Venerdì 27 gennaio: Giornata della Memoria

27 Gennaio 2012 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Il dovere della memoria per non ripetere le atrocità del passato

 
«La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, “Giorno della Memoria”, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati»  
(Art. 1, legge n. 211 del 20 luglio 2000)
 
Sulla giornata odierna una riflessione della poetessa collepassese Irene Leo, pubblicata sulla sua pagina facebook
 
Memoria – 27 gennaio d’ognisempre.
 
La memoria: importante meccanismo che preserva del passato gli assiomi essenziali, le bellezze integre, affievolisce l’ombra, la rende accettabile e spesse volte la lascia cadere. La memoria e noi e il mondo.
Ma abbiamo memoria delle cose veramente? La ricordiamo la prima parola detta, il primo bacio, il caffè al bar con la persona del cuore, cosa abbiamo mangiato ieri a pranzo, il motivo di un litigio, l’utopia di certe scelte? Non sempre e parliamo di fatti che ci riguarderebbero di persona, badate bene. La memoria degli accadimenti altrui è un altro capitolo, le cui tesi a favore, sono ancora più complicate da difendere o sorreggere.
Spesso non ricordiamo, non per mala fede, ma disattenzione pura. Diseducazione alla memoria.
La ricordiamo ad esempio la storia? La storia non solo della nostra Italia, ma LA storia, quella che molti di noi hanno letto sui libri soltanto ed altri vissuta, sopravvissuta. Molti sono sopravvissuti alla storia e portano sulla pelle ancora i segni e portano nel cuore immani cicatrici. Mi piacerebbe che la giornata della Memoria ci insegnasse ad aver Memoria. A ricordare, a prestare orecchio, ad accendere il buon senso, ad accogliere la vita nella sua alta accezione, a mettere da parte il senso dell’individualismo, della perfezione a tutti i costi, dell’urlata affermazione assoluta del se’ a discapito di altri. E questo avviene anche tra noi quotidianamente, esercitiamo piccole violenze, che poi cancelleremo senza nulla ricordare, qui nel nostro presente.
Mi piacerebbe invece, che ricordare non fosse un meccanismo passivo ma attivo. Un meccanismo di sorta sorretto da quanto è già accaduto, dalla percezione reale di morte e dolore, caduta della dignità, sterminio di anime innocenti, sorretto dall’evidenza dei fatti, dall’ammissione di colpa e dalla condanna netta e chiara dei colpevoli, dalla condanna di pensieri, azioni, filosofie aberranti. Un meccanismo sorretto da un monito essenziale:
impara ad amare, ricorda di amare.
Mi piacerebbe poter guardare al cielo e poter promettere, con forza piena e la sicurezza di non essere una voce sola, mai più!
 
L’odore del vento,
ha il colore delle pece,
e cade pesante dalle narici al cuore.
I capelli di mia madre erano chiari
come le albe della mia finestra,
erano lunghi come le onde del mare.
Dove sono i tuoi capelli, chiesi a mia madre.
Mentre mi carezzava il capo levigato,
lei piangeva per me.
Le sue lacrime erano dolci,
e ammorbidivano la pelle attorno
alla mia anima sepolta,
lasciando fiorire un filo d’erba.
Ma era nero, senza colore.
Hanno ucciso tutti i colori,
in un giorno soltanto,
come uno sparo in mezzo al cielo,
uno solo per non sprecare il piombo.
E sono morto, assieme a mia madre
che mi stringe.
E sono morto e muoio ancora
tra la patina della dimenticanza
e per ogni ora priva di amore.
Com’erano belli i capelli di mia madre….
 
Irene Ester Leo

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Pantaleo Gianfreda
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