Il Quirinale in campo.

19 Aprile 2011 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Dinanzi alle parole violente e alle iniziative aggressive di un uomo che ha preso dimora stabile nell’inimicizia, si attendeva una parola saggia del presidente della Repubblica. Una parola che potesse indicare a tutti - e soprattutto a Silvio Berlusconi - un limite. Il confine insuperabile per una democrazia e per le istituzioni che la governano prima che quell’inimicizia privatissima e ostinata e ossessiva le distrugga. Prima che la stessa identità del sistema diventi rovina, macerie.

 
Quella parola saggia ora è arrivata dal Quirinale. Con una lettera al vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, Giorgio Napolitano ha deciso di dedicare “il Giorno della Memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi” (il 9 maggio) ai servitori dello Stato che hanno pagato con la vita la loro lealtà alle istituzioni repubblicane. “Tra loro - scrive il capo dello Stato - si collocano in primo luogo i dieci magistrati che, per difendere la legalità democratica, sono caduti per mano delle Brigate Rosse e di altre formazioni terroristiche”.
Ricordiamone i nomi: Emilio Alessandrini, Mario Amato, Fedele Calvosa, Francesco Coco, Guido Galli, Nicola Giacumbi, Girolamo Minervini, Vittorio Occorsio, Riccardo Palma e Girolamo Tartaglione.
Non c’è alcun convenzionalismo nella mossa del Capo dello Stato. Napolitano non tace le ragioni più autentiche della sua scelta. Che è esplicita e suona come un atto di accusa contro chi, come il capo del
governo, da settimane aggredisce, insinua, minaccia, ingiuria, calunnia cianciando di “brigatismo giudiziario”, premessa politica - e mandato morale - per un figurante, candidato a Milano nella lista del Pdl, che ha fatto affiggere manifesti che diffondono, con gran dispendio di mezzi, la stessa convinzione del premier: “Via le Br dalle procure”.
“La scelta che oggi annunciamo per il prossimo Giorno della Memoria - scrive Giorgio Napolitano - costituisce una risposta all’ignobile provocazione del manifesto affisso nei giorni scorsi a Milano con la sigla di una cosiddetta “Associazione dalla parte della democrazia”. Quel manifesto rappresenta una intollerabile offesa alla memoria di tutte le vittime delle Br, magistrati e non. Essa indica come nelle contrapposizioni politiche ed elettorali, e in particolare nelle polemiche sull’amministrazione della giustizia, si stia toccando il limite oltre il quale possono insorgere le più pericolose esasperazioni e degenerazioni. Di qui il mio costante richiamo al senso della misura e della responsabilità da parte di tutti”.
Napolitano indica un confine, abbiamo detto. Si può dire, un primo limite, un primo confine alla “strategia del ricatto” che Berlusconi ha inaugurato per rendersi immune dai processi che possono svelare quanto corrotta sia stata la sua avventura imprenditoriale (Mills) e quanto disonorevole e ricattabile e irresponsabile sia la sua vita di capo del governo (Ruby).
Il dispotico egomane pretende di essere “tutelato”, come dice. Strepita, gesticola, urla, aizza rumorose pattuglie di comparse a pagamento. Esige che il Parlamento diventato cosa sua, proprietà personale, approvi leggi che lo liberino dalle accuse, dai processi, dai giudici di Milano: le manifestazioni che organizza dinanzi al palazzo di giustizia palesemente vogliono costruire le condizioni di un trasferimento dei dibattimenti in un’altra sede “per gravi motivi d’ordine pubblico”, un espediente per allontanarlo dal giudice naturale. La prescrizione ancora più breve (approvata alla Camera, ora al Senato) non gli può bastare. Reclama che anche il processo per concussione e prostituzione minorile sia sospeso in attesa che la Corte costituzionale decida se il Parlamento può stabilire contro i giudici la “ministerialità” dei reati contestati al Cavaliere. In caso contrario, una nuova legge è già pronta. Per condizionare le volontà della magistratura, influenzare le scelte della Consulta, ottenere (come dicono spudoratamente gli araldi del potere berlusconiano) un impegno di Giorgio Napolitano “in una sorta di moral suasion sulla Corte costituzionale, chiamata ad esprimersi”, il premier spinge la riforma costituzionale della magistratura; la responsabilità civile delle toghe; la legge bavaglio sulle intercettazioni; l’introduzione del quorum dei 2/3 per le decisioni della Consulta che abrogano una legge per incostituzionalità. Berlusconi le chiama “riforme”. Sono soltanto le poste del ricatto che egli lancia contro le istituzioni della Repubblica. Il programma, dimentico delle vere necessità di un Paese in crisi abbandonato al suo destino da un governo fantasma, ha un solo obiettivo: mostrare come il premier sia disposto - se non ottiene la “tutela” immunitaria - a “decostituzionalizzare” la nostra democrazia, come dice Stefano Rodotà, ribaltandone i principi, le regole, gli equilibri, i poteri.
Napolitano è il primo e più autorevole ostacolo a questo disegno ricattatorio. Dovrà decidere della ragionevolezza della prescrizione breve. Giudicare l’esistenza di una palese incostituzionalità di un riforma del pubblico ministero che affida a leggi ordinarie - e quindi a chi governa momentaneamente in Parlamento - materie oggi protette dalle garanzie della Carta fondamentale. Difendere l’indipendenza della Corte costituzionale dalla longa manus del potere politico. Vigilare sui diritti dell’informazione. Le sagge parole di oggi, ricordano a chi vuole screditare le istituzioni e ribaltare l’equilibrio democratico che c’è un limite oltre il quale si manifestano “degenerazioni” che egli non tollererà. A Napolitano è toccato in sorte il più ingrato dei ruoli politici. È il custode della Costituzione. È chiamato a difenderla e proteggerla da partiti e uomini che, in quella Costituzione, non credono; che quella Costituzione disprezzano e umiliano. È la condizione estrema in cui si trova il nostro presidente della Repubblica. Avrà bisogno del sostegno di tutto il Paese per affrontare i conflitti che lo attendono.

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Pantaleo Gianfreda
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