia.
– Mario Moscardino: Economia politica e paletnologia nel Salento.