Cinque anni fa moriva don Grazio Gianfreda, studioso del Mosaico di Otranto

Cinque anni fa moriva don Grazio Gianfreda, studioso del Mosaico di Otranto

4 Gennaio 2012 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Mercoledì 4 gennaio, ore 17.30, Cattedrale di Otranto, S. Messa
 
Cinque anni fa, il 4 gennaio 2007, presso l’Ospedale di Tricase, dove era stato ricoverato per un leggero malore, si spegneva improvvisamente Mons. Grazio Gianfreda, originario di Collepasso, parroco della Cattedrale di Otranto per vari decenni e studioso insigne della storia salentina e idruntina e, in particolare, del Mosaico pavimentale della Cattedrale e dei suoi profondi significati, opera del monaco basiliano Pantaleone nel XII secolo.
Don Grazio era molto legato al suo paese natìo, nel cui cimitero è stato tumulato e dove riposa nella Cappella di famiglia accanto ai suoi cari genitori, fratelli e parenti.
Mercoledì 4 gennaio, alle ore 17.30, presso la Cattedrale di Otranto, sarà celebrata una Santa Messa in suo suffragio.
In suo ricordo, mi piace riportare di seguito un mio articolo pubblicato da “La Gazzetta del Mezzogiorno” il 5 aprile 2007, a 90 giorni dalla sua morte.
 
Don Grazio: una straordinaria figura di sacerdote, di uomo, di studioso
 
Pensare che don Grazio non ci sia più è ancora inconcepibile. Per me, era come se fosse immortale. Scherzando, dicevamo spesso che zio Grazio avrebbe seppellito tutti noi. Tanto sembrava forte la sua tempra. Tanta inesauribile la sua vitalità. Tanto infinito l’anelito alla vita. Tanta l’energia che sprigionava.
Invece, ho visto quel corpo disteso. Immobile. Nella sua casa. Ad Otranto. Da 50 anni la sua città. Affacciata sul mare. Verso l’Oriente. Ad uno sguardo dalle montagne d’Albania. Quel corpo adagiato in una bara. Adornato dai paramenti sacri. Pronto a presentarsi alla venerazione dell’Altissimo. Come si conviene ad un suo ministro. “Ecce sacerdos magnus, qui in diebus suis placuit Deo…”. Don Grazio, “sacerdote grande… che piacque a Dio”. Ho visto quel sacerdos magnus e quell’uomo grande. Immobile. Espressivo. Illuminato dal sereno sorriso dei Giusti. Ho fissato lungamente quel viso fatto oggetto di venerazione, pianto, tristezza, amore da parte di tanti. Ho visto l’affetto enorme che lo circondava. Impressionante, nella Cattedrale, quell’interminabile corteo di sacerdoti vestiti di bianco. Bellissimo il ricordo nell’omelia del Vescovo.
Ho, poi, ancora, accarezzato il suo viso. Nella nuova Cappella del Cimitero di Collepasso. Il viso disteso. Il tocco freddo. L’espressione tranquilla. Profonda. Sommersa in una spiritualità intensa. Come se, volato via l’ultimo sorriso terreno, si fosse immerso nella profondità della comunione con Dio.
Collepasso: il suo amato “borgo natìo”. Così impresso nella sua memoria. Nei suoi ricorrenti ricordi infantili di piccolo ribelle. Deliziosi i racconti delle sue scorribande. Gli scontri. Le mazzate tra fazioni di quel terribile inizio del ‘900. Era nu diavulu. Mio padre, più piccolo di due anni, era lu santu, diceva le messe e voleva farsi prete. Successe, invece, che prete diventò Grazio, il piccolo diavolo…. Ah, la vita!!!
Don Grazio ricordava tutto di Collepasso. Nitidi i ricordi. Non scalfiti dal tempo. Le “radici” che non aveva mai voluto recidere. Qui ha voluto essere seppellito. Per quell’atavico istinto del “ritorno nel ventre materno”. Accanto all’amatissima madre Ester, che morì quando lui era lontano. Una volta mi raccontò con emozione il suo precipitoso ritorno. Sentì e mi parve di scorgere nei suoi occhi vegliardi un’emozione infinita. Rigagnolo di lacrime mai prosciugato. Accanto al severo padre Quintino. Ai fratelli. Alle sorelle. Amatissimi. Come le due fedelissime sorelle che lascia ad Otranto, nella semisecolare casa comune. Veri numi tutelari della sua esistenza terrena.
Nella prima ed ultima stazione della sua vita, a Collepasso, prima dell’ultimo addio, don Grazio sembrava immerso nella profondità della comunione con l’Essere Supremo. Dio. Lassù, Uno. Quaggiù, con tanti volti e tanti nomi. Ma sempre Uno. Padre di tutti: bianchi, rossi, verdi, neri. Cristiani, ebrei, musulmani, indù… Quale profondo rispetto aveva don Grazio, uomo di intensa fede, per gli altri! Per le altre culture e religioni. Per quelli che appaiono diversi da noi. Non persone da “convertire” o combattere. Ma con le quali confrontarsi e dialogare. In ognuna scorgeva i “semina Verbi” (“i semi del Verbo“), i semi della Verità. Aveva rispetto per le tante culture che lui trovava simbioticamente nel Mosaico. Nell’unico Albero della Vita. In cui albergano storie, tradizioni, religioni, umanità varie e diverse.
Pochi giorni prima di Natale, dopo il mio solito: “Zio, cosa stai scrivendo?”, mi lesse, con immutata passione, la prefazione ad un nuovo libro, il cui titolo era profeticamente: “Il Mosaico di Otranto: ponte tra Oriente ed Occidente”. Quel “ponte” dalla vita terrena a quella celeste che lui era in procinto di attraversare. Quel “ponte” tra persone e culture che costruiva da sempre. Lui, uomo di dialogo. Dal forte carisma. Non più legato a stereotipate o ingessanti “ideologie” o “dottrine”. Uomo di cultura. Perciò, libero. Di esprimere anche i concetti più arditi. Di sorprendere i suoi interlocutori.
Una persona a me cara, il giorno della morte di mio zio mi ha scritto: “Grazie per avermi fatto conoscere Don Grazio, ho fatto appena in tempo a conoscere quell’uomo eccezionale. Quei brevi incontri con lui rimarranno scolpiti nella mia memoria”. Don Grazio era uomo eccezionale. Solo lui sapeva esprimere culturalmente e misticamente certi concetti. Solo lui, “antica figura simile ai monaci eruditi medioevali“, sapeva interpretare con saggezza antica e moderna il profondo messaggio del monaco Pantaleone, racchiuso in quel Mosaico, nell’Albero della Vita.
Mi assale un vuoto profondo, una tristezza infinita al pensiero che zio Grazio non ci sia più. Sembrava eterno. Non lo è stato. Né poteva esserlo. Lo sono il suo pensiero ed il suo insegnamento. Che si racchiudono nel semplice messaggio evangelico, nella vera e dirompente “rivoluzione” di Gesù Cristo: “Ama il prossimo tuo come te stesso”! “Prossimo tuo…”. Senza aggettivazioni, senza distinzioni. Di razza e di religione. Lui, che, prima di tutto, prima che “cattolico”, si sentiva profondamente “cristiano”.
Zio Grazio mi affascinava troppo. Mi incuriosiva. Mi intrigava. La sua cultura immensa. La sua memoria ferrea. I suoi voli pindarici che pennellavano scenari storici, geografici e culturali di incredibile antica attualità. Egli era uomo “antichissimo”. E uomo “modernissimo”.
Mi auguro che la sua memoria sia onorata degnamente e che nessuno tenti di imbalsamare un pensiero vivace, una mente altera, un coerente “cristiano” veramente “cattolico” (“katolicòs”, cioè “ecumenico”).
Don Grazio Gianfreda appartiene a tutti. Indistintamente. Perché persone come lui rappresentano il meglio della nobiltà dell’uomo e della sua cultura. Appartiene, soprattutto, all’intera società salentina. Perché del Salento, la vecchia “Terra d’Otranto”, lui è stato e rappresenta uno dei “capisaldi” storiografici e culturali più significativi e stimolanti.
 
Pantaleo Gianfreda
La Gazzetta del Mezzogiorno, 5.4.2007

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