È ora di scendere in piazza.
29 Gennaio 2011Spread the love
Caro Direttore, il momento che vive il paese è tra i più drammatici che l’Italia abbia mai conosciuto. La sensazione di sfarinamento delle regole minime della vita civile, l’arroganza di chi detiene il potere, la delegittimazione intollerabile del prestigio della nazione all’estero si accompagnano ad una pericolosa sensazione di impotenza e di sfiducia dei cittadini.
Un mondo sta finendo, un mondo durato diciassette anni, che ha stravolto il paese senza introdurre una sola modernizzazione. La vita politica è stata imprigionata dentro un’anomala dialettica tutta negativa. Solo qui gli schieramenti e le esperienze di governo si sono consumati esclusivamente “contro” impedendo al paese di conoscere ciò che è suo diritto conoscere: riforme, modernizzazioni, pagine nuove di giustizia sociale e diritti collettivi. Solo il primo governo Prodi, con l’obiettivo dell’euro, è riuscito a mobilitare le coscienze e dare al paese la sensazione di essere proiettato verso una meta collettiva. Quel mondo sta finendo, ma non finisce. E anzi sta abbarbicato ad istituzioni che si cerca di piegare ancora una volta a ragioni meschinamente personali. Fino al punto di mettere in gioco il destino stesso dell’Italia. Cinismo, da “avvelenatori di pozzi”.
Oggi l’Italia è un paese stanco, sfibrato, nauseato. E la crisi bussa violentemente alle porte delle famiglie trovando ragazzi imprigionati nella trappola della precarietà, lavoratori in cassa integrazione, piccoli imprenditori schiacciati da burocrazia e stretta creditizia, talenti con la valigia in mano. E, in tutti, una paura nuova per gli italiani. La paura del futuro. E la sensazione che la politica sia non la soluzione, ma uno dei fattori della crisi. Esiste il rischio che si faccia strada la frustrazione che, spesso, genera radicalizzazione disperata. Dobbiamo evitarlo, tutti insieme. Cercando di fare in modo che questa crisi devastante finisca, dando spazio alle energie sane del paese. In questo momento molti elettori che hanno votato per il centrodestra sentono un disagio profondo anche se stentano a individuare un’alternativa credibile.
Ora però è il momento non di dividersi sul futuro. Ma di dare forza non alla rabbia ma alla speranza. È ora che questo paese faccia sentire la sua voce. Il paese che intraprende, il paese che ha talento, il paese che fatica, il paese delle persone perbene, che sono tali indipendentemente dalle loro opinioni e sensibilità culturali, civili, politiche. C’è una Italia migliore di quella che domina la vita pubblica. Non un’altra Italia, ma la nazione vera o larga parte di essa. So bene che anche le ultime vicende ci raccontano di quanto siano arrivati in profondità i guasti del berlusconismo. Ma non accetto la rassegnazione di chi dice che ormai tutto il paese è perduto. Non è così. Ci sono energie immense. È semmai la politica, chiusa in se stessa, che non riesce ad esprimerle e a farle pesare.
Per questo penso che, per accelerare la transizione, sia bene entri in campo la soggettività dei cittadini. Come sta già avvenendo con le raccolte di firme e con appelli sottoscritti sulla rete. Entri in campo prima che vincano rassegnazione o radicalizzazione. Uscire da questo immobilismo malato, da questa rissosità inconcludente è una esigenza avvertita dall’intero paese. E allora mentre Berlusconi riunisce i suoi per scagliarsi contro i magistrati e lanciare un’altra campagna di odio io credo che si apra uno spazio grande e importante per mandare un messaggio nuovo e forte. Sarebbe bello se tutte le forze politiche di opposizione, le organizzazioni sindacali dei lavoratori e dell’impresa, i mezzi di comunicazione e le associazioni del volontariato, i singoli cittadini promuovessero una giornata di impegno civile nel nome dell’Italia che crede nella democrazia, nelle regole, nel valore del lavoro e dell’impresa, che vorrebbe solamente avere un paese dinamico, in cui esista pluralismo, senso dello stato, rispetto reciproco.
Un’altra Italia, rispetto a quella violenta e inane di oggi. Un paese possibile. Sarebbe allora bello se in uno stesso giorno, in una stessa ora, in tutti gli ottomila comuni italiani, nessuno escluso, i cittadini si riunissero nella piazza centrale, per dire “giriamo pagina, ritroviamo l’Italia”. Una manifestazione civile, non di parte. Senza bandiere, senza comizi che possano dividere. Una grande festa della democrazia italiana, in cui sia protagonista l’autorganizzazione civile. Un momento fatto vivere dalle comunità dei cittadini. Occasioni nelle quali anche un elettore deluso dal centrodestra si possa ritrovare. Sarebbe la più grande manifestazione della storia italiana. In cui si attiverebbe un protagonismo diffuso. Non organizzare il pullman per andare a Roma o a Milano a sentire un comizio. Ma far vivere nella più piccola come nella più grande piazza italiana l’indignazione e la speranza.
Se a Pieve di Soligo o a Mazara del Vallo, in quei luoghi meravigliosi che sono le piazze dei comuni italiani, si ritrovassero, come è possibile, milioni di persone, sarebbe anche il modo più bello di celebrare i centocinquanta anni di questo grande paese. E far capire a tutti gli italiani chi divide e semina odio e chi unisce e apre alla speranza. E sono sicuro che ai luoghi fisici si aggiungerebbero migliaia di piazze virtuali. “L’Italia in piazza”, come si intitola lo splendido libro di Mario Isnenghi, ha cambiato spesso il destino della nazione. Dimostriamo che c’è un’Italia che ha solo voglia di girare pagina. Dimostriamo che dopo il tempo di Berlusconi inizia il tempo degli italiani. Che vogliono vivere il loro futuro in una comunità solidale, non in un saloon rissoso.
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