19 luglio 1992: strage di via D’Amelio. Il ruolo e il valore della memoria vent’anni dopo

19 Luglio 2012 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Palermo, 19 luglio 1992. Dopo soli 57 giorni, l’Italia piange di nuovo un suo servitore dello Stato condannato da Cosa Nostra solo per aver scelto di compiere il proprio dovere fino in fondo.  Alle ore 16:58 una carica esplosiva di circa 100 kg di tritolo parcheggiata in via D’Amelio determina la scomparsa del giudice Borsellino e di cinque agenti di scorta.

Nella mente e nel cuore di tutti il 1992 resta e resterà l’anno del dolore e delle verità nascoste.

Sono già trascorsi 20 anni da quel capitolo tuttora troppo oscuro della nostra storia recente e non sappiamo ancora chi e con quali complicità abbia compiuto quella strage. In questa importante ricorrenza si torna a parlare di “trattativa mafia-Stato”, ma tale argomento richiede un lungo dibattito e altra cosa sarebbe disquisire sull’opportunità (morale soprattutto) che uno Stato di diritto, democratico e sovrano, si pieghi a contrattare con la criminalità organizzata per poi porsi come paladino dell’antimafia. V’è l’obbligo, tuttavia, di non dimenticare e di tenere accesa la fiaccola della memoria con lo scopo di chiedere verità e giustizia e di sostenere tutti i servitori dello Stato che si sono impegnati  affinché la nostra Costituzione fosse tradotta in fatti. 

In occasione delle manifestazioni del 23 maggio svoltesi a Palermo per ricordare Giovanni Falcone, il presidente Napolitano afferma: “Ragazzi, scendete al più presto in campo per rinnovare la politica e la società nel segno della legalità e della trasparenza”. Possa questo messaggio essere la base su cui fondare l’educazione e la cultura delle nuove generazioni ben più capaci di reagire. Ricordare vuol dire assumersi la responsabilità di cambiare; spetta ai giovani recuperare un’eredità inestimabile e concretizzarla. Il raggiungimento della verità sarà possibile mettendo in atto gli insegnamenti di vita, prima che professionali, dei grandi eroi che ci hanno preceduto. Perciò, dunque, chiunque può riscrivere l’agenda rossa, scomparsa dal luogo della strage, facendo cadere il muro dell’omertà che troppo spesso comporta la complicità e il compromesso morale con realtà mafiose e non.

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È necessario, parafrasando le parole del giudice Borsellino, che la repressione a qualsiasi tipo di criminalità parta dal rifiuto civile, prima che giudiziario, del fenomeno.

Sfortunatamente l’indifferenza resta protagonista indiscussa tra tutti coloro che si nascondono dietro la retorica dell’antimafia che, in quanto tale, maschera una realtà contraria ai buoni progetti pronunciati; tra coloro che si lasciano trasportare dalle convenzioni e dall’idea che nulla, mai, potrà cambiare.

In effetti forse adesso, come allora, nulla è cambiato e quegli uomini rari che abbiamo pianto come eroi, oggi appaiono come inutili sacrifici davanti a una giustizia agonizzante. La “malapianta” ha subìto solo una scarna potatura ma rimane una pianta sempreverde con radici purtroppo infinite.

Perché una società vada bene, si muova nel progresso, nell’esaltazione dei valori, per avviarsi serena nel cammino verso un domani migliore, basta che ognuno faccia il suo dovere” (Giovanni Falcone). 

Miriana Pellegrino

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