L’ultima partita a scacchi del Cavaliere.

7 Novembre 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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L’editoriale di Eugenio Scalfari su “la Repubblica” di domenica 7 novembre.

Ma adesso che succede? Questa domanda se la rimpallano tutti, è addirittura diventata una domanda da bar, perfino tra persone che di solito non si occupano di politica e discutono semmai, ai bar dello sport, sulla formazione delle squadre e di Totti o di Cassano. Segno che qualche cosa di nuovo è accaduto, qualche cosa che è fuoriuscita dalla bolla del politichese ed ha raggiunto l’uomo comune, cioè la pancia del Paese.
A conferma di quanto scrivo ci sono i più recenti sondaggi sugli umori del “popolo sovrano”: il livello delle astensioni, quelli che non hanno alcuna intenzione di votare, oscilla tra il 15 e il 20 per cento come è sempre stato. Aumenta invece il numero degli indecisi che viaggia al di sopra del 30 per cento. Gli indecisi sono appunto quelli che ti chiedono: “E adesso che succede?”.
La domanda viene da sinistra, dal centro, da destra. Soprattutto da destra, dove è sempre più diffusa la sensazione che il ciclo berlusconiano sia concluso. È un ciclo che dura da almeno 25 anni, perciò è sbagliato pensare che sia cominciato nel ’94, con il primo governo del Cavaliere. È cominciato molto prima, quando ebbe inizio l’ascesa televisiva della Fininvest e l’incubazione del berlusconismo nelle vene della nazione. Naturalmente anche altri fatti concorsero a cambiare radicalmente il profilo antropologico degli italiani: il ristagno dell’economia, la caduta della competitività nell’industria pubblica e privata, la corruzione diventata sistema di governo, il crescente distacco tra Nord e Sud, l’implosione del comunismo e la caduta del Muro di Berlino.
In una società frastornata da questi traumi e dai conseguenti disagi, il berlusconismo arrivò con un’irruenza imprevista guidando quella mutazione antropologica che ha assunto le dimensioni d’una vera e propria metamorfosi. Scomparvero le classi tradizionali, crollò il modello Iri, la grande industria si ridusse a pochissime nicchie senza più forza propulsiva, aumentarono le diseguaglianze. Tra i ricchissimi e i poveri si frappose un ceto medio gelatinoso con una tendenza all’impoverimento, dominato dalla paura di retrocedere e bisognoso di appoggiarsi alla speranza del miracolo e a qualcuno che su quella speranza costruisse il suo mito. Appoggiati cioè alla favola che ogni sera veniva messa in onda sugli schermi della televisione.
Quel ciclo è finito lasciando un paese pieno di guai materiali e di rovine morali, al punto che la parola “morale” è ormai oggetto di lazzi e sberleffi. Ogni discorso pubblico, da qualunque parte provenga, comincia sempre con la frase: “Non farò del moralismo”, o con l’insulto: “Sei un moralista”. Se si vuole una misura del degrado, sta tutta nell’impronunciabilità di quella parola. E adesso che succede?
 
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Il cambiamento morale, culturale ed economico passa – piaccia o non piaccia – per l’imbuto della politica e si svolge intorno a due nomi, al massimo tre: Berlusconi, Fini, Bossi. Sullo sfondo naturalmente c’è tutta l’opposizione da Casini fino a Di Pietro. Senza l’opposizione nulla si potrà fare ma il suo comportamento è obbligato. Vendola per il momento sta fuori dal perimetro della partita, come pure i vari Chiamparino e Renzi. Entreranno semmai in campo quando si andrà a votare perché nell’agone parlamentare, dove per ora la partita si svolge, loro non ci sono.
Berlusconi è finito, la coscienza nazionale che si sta lentamente risvegliando gli ha già notificato il cartellino giallo, ma il rosso dell’espulsione immediata ancora no; quindi è ancora in campo e giocherà molto duro proprio perché è consapevole che sarà fuori nei prossimi match.
Se volessimo adottare a mo’ d’esempio il gioco degli scacchi, direi che lui è il re che lotta per evitare lo scacco matto, Fini è la regina avversaria che può muovere in molte direzioni, Bossi gioca con una torre in difesa del re. Alfieri e cavalli distribuiteli come vi pare tra gli altri comprimari della partita, tenendo presente che molti di quei pezzi sono stati eliminati dalla scacchiera.
Berlusconi tenta di riagganciare Fini proponendogli un patto di legislatura. Se Fini accettasse, Casini dovrebbe seguirlo perché da solo al centro non ha prospettive. Ma io credo che Fini non accetterà e la ragione è semplice: se rientrasse nell’alleanza lascerebbe al suo avversario due anni di tempo, spunterebbero altri delfini e soprattutto, con questa legge elettorale, nel 2013 Berlusconi potrebbe ancora sperare di scalare il Quirinale. Allora il cartellino rosso non verrebbe mai più.
Fini parlerà oggi a Perugia. Per quello che penso io, e per ciò che abbiamo appreso ieri dalle parole durissime di Italo Bocchino, direi che tra lui e il presidente del Consiglio non c’è più terreno comune. Il nuovo partito finiano voterà i provvedimenti che riterrà utili al Paese e voterà contro per quelli che riterrà dannosi e quando venisse posto il problema della fiducia i finiani decideranno sul merito del provvedimento e non della fiducia. Questo io penso che Fini debba fare e credo che lo farà. Ma potrebbe anche cedere alle lusinghe e alla pressione di quelli dei suoi che non vogliono rompere. Se questo dovesse avvenire, Fini entrerà in un tritacarne e nel 2013 ne uscirà ridotto a una polpetta.
Bossi. Poiché gioca con una torre, può andare soltanto in verticale o in orizzontale sulla scacchiera. Tradotto in termini politici: può sopportare a tempo indefinito che Fini faccia cuocere Berlusconi a fuoco lento e insieme con lui anche la Lega oppure può esser lui a staccare la spina tra gennaio e febbraio. La mia sensazione è che staccherà la spina o obbligherà Berlusconi a farlo. A quel punto (cioè tra tre mesi) che succede?
 
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A quel punto il gioco si sposta nella mani del presidente della Repubblica che ha un diritto-dovere: prima di sciogliere le Camere deve verificare se esista una maggioranza alternativa. Si può star certi che Napolitano quella verifica la farà, crollasse il mondo. Ma esiste una maggioranza alternativa? C’è sicuramente alla Camera se Fini è pronto a dar vita insieme a Casini ad un governo che comprenda ovviamente anche il Pd e l’Italia dei valori. Al Senato questo schieramento non raggiunge la maggioranza ma è più che probabile che parecchi senatori del Pdl passino al centro di Fini-Casini. Questo sarà il punto più difficile della verifica di Napolitano. Molto dipenderà da chi sarà la persona incaricata di sondare i vari gruppi e gruppetti di Palazzo Madama. L’altra volta il sondaggio lo fece Marini e rispose negativamente, la maggioranza alternativa non c’era. Questa volta l’incaricato della verifica dovrebbe essere una personalità del centrodestra che riscuota anche la fiducia di Fini-Casini e dell’opposizione di sinistra affinché il Quirinale e le parti in causa siano sicuri dell’obiettività della verifica.
Se la risposta sarà negativa Napolitano dovrà sciogliere le Camere, se sarà positiva si farà il nuovo governo con il centro e la sinistra. Domenica scorsa scrissi che il presidente di questo governo avrebbe dovuto essere una personalità al di sopra delle parti e dotata del massimo di autorevolezza e lo chiamai “Mister X”. Ma potrebbe anche essere una personalità di centrodestra autorevole e accettata da tutti. Noi possiamo fare previsioni ma ad un certo punto dobbiamo fermarci quando entrano in gioco le prerogative del Capo dello Stato e qui siamo arrivati a quel punto e infatti ci fermiamo.
 
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Possiamo però ipotizzare che quel nuovo governo si faccia e la legislatura non venga sciolta. Per quanto tempo? Con quale programma? Walter Veltroni, nella sua intervista a “Repubblica” di qualche giorno fa, ha ricordato il governo Ciampi quando in piena Tangentopoli il presidente Oscar Luigi Scalfaro incaricò il Governatore della Banca d’Italia di guidare la legislatura fuori dalle secche morali e politiche nelle quali era incappata.
Il ricordo è pertinente, l’emergenza che stiamo attraversando è anche maggiore di quella di allora per la semplice ragione che allora al governo c’era una uomo di notevoli capacità, Giuliano Amato, il quale fu il primo a indicare Ciampi al Capo dello Stato. Oggi a Palazzo Chigi c’è un populista di pessimo conio che per di più da qualche tempo sembra anche piuttosto frastornato di testa. L’ultima uscita sugli omosessuali, se si pensa ai casi specifici, lo dimostra con evidenza.
Un Ciampi è molto difficile trovarlo ma non impossibile. Oppure, come s’è detto, un personaggio del centrodestra che dia garanzie a tutti. È evidente che il Presidente della Repubblica ha l’interesse, anzi l’obbligo costituzionale di fare un governo senza limiti di tempo. L’ipotesi di un Ministero di cento giorni è fuori dal quadro. Quindi il programma. Non può che essere una nuova legge elettorale, un federalismo che rafforzi e non indebolisca l’unità nazionale, una gestione intelligentemente rigorosa della pubblica finanza, una nuova struttura del welfare che tuteli tutti i lavoratori e i giovani e le famiglie in particolare.
Poi, quando si andrà alle elezioni politiche, avremo un centrodestra repubblicano e costituzionale il quale si opporrà ad un centrosinistra riformatore. Il primo batterà sul binomio libertà-eguaglianza e il secondo sul binomio eguaglianza-libertà. La fraternità va bene per tutti e due. Mi direte che questi sono sogni. Rispondo anzitutto che un po’ di sogno ci vuole. E poi rispondo che una nazione è sempre lo specchio della sua classe dirigente. Se il presidente del Consiglio e i ministri si comportano sulla base d’una visione etico-politica del bene comune, anche la nazione non considererà più la morale come una parolaccia.
 
Post scriptum. Molti lettori mi chiedono che cosa penso di Lupi e di Ghedini che molti di loro hanno visto nei vari salotti televisivi. Che cosa penso di loro e del racconto che fanno di quanto avviene. Io penso così: Ghedini è l’avvocato del presidente del Consiglio, Lupi è un esponente di primo piano del Pdl ed in più è anche un militante cattolico della cattolicissima Comunione e Liberazione.
Ghedini è diventato patetico nelle sue performance televisive. Ripete costantemente: “Non è vero” anche quando gli leggono un verbale firmato dal questore o da un magistrato inquirente. Sull’aspetto morale delle azioni del suo cliente si limita a dire: “Non è reato”. Del resto è lui l’inventore dell'”utilizzatore finale” una frase che da anni è entrata nel gergo comune.
Il caso di Lupi è più complesso per via della sua militanza cattolica e della sua fede che lui dichiara (e noi gli crediamo) intensa e attuata nella pratica della sua vita. La sua narrazione dei fatti non differisce da quella di Ghedini e fin qui problema loro, anche se contrasta vistosamente con la realtà documentata. Ma ad un cattolico è lecito chiedere anche un giudizio morale. Ebbene, Lupi si rifiuta di darlo. Pubblicamente. Sostiene che il problema non è quello. Il problema non è morale ma di efficienza e lui sostiene che l’efficienza (di Berlusconi) c’è e questo basta perché la morale non ha ingresso nella politica.
Questo non lo diceva neppure Machiavelli che da buon fiorentino era un anti-papista per eccellenza. Non lo diceva neppure il cardinale Mazarino. Lupi invece lo dice: l’efficienza per lui cattolico fa premio sulla morale. Mi pare il massimo. In realtà sia Lupi sia Ghedini sanno che quando Berlusconi uscirà di scena anche loro usciranno è dunque in gioco la loro sopravvivenza come uomini di potere. Perciò sono pronti a dire che l’asino vola e che Berlusconi riceve le “escort” perché ha buon cuore. La sopravvivenza è la sopravvivenza. La morale l’hanno smarrita da tempo, ma io ho scritto qualche anno fa un libro intitolato “Alla ricerca della morale perduta” perciò li perdono sperando che la ritrovino.

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Pantaleo Gianfreda
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