Le esequie scomposte di un potere defunto.
5 Dicembre 2010Spread the love
Il mio tema di oggi è la crisi economica e finanziaria in Europa e in Italia e le sue ripercussioni sulla nostra crisi politica. Ma prima…
C’è sempre un “ma prima” di cui ci si deve occupare in questo Paese, perché siamo diventati un Paese imprevedibile e ogni giorno che passa lo diventiamo di più. I problemi di fondo sono sempre quelli perché nessuno si è dato la pena di risolverli, ma le increspature di superficie si sono ormai trasformate in ondate di tali dimensioni da aggiungere peso a peso rendendo l’orizzonte sempre più fosco ed incerto.
Perciò ecco il “ma prima” di oggi: il partito di Berlusconi se ne frega delle prerogative del Quirinale. L’aveva già detto e ripetuto il “boss” in varie occasioni in modo esplicito, ai tempi del caso Englaro e ai tempi del lodo Alfano; ma il “me ne frego” di marca fascista e squadrista non era ancora stato usato. Adesso anche quel tabù è stato infranto da Denis Verdini, coordinatore nazionale del Pdl, pluri-inquisito per reati comuni di associazione per delinquere, riciclaggio, falso in bilancio e bancarotta. Un elenco che basterebbe ad imporre le sue dimissioni da ogni incarico politico, ma il “boss” è con lui e tanto basta.
Verdini ha fatto le sue scuse al Capo dello Stato con questa spiegazione: il suo “me ne frego” era politico e non istituzionale. Una canzone che cantavano i fascisti di Salò diceva: “Ce ne freghiamo noi della galera”. Verdini probabilmente se ne frega della galera politicamente, ma istituzionalmente no. Ammirabile sottigliezza.
Mettiamo insieme questo rigurgito squadrista con i fondati sospetti di profitti privati che il “premier” avrebbe ricevuto dal suo sodale Putin piegando l’Eni a patti scellerati con Gazprom, con le intemperanze sessuali che lo rendono incapace di guidare un Paese nella tempesta d’una crisi di inconsueta vastità e durata e con lo sfaldamento in atto di quel che rimane della sua maggioranza ed avremo un cocktail esplosivo. “Nave senza nocchiero in gran tempesta” scriveva il poeta ed aggiungeva “non donna di province ma bordello”. Chi potrebbe dir meglio?
In questi frangenti Gianni Letta continua a tentare improbabili mediazioni. Casini dal canto suo rilancia il nome di Letta come possibile ed accettabile successore del “boss” a palazzo Chigi. Si tratta d’una proposta provocatoria perché Berlusconi non prevede in nessun caso successori a se stesso e men che meno Letta che disse all’attuale ambasciatore americano a Roma che Berlusconi era ammalato e in condizioni fisiche che non gli consentivano di governare. Letta ha smentito ma l’ambasciatore Thorne no perché il dispaccio che riferisce queste confidenze è firmato da lui.
Le ultime notizie di provenienza berlusconiana ci informano che il premier si aggrappa ora alle agenzie di rating che – secondo lui – abbasserebbero le loro valutazioni del nostro debito pubblico nel caso che il governo fosse messo in crisi. La verità è che la persona più inadatta a padroneggiare la crisi è proprio lui, come si vede da quando la crisi è nata e il governo ha negato perfino che esistesse. Chi sostiene che i veri problemi sono altri dice cosa giusta ma dimentica di aggiungere che l’allontanamento di Berlusconi è un preliminare in mancanza del quale i problemi veri non potranno mai essere risolti, come dieci anni di governo ampiamente dimostrano.
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La crisi economica dell’Europa è semplice da spiegare ma difficile da curare: per cominciare vorrei fare chiarezza su un punto: le oscillazioni dell’euro nei confronti del dollaro non sono una causa di quanto avviene né sono l’obiettivo della speculazione. Quando l’euro fu creato dieci anni fa la sua parità fu fissata a 1,17 dollari per euro. Dopo poco scese sotto la parità arrivando a 78 centesimi di dollaro. Poi risalì e ridiscese varie volte. Appena sei mesi fa rimase per qualche settimana a 1,22, poi risalì fino a 1,50, adesso oscilla intorno a 1,30 ma nessuna di queste oscillazioni ha creato panico e contromisure. Il basso livello del cambio, semmai, incoraggia le esportazioni delle merci e servizi di tutta la zona euro verso l’area del dollaro. In particolare per il nostro turismo il cambio basso è una manna.
La speculazione dunque non ha il cambio dell’euro come obiettivo. Il vero obiettivo è il debito sovrano degli Stati periferici dell’eurozona, Grecia, Irlanda, Portogallo, anche Belgio. Forse Spagna e forse anche Italia, qualora le regole europee sul rientro del debito entro il livello del 60 per cento rispetto al Pil sarà severamente rigido come la Germania vorrebbe.
Quindi al centro della speculazione c’è il problema dei debiti sovrani. Nei giorni scorsi la Banca centrale europea è intervenuta sul mercato a sostegno dei Paesi più esposti agli attacchi.
Ci sono vari modi di attaccare i debiti sovrani. Un modo è di vendere titoli pubblici di quei Paesi per far crescere lo “spread” rispetto ai “bund” tedeschi. Un altro modo è quello di acquistare i “bund” tedeschi. Un altro ancora è di vendere i titoli delle principali banche del Paese attaccato.
Il fine della speculazione sta nel lucro che si ricava da queste oscillazioni. Vogliono anche, gli speculatori, attraverso queste destabilizzazioni far saltare l’intero sistema dell’euro? Non penso che l’obiettivo sia questo. La speculazione sa che le sarebbe contrapposta una difesa difficilmente superabile. La disarticolazione della struttura dell’euro potrebbe però esser frutto di errori compiuti dalle autorità europee, dalla loro incapacità di dar vita ad un governo europeo dotato di poteri economici incisivi, dalla tentazione della Germania di arroccarsi su un super-euro lasciando alla deriva chi non ce la fa a seguirla.
Questi errori sono possibili, alcuni sono già stati commessi e poi riparati. Perciò la vigilanza e l’iniziativa degli Stati membri per procedere nel modo giusto dovrebbe essere massima. La presenza di Berlusconi non è un elemento di sicurezza. Se fosse sostituito da Tremonti o da Mario Monti o da Mario Draghi, in Europa non ci sarebbe alcuna preoccupazione. Quanto ai personaggi soprannominati le loro visioni sono diverse e in qualche caso dissimili, ma tutti e tre hanno una solida esperienza in quelle delicatissime materie.
I mercati dal canto loro continuerebbero a registrare lo scontro tra speculatori e debiti sovrani e questo è quanto.
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La Banca centrale europea, imitando su scala ridotta la Federal Reserve americana, ha acquistato nei giorni scorsi titoli di debiti sovrani in difficoltà con operazioni sul mercato aperto eseguite direttamente o tramite le banche centrali che fanno parte del sistema. Questi acquisti producono anche effetti collaterali oltre all’effetto principale di sostenere le banche sotto attacco e di far diminuire lo “spread” rispetto ai “bund” tedeschi.
Uno degli effetti collaterali è quello di fare aumentare la liquidità, ma la Bce – a differenza della Fed americana – non desidera aumentare la liquidità complessiva e quindi sterilizza l’aumento di liquidità stringendo altri canali. Per esempio vendendo titoli di debiti sovrani forti o valute conservate nelle sue riserve.
La verità è che la Fed sta adottando consapevolmente una politica inflazionistica sperando di far ripartire la ripresa economica e l’occupazione; il rientro del debito pubblico americano è rinviato a ripresa consolidata. Viceversa la Bce ha scelto una politica di deflazione morbida e per questa ragione non vuole che la liquidità complessiva del sistema europeo aumenti e sterilizza gli effetti della difesa dei debiti sovrani pericolanti.
Questo panorama è molto chiaro e funziona sul breve periodo. Ma non affronta i problemi che abbiamo davanti e che stanno arrivando al pettine tutti insieme.
Il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, ha fornito alcune cifre molto significative in una sua comunicazione alla Facoltà di Economia di Ancona il 5 novembre scorso. Quelle cifre unite a i suoi commenti gettano luce proprio sui problemi che dovranno essere affrontati da subito.
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“Secondo le stime del Fondo monetario internazionale la quota dell’eurozona nel Pil mondiale era pari al 18 per cento nel 2000. Nel 2015 scenderà al 13 per cento. Nello stesso periodo la quota dei Paesi emergenti asiatici raddoppierà dal 15 al 29 per cento”. Questi dati descrivono a sufficienza il mutamento radicale dello scenario mondiale. La nostra economia, aggiunge Draghi, ne ha risentito molto più di altre. “Essa manifesta un’incapacità a crescere con tassi sostenuti. L’ultima recessione ha fatto diminuire il Pil italiano di 7 punti”.
Sette punti, tanto per esser chiari, equivalgono a 120 miliardi di euro. “La crescita del prodotto per abitante in Italia si va riducendo da tre decenni. Siamo passati da un aumento annuo del 3,4 per cento negli anni Settanta a 2,5 negli anni Ottanta e all’1,4 negli anni Novanta. Nell’ultimo decennio 2000-2010 la crescita è stata zero”.
Queste cifre riguardano i flussi di reddito, ma se spostiamo l’analisi dal reddito alla ricchezza patrimoniale, cioè al risparmio accumulato e investito in vari modi, la situazione appare capovolta. Scrive Draghi: “Secondo i dati dell’Ocse nel 2007, prima della recessione globale, l’Italia presentava pro capite il Pil più basso tra i Paesi del G7, pari al 69 per cento di quello degli Usa, ma la ricchezza pro capite delle famiglie italiane era l’88 per cento di quella delle famiglie americane e un valore superiore a quella della Francia, Germania, Giappone e Canada”.
Il suggerimento implicito di queste cifre ci porta ad una conclusione da noi più volte suggerita ma mai adottata: i mezzi per stimolare la crescita esistono solo che si voglia trasformare una quota delle imposte sui redditi medio-bassi al patrimonio delle categorie sociali medio-alte.
La redistribuzione vista come fonte di maggior domanda e quindi di crescita del sistema-paese.
Per finire, Draghi propone l’istituzione di un fondo sovrano tra i Paesi dell’euro, che si alimenti con un’imposta sulle transazioni finanziarie e consenta di far rientrare i debiti entro il livello desiderato del 60 per cento. Analoghe proposte sono state formulate nei mesi scorsi da Vincenzo Visco e Mario Monti.
Vi sembra che il governo Berlusconi abbia la voglia, la fantasia e la volontà di adottare politiche economiche come quelle sopra indicate? Vi pare che Verdini, Matteoli, La Russa, Scajola, Romani, Alfano, siano in grado di pensarle? Forse Santanché, Brambilla, Gelmini? Magari Carfagna? O la Mussolini, detta la baciona per via del bacio dato a Cosentino.
Robe e nomi da coprirsi il viso per la vergogna.
Post scriptum. Ho letto ieri un articolo sul “Foglio” di Pietrangelo Buttafuoco, penna sottile e talento indipendente. Il titolo: “Meglio fottere che comandare”. Buttafuoco dà una sua lettura – sboccata ma interessante – del berlusconismo. Lo cito perché non solo è acuto ma esilarante e qualche risata è pur necessaria per alleggerire la cupezza del clima.
“In quel grazioso palazzo, ossia Grazioli, le nubi delle accuse di corruzione, mafia, falso in bilancio, conflitto di interessi e perfino seduzione di minorenni, in un brevilineo come lui si diradano, anzi evaporano in virtù della sua euforia genitale. Al dottor Berlusconi piace la gnocca, solo la gnocca. Il dottor Berlusconi fa festini che sono il rimosso di tutti quelli che gli stanno intorno, compresi gli schiavi, i servi, i cortigiani e i ruffiani. Compresi poi gli italiani, perfettamente inutili da governare ma che alla fine hanno un preciso istinto per immedesimarsi con chi, sollevandoli dall’incombenza, copula in loro vece. L’italiano medio si immedesima col dottor Berlusconi in ragione del rimosso dei rimossi: ognuno, vincendo all’Enalotto, farebbe come fa lui nell’agio del suo smagliante patrimonio”.
Secondo me questo è uno splendido “coccodrillo” di un potere defunto.
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