Macelleria istituzionale.

17 Agosto 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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La macelleria politica e costituzionale del tardo-berlusconismo ha infine obbligato il Quirinale a compiere un atto irrituale ed estremo. Solo nell'Italia di oggi, destabilizzata dalle pulsioni tecnicamente eversive del capo del governo e avvelenata dalle operazioni di killeraggio mediatico dei suoi sicari, può accadere che un presidente della Repubblica debba scrivere in una nota ufficiale che chi nutre dubbi sul suo operato ha il "dovere" di chiederne l'impeachment. Come prevede la stessa Carta del 1948, che all'articolo 90 indica le modalità e le procedure della messa "in stato d'accusa" del Presidente, nei casi specifici di "alto tradimento" e di "attentato alla Costituzione".

A tanto, dunque, è stato costretto Giorgio Napolitano, per fermare "le gratuite insinuazioni e le indebite pressioni" che, nell'avvitarsi di una crisi sempre più drammatica del centrodestra, colpiscono da giorni la più alta carica dello Stato. Il suo comunicato dà la misura di quanto sia grave e pericoloso il conflitto istituzionale in atto. E solo una lettura ipocrita e riduttiva del monito lanciato dal Colle può ridimensionarne la genesi alla necessità di rispondere all'intervista che due giorni fa il vicecapogruppo del Pdl alla Camera ha rilasciato al "Giornale".

Maurizio Bianconi ha trattato Napolitano come un nemico, che "tradisce la Costituzione fingendo di rispettarla". L'ha accusato di "incoerenza gravissima", perché colpevole di dire "no al voto anticipato e sì alla ricerca di un governo tecnico". Parole inconsulte e irresponsabili, scagliate come pietre contro il massimo organo di garanzia della nazione. Ma chi ora definisce Bianconi un semplice "peone", o un "golpista da operetta", non rende un buon servizio alla verità. Non si può non vedere come questi vaneggiamenti riflettano un "sentire comune" che, nella disperata trincea del Popolo della Libertà, accomuna più o meno tutti gli esponenti dell'armata forzaleghista.

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Da Alfano a Maroni, da Gasparri a Cicchitto: in queste settimane l'intera batteria dei luogotenenti del premier, sproloquiando di "ribaltoni" e di "congiure di palazzo", non fa altro che sfidare il Capo dello Stato, cercando di mettere in discussione il suo ruolo, di snaturare le sue prerogative, di condizionare le sue scelte. E non si può non vedere come queste urla riecheggino nel silenzio assordante e colpevole dello stesso presidente del Consiglio. Berlusconi tace, e dunque acconsente. Lasciando le ridicole precisazioni di prammatica ai Capezzone e ai Rotondi: tocca a loro riempire il tragico vuoto politico dell'agosto berlusconiano, replicando le intimidazioni ma rinnovando al presidente della Repubblica una "stima" e un "affetto" che suonano paurosamente vuoti, retorici e perciò falsi.

Siamo arrivati al limite estremo, alla rottura di tutti gli equilibri istituzionali. Dunque, quando Napolitano denuncia "interpretazioni arbitrarie" e "processi alle intenzioni", non è certo a Bianconi che si riferisce. Il Capo dello Stato parla a tutto il centrodestra, e rilancia la sfida al leader che ne incarna l'anima "rivoluzionaria" e ormai palesemente anti-statuale. In vista dell'ormai inevitabile showdown d'autunno, il comunicato del Colle suona quasi come una "chiamata finale", dalla quale si possono e si devono trarre alcune lezioni. La prima lezione: le istituzioni appartengono alla Repubblica, e non al Cavaliere, e dunque vivono nella reciproca autonomia e nel mutuo rispetto delle norme sancite dalla Costituzione.

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La seconda lezione: la Costituzione è la casa di tutti gli italiani, e dunque non può essere piegata all'ermeneutica di parte o alla logica di partito. La Carta assegna prerogative precise e compiti tassativi al Capo dello Stato, che li esercita con la massima indipendenza e la massima responsabilità, nella normale dialettica tra i poteri e nella leale collaborazione tra gli organi di garanzia. Tutto questo vale sempre: nella fisiologia della vita politica, quando si tratta di promulgare o rinviare una legge al Parlamento, come nella patologia di una crisi, quando si tratta di sciogliere le Camere o di verificare se esistano maggioranze alternative. Questo dice la Costituzione, di cui il presidente della Repubblica è il custode e il garante.

Di qui la terza ed ultima lezione: quando rivendica le sue prerogative costituzionali, Napolitano tutela la Costituzione formale, che non può essere stravolta da una costituzione materiale introdotta surrettiziamente con la semplice iscrizione della parola "Berlusconi" su una scheda elettorale, come fosse la formula magica della modernità politica. Il premier farà bene a ricordarselo, in vista della battaglia di settembre. Per quanto svilita, la democrazia ha le sue regole. E le regole sono una garanzia per tutto il popolo italiano, non un appannaggio del solo Popolo delle Libertà.


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Pantaleo Gianfreda
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