I 50 anni di sacerdozio di don Celestino, uomo di carità

24 Giugno 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Settimana intensa di iniziative religiose e civili per le “nozze d’oro” con la Chiesa di don Celestino Tedesco, ordinato sacerdote il 28 giugno 1960. A Collepasso dal 1962, prima come viceparroco di don Salvatore Miggiano, poi, dal dicembre 1984, parroco della parrocchia “Cristo Re” e, dal dicembre 1990, della Chiesa Madre. Già iniziata la settimana di Celebrazioni eucaristiche, che culmineranno domenica 27 giugno con la concelebrazione dell’Arcivescovo e lunedì 28 con quella di Don Celestino. Giovedì 24, presentazione del libro “Dicono di te”. Venerdì 25, la Compagnia teatrale “La Busacca” presenta “Napoli milionaria”. Sabato 26, alle ore 19.30, in Largo Municipio, Consiglio comunale aperto per l’omaggio dell’intera comunità. Di seguito un mio pensiero per don Celestino, pubblicato in “Dicono di te”. 

 

don_celestino_tedesco_50_anniversario
Da 50 anni, di cui 48 a Collepasso, don Celestino Tedesco è, per tutti, semplicemente don Celestino. Non ha mai cercato “pompe ed onori” dalla Chiesa-istituzione. “Sa ben che Iddio non fra pompe ed onori, ma nascer volle fra incolti pastori”. Ha avuto ed ha affetto, amore e stima dalla Chiesa “popolo di Dio”. La Chiesa che lui ha più amato e servito. 

don_celestino_tedescoDon Celestino, come tanti sacerdoti, ha vissuto l’oriente della sua pluridecennale esperienza sacerdotale in un’era di profondi cambiamenti. Era stato appena ordinato, quando Giovanni XXIII, con “un’intuizione profetica”, volle il Concilio Vaticano II (1962-65). Un Concilio che “inaugurò una stagione di speranza per i cristiani e per l’umanità” (Giovanni Paolo II) e indicò “una vocazione all’autenticità cristiana, alla coerenza tra la fede e la vita, alla professione reale, nel cuore e nelle opere, della carità” (Paolo VI). Un Concilio che doveva anche aprire una fase di dialogo con il mondo moderno, cercando, come disse Papa Roncalli,  soprattutto “ciò che unisce”.

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Don Celestino, in quei tempi, ha vissuto talora con sofferenza il passaggio dalla Chiesa preconciliare, in cui è avvenuta la sua formazione, a quella conciliare, che lo ha poi visto protagonista e pastore convinto. Egli è stato ed è, nell’esercizio del suo ministero sacerdotale, “ponte” trascendente che “mette in relazione Dio con gli uomini e gli uomini con Dio”. Al contempo, però, ha saputo essere, per la comunità parrocchiale di Collepasso, “ponte” immanente e sapiente dalla tradizione alla modernità. Guidato da una profonda fede e da un robusta cultura, capaci di leggere i “segni dei tempi” e dialogare con tutti, cercando “ciò che unisce”.

La vita e l’azione di don Celestino sono coerentemente “conciliari”. Con pudore, passione e umiltà, ha servito il “popolo di Dio” con il “grembiule”. Secondo l’immagine di don Tonino Bello, suo amico presso il seminario di Molfetta. Questi scriveva: “… la stola ed il grembiule sono quasi il diritto ed il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l'altezza e la larghezza di un unico panno di servizio: il servizio reso a Dio e quello offerto al prossimo”.

Il “grembiule” è paradigma ed esercizio coerente della virtù cristiana per antonomasia: la carità.

In tempi diversi, era quanto sosteneva il Santo Curato d’Ars, Patrono dei parroci. “Tutta la nostra religione – diceva Giovanni Maria Vianney – non è che religione falsa e tutte le nostre virtù non sono altro che fantasmi; e siamo soltanto degli ipocriti agli occhi di Dio, se non abbiamo quella carità universale per tutti… non c'è virtù che meglio ci faccia conoscere se siamo i figli del buon Dio, come la carità”.

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Don Celestino ha esercitato ed esercita la virtù della carità, nella fedeltà assoluta al Vangelo.

Grazie, don Celestino, uomo di carità e di dialogo, per i tuoi esempi ed i tuoi insegnamenti!


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Pantaleo Gianfreda