Brevi riflessioni sui risultati elettorali del centrosinistra

13 Marzo 2013 Off Di Pantaleo Gianfreda
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PDSe i negativi risultati del centrosinistra in provincia di Lecce (e in Puglia) sono paradigma del più generale andamento elettorale, non c’è da meravigliarsi di quanto accaduto anche a livello nazionale.

Nella Direzione provinciale PD riunita per approvare i nomi dei candidati alle Primarie (già resi noti dalla stampa), mi recai di proposito, in quella domenica prenatalizia del 23 dicembre, per esprimere pubblicamente disagio e contrarietà ad una lista che ritenevo inadeguata. Una lista che, nei suoi esponenti più in vista, sommava i tanti fotogrammi delle diverse e recenti sconfitte del centrosinistra salentino e l’esasperante presenzialismo  di candidati “per tutte le stagioni”. Altri convennero. Al momento del voto, però, fui l’unico a votare “no”. Qualcuno mi addebitò un eccesso di schematismo e radicalismo. Cioè, decodificando dal politichese, chiarezza e coerenza. Non me ne pento. Anzi. Mi chiedo, alla luce dei risultati elettorali, come mai solo pochissimi “vedessero” quello che era evidente. In quell’occasione, avevano avuto ancora una volta “ragione” – a discapito della Ragione – l’autoreferenzialità, l’egoismo, le ambizioni e la sicumera di dirigenti che si sentivano da tempo “predestinati” e “vedevano” già imbandito il “vitello grasso” della vittoria e l’accesso a prebende personali inseguite da anni.

Mentre il mondo cambia tumultuosamente, in tanti suoi aspetti il PD ricorda stantìe ritualità della sinistra del secolo scorso. Al di là di strumentali forzature, non è del tutto infondata l’accusa alla sinistra di essere conservatrice. Essa sembra aver smarrito da tempo il ruolo di “motore di trasformazione” della società, adagiandosi su paradigmi e clichés ormai desueti che non riescono a leggerne i cambiamenti e, al contempo, su una selezione della classe dirigente solo apparentemente democratica, in realtà oligarchica, autoconservativa, autopropositiva, autoselettiva e, talora, persino autoreferenziale.

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Nell’attuale fase postindustriale, definita “era della conoscenza e dell’informazione”, la sinistra italiana non è ancora riuscita ad elaborare una sua strategia né a posizionarsi credibilmente tra i due maggiori interpreti politici, pur da posizioni opposte, di questa nuova era: Grillo e Berlusconi. Ambedue vincitori delle elezioni. Il primo perché ha “sfondato”. Il secondo, che sembrava spacciato, solo perché ha disperatamente e miracolosamente “recuperato”. Utilizzando sapientemente, spregiudicatamente e anche diabolicamente la “comunicazione”, uno dei pilastri dell’“era della conoscenza”, e i suoi due principali strumenti: televisione ed internet. Nel caso di Grillo, persino la “piazza”, tradizionale strumento di comunicazione sino a ieri  appannaggio della sinistra e oggi completamente assente nella sua campagna elettorale. Emblematica la “conquista” grillina di piazza San Giovanni per la chiusura della campagna elettorale.

Comunicazione significa “mettere in comune”. Può diventare sinonimo di condivisione, associazione e possesso di una fede comune, cioè non più od esclusivamente azione per distribuire informazioni, ma “rappresentazione” di opinioni ed idee condivise con l’obiettivo principale della “costruzione sociale della realtà”, all’interno della quale “gli uomini possono accordarsi sui valori fondamentali che regolano le loro azioni, sulle storie su se stessi e sul mondo”. Tutto ciò non è stato capito, e non da oggi, dalla sinistra.

Vorrei, però, guardare al “bicchiere mezzo pieno” e al paradosso di queste elezioni. Mai, come in questo Parlamento, il centrodestra (PDL e Lega) ha un numero così basso di rappresentanti, mentre centrosinistra e M5S, che “comunica” istanze radicali di cambiamento, un numero così alto. Per la prima volta il Parlamento italiano può contare su una larga maggioranza per (r)innovare profondamente lo Stato e la società e relegare nel dimenticatoio il fetido ventennio berlusconiano. Il PD deve avere il coraggio di essere aperto e responsabile, abbandonare orgogli e supponenze, fare “un bagno di umiltà”. Anche a discapito di ambizioni e aspettative personali, se un’alleanza o una convergenza con il M5S dovesse richiederlo. Non a caso Berlusconi è terrorizzato da questa per lui infausta evenienza. Un qualsiasi cedimento a contaminazioni politiche con il berlusconismo, pur sotto il ricatto dell’aggravamento della crisi economica, sarebbe letale per la sinistra e per la democrazia italiana. Occorre che la sinistra si immerga umilmente nel “fiume Giordano” per un salutare rito purificatorio e lasciarsi andare “in mare aperto”, incontro ad una società che con il voto ha chiesto a gran voce radicali trasformazioni.

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Ci sono punti e istanze che accomunano gran parte dell’elettorato M5S e PD, sui quali sinora troppo timide sono state le posizioni dei vertici PD, responsabili della “non vittoria” del centrosinistra, e sui quali la stragrande maggioranza degli elettori richiedono posizioni nette e coerenti. La vittoria del M5S può aiutare il PD ad uscire definitivamente dalla palude di certe sue ambiguità politiche e procedere anche ad un radicale ricambio di gruppi dirigenti, che di tali ambiguità sono stati sconfitti condottieri. Conflitto d’interessi, legge anticorruzione, giustizia sociale, reddito di cittadinanza, diritti civili, rispetto del cittadino, riforma elettorale, riduzione dei parlamentari e dei costi della politica, ecc., ecc.: su queste tematiche dovrebbe essere naturale per un centrosinistra aperto e intelligente (ed umile) trovare convergenze e collaborazione con il M5S.


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