Cambiare è possibile.
31 Maggio 2011Spread the love
Da Milano e Napoli, con percentuali che soltanto un mese fa sembravano impossibili, l’Italia dei Comuni manda un chiaro segnale a Silvio Berlusconi: è finito il grande incantamento, il Paese vuole cambiare pagina. La svolta nasce nelle città che scelgono i sindaci di centrosinistra e bocciano la destra, ma il segnale è nazionale ed è un segnale politico che parla ormai chiaro. Dopo il primo turno i ballottaggi confermano che Berlusconi è sconfitto al Nord come al Sud, è sconfitto in prima persona e attraverso i candidati che ha scelto e sostenuto, è sconfitto nel bilancio negativo che gli italiani hanno fatto non soltanto del suo governo, ma ormai della sua intera avventura politica.
Nell’Italia pasticciata di questi anni, il voto fa chiarezza, perché è univoco. Dopo Torino e Bologna, riconfermati già al primo turno, passano ora al centrosinistra con Milano anche Trieste, Novara, Pordenone e Cagliari, mentre De Magistris addirittura sfonda a Napoli, quasi doppiando il suo avversario. Il tentativo di rimpicciolire il risultato, d’incantesimo, a una dimensione locale (dando tutta la colpa della sconfitta ai soli candidati-sindaco) è patetico, da parte di chi lo ha trasformato in un test nazionale per un mese intero, mettendo a ferro e fuoco la campagna elettorale.
Quando a Milano il sindaco uscente è stato fermato sotto il 45 per cento da Pisapia, salito al 55,1, è chiaro che la capitale spirituale e materiale del berlusconismo si è ribellata a questo ruolo, riprendendo la sua autonomia e chiudendo un ventennio. Quando a Napoli De Magistris ha stravinto con il 65,4, lasciando Lettieri al 34, 6, vuol dire che le promesse di Berlusconi sui rifiuti e gli abusi edilizi non sono state credute, e l’alternativa al malgoverno della città è stata cercata non a destra ma a sinistra, dov’era presente una forte discontinuità. Berlusconi non convince quando governa coi suoi sindaci, non vince quando si propone coi suoi uomini come alternativa. Ma perde anche nelle roccheforti della Lega, come nel novarese o a Gallarate, portando la sua crisi personale e politica come una bomba nel corpo inquieto del grande alleato: che dopo aver lucrato elettoralmente (e in termini di potere) nella corsa al traino del Pdl oggi scopre la negatività di quel legame così stretto da soffocare ogni identità autonoma dentro gli scandali del premier, nell’incapacità di governare, nell’annuncio continuo di una pseudoriforma della giustizia che è in realtà un puro privilegio personale del sovrano, alla ricerca ossessiva di un volgare salvacondotto.
È a tutto questo che si è ribellato il Paese. E soprattutto alla falsa rappresentazione di sé, con una propaganda forsennata e suicida che ha presentato Milano come la capitale del male, in balia di tutto ciò che secondo Berlusconi può spaventare una borghesia immaginaria e da strapazzo, zingari, islamici, gay e terroristi: una città che può essere salvata e redenta soltanto dalla mano del Grande Protettore. Con questa predicazione di sventura (ripetuta dopo la sconfitta: “Vi pentirete”), l’ex “uomo col sole in tasca” non si è accorto di proiettare un’idea spaventosa e malaugurante dell’Italia, che i cittadini hanno giudicato pretestuosa, negativa e menzognera.
La prima lezione è che non si può guidare un Paese, dopo aver ottenuto il consenso popolare, e contemporaneamente parlare come se si fosse all’opposizione di tutto, lo Stato, le sue istituzioni, i suoi legittimi poteri, persino il buonsenso. Questo estremismo ideologico sta perdendo Berlusconi, e ha rotto l’incantamento, insieme con le promesse mancate, la compravendita ostentata, gli scandali, la legislazione ad personam.
La cifra complessiva che unisce tutto ciò è la dismisura, la disuguaglianza, l’abuso di potere e il privilegio. Ma questo abuso trasformato in legge, la dismisura che si fa politica, la disuguaglianza che diventa norma, il privilegio che deforma l’equilibrio tra i poteri, sono ormai la “natura” di questa destra, risucchiata per intero – dopo l’espulsione della corrente finiana, l’unica capace di autonomia – dentro il vortice berlusconiano che nella disperazione travolge ogni cosa pur di aprirsi un varco di sopravvivenza. Per questo sono ridicoli i distinguo degli araldi berlusconiani che solo nelle ultime ore hanno incominciato ad imputare al Capo i suoi errori, dopo averlo eccitato ad ogni eccesso nei mesi della fortuna, quando vincere non bastava, bisognava comandare, e governare non era sufficiente, si doveva dominare.
È questa gente che ha aiutato Berlusconi a disperdere il tesoro di consenso conquistato due anni fa, e oggi non sa suggerirgli altro che qualche capriola pirotecnica, qualche giochetto da predellino, qualche invenzione nelle sigle e nella toponomastica politica, come se il problema del Premier e della destra fosse di pura tattica e non di sostanza – di “natura”, appunto – e tutto si risolvesse nella propaganda, amplificata dai telegiornali. Invece quando si esce dall’incantamento bisogna fare i conti con la politica. Il Paese non è governato, e il voto lo conferma. La compravendita a blocchi dei parlamentari dà un’illusione di forza numerica, ma non dà vita ad una coalizione politica coerente e coesa. L’attacco forsennato alla magistratura, alla Consulta, al Quirinale, ai cittadini che la pensano diversamente sfibra il Paese e lo calunnia nelle sue istituzioni, cioè nel suo fondamento costituzionale e repubblicano, che andrebbe preservato dalla battaglia politica.
Berlusconi trasmette sempre più – fino alla drammatica immagine del colloquio con Obama – l’idea di un leader alieno nelle istituzioni che dovrebbe non solo guidare, ma rappresentare. È un uomo che sfida lo Stato e non vi si riconosce appieno, e che oggi ha perduto anche il contatto con quel “popolo” che ha sempre contrapposto alla Repubblica e persino al cittadino. Un uomo di Stato, dopo una simile sconfitta, con la posta fissata così in alto, dovrebbe dimettersi. Ma conoscendo il Premier non è il caso di pensarlo: per ora. Assisteremo a proclami roboanti e promesse mirabolanti, e non sarà difficile riconoscere dietro le parole l’ansia di un leader che perde terreno, deve alzare ogni giorno l’asticella, avverte il distacco dell’alleato e la diffidenza del suo stesso partito. Per questo il Premier dopo un breve travestimento da moderato tornerà irresponsabile, dando fuoco a tutte le sue polveri, infiammando di bagliori anti-istituzionali un’agonia che – come diciamo da anni – sarà terribile.
Così facendo, sarà lui a suscitare un arco di forze davvero responsabili, repubblicane, che si troveranno fatalmente insieme a difendere ciò che deve essere difeso, dalla Costituzione al Quirinale, alle istituzioni di controllo e di garanzia. In questo quadro, il Pd sta dimostrando di essere una struttura servente della democrazia repubblicana, perno dell’opposizione e di ogni alternativa, e il suo leader prende forza ad ogni passaggio. Il Terzo Polo ha dato prova di essere irriducibilmente autonomo dal potere di questa destra, e portatore di una cultura delle istituzioni, che dà un senso al moderatismo, sopravvissuto alla maledizione berlusconiana. L’area di Vendola e Di Pietro sa proporre a tutta la sinistra (e persino al centro) uomini e soluzioni nuove, per vincere.
La novità infatti è il vero segno di De Magistris e Pisapia, insieme con la diversità dal modello berlusconiano. E la prima diversità è la serenità, la sicurezza, l’ironia. Anche per questo il cupo arrocco berlusconiano, che tenterà di chiudere a pugno le forze residue intorno ad un governo già condannato, è una risposta vecchia e disperata alla crisi che da oggi è aperta. L’Italia non può essere imprigionata nel pantano perdente di Berlusconi, dopo che con il voto ha scelto di cambiare. Un’altra politica è possibile, un altro Paese la pretende.
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