Perché allarmano i festini selvaggi.

29 Novembre 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Da Noemi a Ruby gli scandali diventano questioni istituzionali. Negli Usa dicono: il premier è più attento alle proprie fortune private che alla cosa pubblica

 
Un premier accompagnato a Washington da “una profonda sfiducia”. Un uomo “incapace, vanitoso”. Un leader europeo “inefficace”, “fisicamente e politicamente debole”, sfibrato e fiacco di giorno dopo le lunghe notti bruciate in wilde partys, in orge e festini. Niente di più e niente di meno che un “portavoce di Putin” in Europa con il quale ha un rapporto “straordinariamente stretto”.
Un rapporto mediato da un oscuro “intermediario italiano”, santificato dalla comune cultura machista che riconduce quell’amicizia a “festini selvaggi”. Un legame celebrato con “generosi regali” e lucrosi e redditizi contratti energetici. Berlusconi potrà anche riderci sopra, come fa sapere, ma il profilo del premier che, secondo el Pais, New York Times, Guardian, Der Spiegel, la diplomazia americana affida al Dipartimento di Stato è avvilente. Anche nei pochi, pubblici scampoli di informazioni – un nulla rispetto ai tremila cablogrammi “italiani” che saranno resi noti nei prossimi giorni – il nostro capo di governo appare un politico inaffidabile, prigioniero di una vita disordinata, vanaglorioso fino al parossismo, indifferente al destino dell’Europa, apparentemente distaccato anche dalle sorti del suo Paese, attratto soprattutto dal versante affaristico della politica.
L’immagine di un Berlusconi attento alle proprie fortune private – più che alla cosa pubblica che è stato chiamato ad amministrare – è così radicata a Washington che addirittura convince, all’inizio di quest’anno, il segretario di Stato americano Hillary Clinton a chiedere alle ambasciate di Roma e di Mosca “informazioni su eventuali investimenti personali” di Berlusconi e Putin che “possano condizionare le politiche estere dei due Paesi”. Come se i due “amici” conducessero gli affari di Stato nell’interesse del proprio portafoglio. Bisognerà leggere con attenzione il contesto in cui fioriscono questi giudizi. Berlusconi in un dispaccio è definito “un alleato preziosissimo” anche se sembra di capire più per la sua debolezza che lo rende manipolabile che per le sue convinzioni politiche e scelte geopolitiche. Bisognerà soprattutto valutare la qualità delle “fonti” dell’ambasciata americana a Roma, avere conferme che siano – come qualcuno suggerisce – “di assoluta fiducia” del presidente del Consiglio.
Perché non dirlo? I documenti riservati della diplomazia americana diffusi da Wikileaks rivelano il Berlusconi che conosciamo e che ostinatamente metà del Paese non può “riconoscere” perché non sa, perché buona parte dei media controllati o influenzati dal Cavaliere non possono né vogliono raccontarglielo. E’ il premier che abbiamo sotto gli occhi tutti i giorni, purtroppo: fragile come può essere fragile chi vive un mondo abitato soltanto da se stesso; debole come è debole chi conduce una vita magnetizzata dal proprio interesse particolare; inadatto a governare come i suoi fallimenti dimostrano ogni giorno; vulnerabile come chi conduce una vita caotica e quindi inaffidabile per chi deve condividere con lui decisioni, scelte, una politica.
Oggi più di ieri, alla luce dei dispacci della diplomazia americana, appare malinconico il tentativo del presidente del consiglio e degli obbedienti corifei di liquidare gli scandali che lo hanno visto protagonista negli ultimi diciotto mesi come “spazzatura”, come gossip, come violazione della privacy presidenziale. Se il premier riceve prostitute nelle sue residenze private diventate sedi del governo; se in quei palazzi (Villa San Martino, Villa Certosa e Palazzo Grazioli) si consumano ogni settimana “festini selvaggi” con decine di giovani donne – alcune minorenni – reclutate alla meno peggio da talent scout professionisti o improvvisati, a volte per disperazione anche sul marciapiede; se gli incontri del Cavaliere con Putin perdono ogni crisma di ufficialità per farsi, in luoghi protetti da occhi indiscreti, personali e riservati con un’agenda che non ha nulla di politico, è un obbligo fare di quelle faccende un “caso” politico. Non si possono nascondere queste abitudini del potere sotto il tappeto come se fossero trascurabile polvere perché quegli affari raccontano la vulnerabilità di Berlusconi, interpellano la credibilità delle istituzioni e, come Repubblica va dicendo da tempo, minacciano la sicurezza nazionale, la reputazione internazionale del nostro Paese. Con buona pace dei maestrini che per conformismo invitavano a parlare di ben altri problemi (pur di non parlare di questo), la riduzione a privacy di questo deficit di autorità e autorevolezza non ha consentito e non poteva consentire a Berlusconi di tirarsi su dal burrone in cui si è cacciato da solo e con la colpevole complicità di chi gli è stato accanto in questi anni.
Dispiace cadere nel convenzionale, ma ora i nodi stanno venendo al pettine e non c’è stato mai un dubbio che questa crisi prima o poi dovesse scoppiare. Perché non ci volevano doti da indovino per comprendere che se sono in giro centinaia di ragazze, protagoniste di quei “festini selvaggi”, il capo del governo può essere umiliato e ricattato in ogni momento. Era sufficiente chiedersi dove finiscono o dove possono finire le informazioni – e magari le registrazioni e le immagini – in loro possesso e concludere che il progressivo disvelamento della vita scapestrata del premier e della sua fragilità privata, che non poteva sfuggire ai nostri partner e al nostro maggiore alleato, rendeva immediatamente Berlusconi indegno della sua responsabilità pubblica, inattendibile per gli alleati e, nel contempo, screditato il nostro Paese nel mondo.
Mettiamo in fila quel che abbiamo saputo in quest’ultimo anno e mezzo. La festa di Casoria; le rivelazioni degli incontri con Noemi allora minorenne; la cerchia di prosseneti che gli riempie palazzi e ville di donne a pagamento, in qualche caso minorenni; la confessione di una donna che è stata pagata per una cena e per una notte con in più la promessa di una candidatura politica. Davvero ci possiamo oggi stupire se Berlusconi appare a Washington un frivolo inetto, meritevole di “una profonda sfiducia”, preoccupato soltanto di organizzare i suoi wilde partys, del tutto disinteressato alla sua diurna agenda di lavoro di un capo di governo? E poi davvero così sorprendente dover oggi trarre delle conclusioni a proposito dell’adeguatezza di Berlusconi alla sua carica pubblica? Lo ha fatto questo giornale e la questione è stata posta anche in parlamento da trentacinque senatori del Partito democratico. Con un’interpellanza interrogarono Berlusconi sulla “potenziale ricattabilità del Primo Ministro italiano e dei rischi a cui potrebbero essere state esposte tutte quelle informazioni, anche segretissime, contenute nei dossier che Berlusconi è tenuto ad esaminare e che riguardano la difesa del nostro Paese e gli impegni cui siamo tenuti per l’appartenenza alla Nato”.
“La questione – spiegò il senatore Luigi Zanda con parole che oggi sembrano un vaticinio – riguarda anche la sicurezza economica dell’Italia. Ad esempio, la delicatezza e la vulnerabilità della nostra posizione (ricordata anche dall’Ambasciatore degli Stati Uniti in Italia), per i rifornimenti energetici e i nostri rapporti con mercati delicati come quelli della Russia e della Libia. Non è difficile comprendere come a un uomo di governo che tratta in prima persona affari di questa natura e di tale consistenza economica e geopolitica, venga richiesto di non ricevere a casa sua decine di donne sconosciute con tanto di registratori e di macchine fotografiche”. “Festini selvaggi” e affari energetici, l’avventura politica di Berlusconi pare essere tutta qui.

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Pantaleo Gianfreda
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