Il compleanno di rabbia del Cavaliere. In guerra con i finiani e l’avanzare dell’età.

30 Settembre 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Già in mattinata Berlusconi aveva ironizzato: "Un compleanno di merda". Evidente l'insofferenza del premier, costretto ad ascoltare tutti i suoi nemici

Ahi, Silvio, fugaces labuntur anni. Stanco alla fine. Mano sulla guancia, occhi bassi, quando la seduta rotolava verso il voto il presidente Berlusconi è parso anche triste, annoiato, preda di sdegno, anzi di nausea. E per un giorno l'attualità politica conceda una piccola licenza alla grande poesia degli anni che fuggevoli scorrono via, "e le preghiere non possono ritardare le rughe – cantava Orazio in anni ancora lontani dalla chirurgia estetica – né la vecchiaia incalzante, tantomeno l'inevitabile morte". Che per un genetliaco presidenziale non suona esattamente come il migliore augurio.

Meno ispirato, d'altra parte, già in mattinata scherzando con il dipietrista Donadi il Cavaliere aveva sintetizzato il suo stato d'animo: "Un compleanno di merda". Sono 74: tanti, ma al giorno d'oggi, almeno per uno che grazie al progetto "Quo vadis" di don Verzè vuole arrivare a 120, non sono nemmeno troppi. L'altra settimana s'era sparsa la voce che il presidente del Consiglio, in un empito di egocentrismo, aveva ottenuto di spostare il dibattito al fatidico 29 settembre, celebrato da una omonima canzone dell'Equipe 84, nonché posto sotto la protezione degli Arcangeli Gabriele, Michele e Raffaele, di cui Berlusconi pare sia fervidissimo fedele.

Pochi in verità si erano ricordati che quel giorno si festeggiava anche la nascita di Bersani, oltre a quella di due non conosciutissimi leghisti, gli onorevoli Stefani e Alessandri. "Sono un vecchietto" si auto-esorcizzava  il Cavaliere rispondendo agli auguri di due graziose funzionarie della Camera. In un primo momento, in realtà, nulla aveva guastato il suo compleanno. In aula Berlusconi si era regalato un discorso e ancora di più un tono da statista: "Affermai", "vidi bene", "una stagione di grandi speranze", "lo spirito riformatore", Calamandrei, addirittura, "il fiore dell'Italia", e giù applausi sui militari impegnati in Afganistan, e "la difesa della vita", figurarsi, "il quoziente familiare", ma certo, "il senso di responsabilità", "l'impegno comune", "il domani dei nostri figli" e così via, secondo quella retorica che reca impresso l'inconfondibile sigillo democristoide del dottor Letta.

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Insomma, per inaugurare l'anno che lo porterà a tre quarti di secolo il premier aveva indossato egregiamente una delle tantissime maschere della collezione di Proteo, divinità che sovraintende alle più eclettiche trasfigurazioni, talvolta fornendo ai suoi protetti anche utili ed assai evocativi accessori tipo il fazzoletto da partigiano che si vide spuntare al collo di Berlusconi il 25 aprile a Onna, poche ore prima che il premier si recasse a Casoria per il compleanno di Noemi.

Come si vede, il premier è attento a questo genere di ricorrenze; e al suo anniversario lo è a tal punto da far sì che il primo nipotino maschio, ovviamente battezzato Silvio, nascesse proprio il 29 di settembre. Per gli appassionati, la descrizione di tale evento è compresa anche nella vasta Berlusconeide, "poema cavalieresco" di Carlo Cornaglia (Aliberti, 2009): "Dorme ancor mamma Marina,/ il Berlusca si avvicina,/ Ride, esulta, si scalmana:/ anche il bimbo ha la bandana!".

Ieri nel dibattito anche Casini ha ricordato benevolmente la data. Su cui, inutile dirlo, esiste ormai un'immane tradizione encomiastica a base di striscioni, gazebi, torte virtuali del comitato "Silvio ci manchi", telegrammi smodati di Gasparri, composizioni celebrative di Bondi, melodioso tele-auguri di Barbara D'Urso; fino al 29 settembre dello scorso anno, scelto come occasione per la distribuzione di case ai terremotati d'Abruzzo, e culminato in una specie di lapsus trionfale del governatore Chiodi: "Non esiste premier al mondo che sia sceso 23 volte sulla terra… ferita", disse, quasi associando B. al mistero dell'incarnazione. E vabbè.

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La questione anche seria è che quest'anno a un certo punto, per l'esattezza proprio dopo l'augurio di Casini, il compleanno berlusconiano ha cominciato a guastarsi davvero. Ed è successo quando, pur ringalluzzito dalla sua stessa replica, nel giorno dedicato al festeggiamento il 74enne premier, immobile nel suo scranno e scenicamente dominato dal suo peggior nemico con tanto di campanello, si è visto costretto, lui avvezzo alle lodi, a sentirsi dire invece le peggiori cose nel peggiore dei modi, per giunta in diretta tv, e da parte di gente che lui disprezza.

Così, almeno dal vivo si è visto un crudele spettacolo di mimo che ha svelato perché il Cavaliere si tiene alla larga dal Parlamento come dalla peste. Ora faceva finta di niente, ora sorrideva superiore, ora con Tabacci al microfono cominciava a seccarsi per il tono, ora con Bocchino consultava intensamente delle carte e ha mandato un primo biglietto a Cicchitto. Con Di Pietro, che gli ha rovesciato di tutto, ha cominciato ad agitarsi, "ma che dice? – faceva segno – ma è matto?" e poi non ce l'ha fatta più, spingendosi a chiedere una tutela: ma a chi? A Fini.

Sul calciomercato è insorto: "Mai comprato nessuno!". Con l'intervento-comizio di Bersani l'insofferenza s'è fatta autentica sofferenza. Braccia conserte, prima quasi incredulo, poi incupito, quindi amareggiato. Né il discorso di Cicchitto, sottile e un po' moscio, poteva risollevarlo. Quando credeva che il suo strazio finalmente era terminato, è partita la sequela dei minori, gli acquistati, i riacquistati, i rivalutati, i vendicativi, i "pizza-e-fichi", e non ne poteva più.

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Poi avrà anche preso i voti e più tardi pure levato il calice con le deputate. Ma la sua vera guerra resta quella con il Tempo. "Mentre parliamo, l'ora già scorre rapida": è sempre Orazio, poeta anche di malinconie autunnali. Carpe diem, acchiappa il giorno, meno che puoi fidati del domani. Ma un conto è dirlo, altro conto è viverlo così.


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Pantaleo Gianfreda