La Memoria.
27 Gennaio 2011Spread the love
Non riesco a dormire. La notte oramai è piena, così come lo sarà il sole di domani, ma io non so dormire, non so dimenticare ciò che vedo e sento. E’ come se nel mio DNA mi portassi dietro il segno profondo di ciò che ”un giorno particolare” rappresenta.
Mio padre è rimasto orfano di suo padre a 25 anni. Mio nonno soffriva di cuore, ha avuto pesanti deficit respiratori e poi la morte.
Mio nonno da ragazzo è stato fatto prigioniero in un campo di concentramento molto simile a quelli che scorrono sugli schermi oggi. C’era la guerra, il pane era un sogno, le bucce di patate l’unico pasto possibile, se possibile. Mio nonno portava scarpe di cartone, scavava trincee ed era obbligato a costruire bombe, che avrebbero colpito suoi connazionali. Lui ed i suoi compagni di prigionia a rischio e pericolo della propria vita (un colpo di pistola netto alla tempia per risparmiare colpi) sabotavano le spolette, affinchè non esplodessero. Marciava di notte nelle neve alta, con la febbre alta, la bronchite, vestito di stracci, per quella che sembrava una morte per induzione. Intanto la mia bisnonna non poteva sapere che era vivo, suo figlio, sino a che i polacchi non lo riportarono in Italia liberandolo. La mia bisnonna era vestita a lutto e non lo riconobbe, aveva la barba ed i capelli lunghi, il corpo magrissimo e senza anima nè carne, solo ossa ed ombra. Il tempo poi passò. Lui incontrò la donna di cui porto il secondo nome e venne alla luce mio padre. Mio nonno io non l’ho mai conosciuto, ma dagli occhi di mio padre, io lo vedo, lo sento… e toccando con le mani i solchi della penna di mia nonna buonanima sulle cronache che le dettava, ho i brividi. Fanno paura le cose lette, alla luce di un presente potenzialmente’ incendiario’.
Mio nonno non si è mai più ripreso, ne ha sofferto sempre, è rimasto provato, segnato. Il dolore profondo l’ha segnato fisicamente, ma ancor di più la sua anima è stata fatta prigioniera della paura e mai più liberata. Ciò che aveva visto e provato lo aveva cambiato per sempre. Suo fratello, il mio pro zio ebbe un destino simile per crudeltà. Fini in un lager vero e proprio, un lager di morte, di quelli che non accettano le diversità, un lager nazista, di ebrei, scambiato per un fratello ebreo. Morì poco dopo, una volta tornato a casa.
Ps: mio nonno, Rocco Pantaleo Leo, con un decreto del Presidente della Repubblica, sarà insignito di un riconoscimento il 31 gennaio: la medaglia d’onore per essere stato internato e destinato al lavoro coatto nei lager nazisti dell’ultimo conflitto mondiale. Verrà consegnata nelle mani di mio padre, Oronzo.
Eppure non l’ho mai incontrato, se non nelle parole di mio padre, ma non lo dimenticherò mai.
Ovunque sia ora, lo abbraccio con il cuore negli occhi e gli lascio le mie parole in versi. Non dimenticheremo nonno niente e nessuno, ora più che mai saremo saldi e fedeli ai principi di pace.
Ogni giorno appuntiamo un sogno al vento,
nell’attesa che l’ombra cali
e si alzi una farfalla,
una mosca, oltre l’orizzonte e le grate.
Ogni giorno il sogno si fa di carbone
ma spentosi col fuoco
rimane come sterile,
fiacco tentativo alla vita.
Ogni giorno guardo gli occhi
dei miei fratelli e delle mie sorelle,
e mi appaiono scodelle vuote,
appena unte di latte, mai bianco,
mai caldo e mai sazio
è lo stomaco, né il cuore
che si spezza, si sbriciola
sotto il peso della morte.
E ci sarà un giorno in cui
tutto prenderà un altro colore,
mi dico, d’autunno, marrone e giallo,
ed il cielo sarà macchiato dai fumi del focolare,
e si sazieranno i miei fratelli al banchetto
della sera, intingendo le dita
senza pensare, nel sole già basso.
Ogni giorno appuntiamo un sogno al vento,
nell’attesa che l’ombra cali.
Irene Ester Leo
“Occorre fornire alle nuove generazione gli strumenti, anche empirici, per riflettere su cosa l’umanità è stata in grado di fare, perché non accada mai più.
Questo, forse, è il senso più vero del Giorno della Memoria, ed è un bene prezioso per tutti.”
( http://www.ucei.it/giornodellamemoria/index2.htm)
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