Il Papa sportivo (sport e religione)
21 Agosto 2013Papa Francesco, non ha paura di uscire nella notte a fianco delle donne e degli uomini di oggi. Come non aveva paura da Vescovo di percorrere le strade di fango e miseria delle periferie di Buenos Aires e fermarsi a gioire insieme ai fanciulli nei potros, i campi da gioco dove si divertono i ragazzi delle favelas argentine, o esultare per un gol nello stadio del San Lorenzo de Almagro squadra della quale è tifoso con tessera onoraria.
Ai vescovi in Brasile, il paese di Pelè che vive per il calcio, ha ricordato che serve, al di là dello sport, una chiesa capace di intercettare la strada degli uomini dei nostri tempi. Una chiesa che sappia dialogare con tutti, non quella oscurantista e medioevale dei Savonarola e dei Torquemada, per la quale simpatizzano alcuni cattolici anche nel nostro piccolo borgo di Collepasso. Lui che per parlare di fede ai giovani sulla spiaggia di Copacabana dove sono nati giocando da ragazzi sulla spiaggia campioni come Ronaldo, Romario, Zico, Ronaldinho e Neymar, usando come termini, “campo, giocare di squadra, convocazione, allenamento, sudare la maglietta…. Forse è per questa ragione che non disdegna l’omaggio della maglietta della squadra, perché sa il sudore e la fatica che comporta. Francesco sa parlare di calcio, lo fa con la chiacchiera del tifoso o lo scoop del giornalista, ma con l’affetto e la tenerezza di un padre capace di scaldare il cuore. Al cuore… l’angolo più riposto di un uomo, dove si cela la forza di amare, dove si nascondono i pensieri più reconditi, un misto di domande e anelito di risposte. Tipo: per chi spendere la vita? Per chi e per che cosa appassionarsi? Se vale ancora la pena di continuare ad amare? La custodia del cuore, che nessun elettrocardiogramma o defibrillatore potrà mai scandagliare a sufficienza perché è ciò che ci fa continuare ad essere uomini e non semplici ingranaggi. Ciò che rende gli atleti e i calciatori non poveramente macchine ma originalmente uomini.
Davanti a Papa Francesco sarà difficile dimenticarsi dei poveri, dei più deboli, degli emarginati. La sua persona è una spina nel fianco sulla globalizzazione dell’indifferenza. Perché nel cuore del Papa ci sono soprattutto loro. Ecco perché invita a giocare in attacco, a calciare in avanti per costruire un mondo migliore, un mondo di fratelli, un mondo di giustizia, di solidarietà, di amore, di fraternità, di solidarietà. Per fare questo, c’è bisogno del gioco di squadra. L’invito ai calciatori nella recente sfida di ferragosto all’Olimpico di Roma Italia-Argentina fatto dal Papa è non solo di sentirsi dei privilegiati, ma anche dei testimoni di un mondo diverso, dove l’avversario non è più il nemico, il più debole non verrà scartato, il bisognoso avrà le attenzioni necessarie, il sorriso e la stretta di mano non saranno più obbligatori, ma l’inevitabile conseguenza della gioia di vivere.
Antonio Leo