Atti vandalici presso Campo sportivo e Scuola elementare nella notte del 23 giugno. Tre furti di auto in 30 giorni
24 Giugno 2015Nella notte di martedì 23 giugno alcuni vandali e ladruncoli sono penetrati all’interno del Campo sportivo comunale e della Scuola elementare di Collepasso. Obiettivo principale i distributori di caffè e bibite installati nelle due strutture dalla ditta “Spinelli Caffè” di Parabita, dai quali, dopo essere stati forzati, sono state asportate tutte le monetine.
I ladruncoli si sono introdotti nella Scuola elementare dal retro forzando gli ingressi dell’Auditorium e scavalcando probabilmente il muro di cinta nel campo sportivo, dove si sono accaniti con atti vandalici. Hanno forzato e danneggiato la porta della stanza-deposito della società calcistica “Stella del Colle” e divelto la grata di sicurezza in ferro della stanza del distributore automatico, dopo aver inutilmente tentato di tagliare il lucchetto con una sega, poi abbandonata sul luogo.
Le foto pubblicate documentano in maniera eloquente gli atti vandalici compiuti presso il Campo sportivo.
Il ricavato del bottino sarebbe, comunque, abbastanza irrisorio (forse poche decine di euro o meno). Questa circostanza potrebbe rilevare autori inesperti e dilettanti, poveri disperati o semplici “smargiassi”, che hanno abbandonato sul luogo persino “strumenti” della loro “notte brava”.
I due fatti seguono, purtroppo, altri “più gravi” avvenuti in questi ultimi trenta giorni. Si ha, infatti, notizia di almeno tre furti di auto ai danni di cittadini collepassesi, tutti e tre pensionati.
Tali episodi non vanno certamente sottovalutati. Quest’improvvisa recrudescenza della microcriminalità preoccupa i cittadini, che chiedono di essere tutelati da una presenza e da iniziative efficaci delle Forze dell’ordine e della stessa Amministrazione comunale, che ha il dovere di una seria e proficua riflessione su tali fatti e di interventi consequenziali.
– IN MEMORIA DELLE VITTIME DELL’ HEYSEL
ACERRA ROCCO nato il 25-12-1956, residente a Francavilla a Mare (Ch), via Adriatica 198
BALLI BRUNO nato il 6-2-1935, residente a Prato (allora sotto Firenze), via Carradori 139
BRUSCHERA GIANCARLO 21 anni, residente a Taino (Va), via Vignola 10
CASULA ANDREA nato nel 1974 a Sassari, residente a Cagliari. E’ la vittima italiana più giovane
CASULA GIOVANNI padre di Andrea. Nato il 20-12-1941 a Sassari, residente a Cagliari
CERULLO NINO 24 anni, Francavilla al Mare (Ch)
CONTO GIUSEPPINA 17 anni, Arezzo
FABBRO DIONISIO nato il 1-4-1934 a Buia (Ud), ivi residente, via Ontegnano 18
GAGLIANO EUGENIO 35 anni, Mirabella (Ct)
GALLI FRANCESCO nato il 6-1-1960, residente a Calcio (Bg), via Vittoria 6
GONNELLI GIANCARLO 20 anni, Ponsacco (Pi)
GUARINI ALBERTO 21 anni, residente a Mesagne (Br), via Materdona 96
LANDINI GIOVACCHINO nato il 29-11-1935 a Capannori (Lu), residente a Torino, via Genova 125
LORENTINI ROBERTO 31 anni, residente ad Arezzo. Medico, ha ricevuto una medaglia al valore dal Presidente della Repubblica. Il padre Otello ha fondato il comitato dei familiari delle vittime dell’Heysel
LUSCI in MARGIOTTA BARBARA 58 anni, Domus Novas (Ca). E’ la vittima italiana più vecchia
MARTELLI FRANCO nato a Todi (Pg) nel novembre 1962, ivi residente. Non aveva quindi quarantasei anni ma la metà, anche se compiuti erano ancora ventidue. Gli è stato intitolato il campo sportivo di Todi
MESSORE LORIS 28 anni, Torino
MASTROIACO GIANNI nato a Rieti il 9-2-1965, residente a Casetta (Ri), via Cicolano 11
MAZZINO SERGIO nato il 14-9-1947 a Cogorno (Ge), ivi residente in frazione Chiappe 30
PAPALUCA LUCIANO nato il 1-12-1947 a Grotteria (Rc), residente a Bruzzano (Mi), viale Rapisardi 15
PIDONE LUIGI 31 anni, Nicosia (En). In ordine cronologico è l’ultima vittima, essendo morto il 14 agosto 1985 all’ospedale Erasme di Bruxelles senza mai aver ripreso conoscenza
PISTOLATO BENITO 50 anni, Bari
RAGAZZI DOMENICO 44 anni, Roccafranca (Bs)
RAGNANESE ANTONIO nato a San Severo (Fg), il 10-5-1936, residente a Brugherio (Mi)
RONCHI MARIO nato il 19-9-1942, residente a Bassano del Grappa (Vi), via Asiago 24 (tifoso interista)
RUSSO DOMENICO 28 anni, Moncalieri (To)
SALVI TARCISIO 49 anni, Brescia
SARTO GIANFRANCO nato l’11-10-1938, residente a Donada (Ro), via Mantovana 64
SPANU MARIO nato il 7-4-1944 a Perfugas (Nu), residente a Novara, via Pellico 4
SPOLAORE GIUSEPPE nato il 21-10-1930, residente a Bassano del Grappa (Vi), via Biocchi 10
VENTURIN TARCISIO nato il 19-2-1962 a Rho (Mi), residente a Pero (Mi), via Cavour 3107
ZAVARONI CLAUDIO 28 anni, residente a Ciano d’Enza (Re), via Montefiorino 8
BOS ALFONS
CHIELENS WILLY
DAENICKY DIRK
FRANCOIS JAQUES
RADCLIFFE PATRICK
ROBERT CLAUDE
WALLA JEAN MICHEL
R.I.P.
“Lo sport non divide, affratella”
Superga e Heysel, due tragedie sportive distanti nel tempo, distanti per cause, distanti per colori, ma unite in un unico pensiero.
“Settanta angeli in un unico Cielo”
Il valore della memoria è un patrimonio individuale, familiare e sociale da condividere collettivamente. La storia si tramanda di padre in figlio, di generazione in generazione, direttamente ai popoli che ne ricevono il testimone, in viaggio non soltanto nel proprio tempo.
Anche certe tragedie dello sport possono essere narrate con devozione e tenerezza trasmettendo semplicemente la verità. Tutte le sciagure, pur con modalità e responsabilità differenti, sono naturalmente imparentate fra loro, essendo partorite dalla stessa madre, la morte. E proprio in ragione di questa affine familiarità nel dolore esigono da chiunque il dovuto silente rispetto e gli onori della memoria. Talvolta, però, l’imbarbarimento di alcuni presunti tifosi profana ignobilmente in atti riprovevoli questa comunione spirituale, offendendo con crudeltà le vittime ed i loro familiari.
Proprio in virtù di queste ragioni Superga e l’Heysel sono virtualmente luoghi sacri ed inviolabili nella memoria di tutti, “tragedie sorelle”. Bisogna compiere insieme un gesto “forte”, rivolgendoci alla comunità di tutti gli sportivi, rispondendo a quanti stuprano da tempo bestialmente la pietà e la dignità umana.
4 maggio 1949, Superga, 31 morti. 29 maggio 1985, Heysel, 39 morti. Torino e Juventus, Toro e Juve, due squadre divise da una rivalità senza fine. Due diverse tragedie, 70 morti, un unico dolore. E’ solo calcio, eppure – come per la politica, la religione, la razza – non mancano imbecilli di ogni età che vomitano addosso al dolore, che sputano su quei 70 morti, a 70 angeli in un unico cielo.
Due tragedie sportive di Juve e Toro. Rivali, ma non nemiche. E non solo perché il calcio è (dovrebbe essere) solo un gioco. E nemmeno perché se arrivi a Superga vedi solo un cielo azzurro e prati verdi, e poi Torino e le Alpi in lontananza e respiri quel dolore che è di tutti. E neanche perché se arrivi dove c’era l’Heysel vedi strade, parcheggi, gente che va e viene ma non puoi non pensare a quel padre e quel figlio(Andrea e Giovanni Casula)con la maglia bianconera inzuppata di sangue.
Per ricordare, e forse per capire. Capire – per il calcio, o per cose più importanti – che siamo tutti fratelli sotto lo stesso cielo; o, almeno, che il dolore è sempre uno e non ha colore, perché il sangue è di noi tutti ed è rosso. O almeno che i morti vanno lasciati in pace, e che si può essere diversi senza essere nemici. Almeno, si pretende il rispetto.
E se proprio non si riesce ad essere abbastanza umani, almeno comprendere almeno capire che; senza i nostri avversari, la nostra storia sarebbe stata una storia incompleta !
IL PALLONE DI ANDREA
di Emilio Targia
… Per non dimenticare…
Aveva 11 anni, Andrea. L’età in cui il calcio è ancora la musica della propria vita. L’età in cui il calcio è ancora la misura della propria gioia. Andava in quinta elementare, Andrea. L’ultimo anno di scuola dove ti senti bambino. Che poi con le medie si diventa grandi. Ti cambiano i quaderni. Ti cambiano i sogni. Era tecnologico, Andrea. Sicuro al timone del suo computerino. Un Vic-20 che già gli andava stretto. Era ingegnoso, Andrea. Pile e intreccio di fili per costruire il suo campanello personale. Driiiin. Per entrare in camera sua, si prega di suonare. Quante volte Andrea avrà detto ai suoi “Scendo a giocare a pallone in cortile”. Che così si dice, da bambini, “pallone”. Il calcio è per i grandi. Quante volte avrà appoggiato il suo maglione per terra Andrea, a mo’ di palo, inventando una porta precaria, dentro a un pomeriggio di inizio primavera, che di fare i compiti oggi non se ne parla, oggi si gioca a pallone. Il garage va bene d’inverno, c’è una tettoia sporgente che ripara dalla pioggia. Ma è uno strazio, ogni volta che esce o entra una macchina bisogna fermarsi. Come quando mandano gli spot durante la partita in tv. Ma è solo una Smart. Poi cross dalla rampa e gol di sinistro, all’incrocio dei tubi della grondaia. Col primo sole si scappa a giocare sul prato vicino casa, vuoi mettere. Puoi tuffarti buttarti correre urlare. E provare la rovesciata. E entrare in scivolata. Come i grandi. Via i jeans però, sotto Andrea ha già i pantaloncini. I pantaloncini da calcio sono la biancheria intima dei bambini. Così niente macchie. E mamma non si arrabbia. Al massimo sbucciature rosso-verdi sulle ginocchia. Le stimmate del giocatore senza paura. Vorrai mica tornare a casa senza un graffio? Poi c’è la scuola calcio. Intitolata a un signore che in Sardegna è un mito più che altrove. Gigi Riva. Rombo di tuono. Rivarombodituono. Tanto che fin da piccoli a ogni temporale ti viene in mente lui, mica pensi alla pioggia. La scuola calcio dove impari a misurare l’istinto. Dove mettono ordine dentro al tuo entusiasmo. Dove cominci a sentirti un po’ più grande. Col pallone di cuoio e le scarpette da calcio vere. Che sul prato si gioca con le Superga e il Supertele.
“Papà, se la Juve va in finale mi porti, mi porti?”. A casa Andrea aveva appena finito di aprire quei nuovi 10 pacchetti di figurine arrivati in regalo come una benedizione. Quest’anno è andata alla grande. Gli mancano solo 2 figurine per finire l’album dei “Calciatori” 1984/85. È la prima volta. Soltanto due! L’odore di un pacchetto di figurine che si apre è un soffio dolce sul viso. È una promessa. Ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho, ce l’ho…. Per forza Andrea, ce le hai tutte, o quasi, ormai. Al nono pacchetto la sorte è benevola. “… mi manca !!!”. Adesso ad Andrea ne manca solo una di figurina, per finire l’album. Soltanto una. Manco a farlo apposta proprio quella sera a Bordeaux la Juventus si qualifica per la finale. Per la finale di Coppa dei Campioni. La finale di calcio. Quello dei grandi. In Sardegna il sole è già possente, lo stempera il vento, che si infila dentro a una luce che profuma d’estate. Le onde che sbattono sul porto di Cagliari infilano iodio nell’aria e invogliano a correre. Correre dietro a un pallone, magari. Di cuoio o di plastica. Driiin. Quando il papà dice ad Andrea che è riuscito nel miracolo di trovare due biglietti per la finale di Bruxelles, e che ci andranno insieme, lui non sta più nella pelle. Gli sale dentro un’emozione profonda e sconosciuta. Juventus-Liverpool, una delle partite più importanti della storia della Juventus, lui se la vedrà dal vivo, col suo papà. Andrea è già stato allo stadio, al Sant’Elia di Cagliari, ma stavolta sarà diverso. Sarà a Bruxelles. Alla finale di Coppa dei Campioni. Dentro lo stadio che tutto il mondo quella sera guarderà. Nemmeno 100 pacchetti di figurine, o 10 partite sul campo dei grandi gli farebbero lo stesso effetto. Nemmeno 10 goal all’incrocio dei tubi, e 10 rovesciate perfette, sul prato vicino casa. Andrea lo racconta ai suoi compagni di squadra, che andrà a Bruxelles. Che andrà a vedere la Juve. La finale. Lo racconta ai suoi compagni di quinta, che andrà all’Heysel. Sorrisi, e pacche sulle spalle. E “Beato te”. E “Accidenti!”. E “Posso venire con voi?”.
Andrea conta i giorni, come fosse dicembre aspettando Natale. E quando finalmente Natale arriva, a Bruxelles è quasi estate. Il cielo è di un azzurro intenso, e la luce è fortissima. Mano nella mano con il suo papà, Andrea si mangia con gli occhi la stazione, il taxi, le strade. Conta le bandiere bianconere, legge le insegne dei negozi, esamina attentamente le marche delle auto. Chissà dove giocano a pallone, qui a Bruxelles, i bambini come me. Chissà se anche loro fanno i cross dalla rampa, o hanno dei campetti tutti per loro. Chissà se sanno chi è Gigi Riva, qui a Bruxelles. Quando entra dentro lo stadio Andrea ha un groppo alla gola. Si riannoda il fazzoletto bianconero che ha al collo, nel timore di perderlo, e comincia a fissare lo stadio. Come fosse un giocattolo immenso. E i tifosi della Juventus, che dall’altra curva intonano già il loro “Juve-Juve” secco e deciso, gli regalano un primo sottile brivido. Andrea si sente già un po’ più grande, dentro a quello stadio, che gli sembra sterminato. E gli sale dentro un’emozione dolce. L’emozione di un bambino. Con l’emozione sale anche la fame. Il papà di Andrea sorride e tira fuori un sacchetto giallo, di cioccolatini bicolore. “Che qui sono buonissimi, sai Andrea? Facciamoceli bastare… “. La merenda al cacao delle 6 si scioglie in bocca. Quando sente le urla a pochi metri da lui Andrea non capisce, pensa che sia qualche tifoso un po’ più vivace degli altri. E poi quello fondente ripieno è troppo buono. Poi le grida si fanno più forti e concitate, e intorno la gente comincia a guardare verso sinistra, e a gridare “Gli inglesi, guarda, gli inglesi scavalcano!!!”. Andrea cerca di guardare e di capire, allunga la testa, ma il suo metro e 46 non gli consente di avvistare là in fondo i reds che caricano a testa bassa. Un primo scossone sbalza via lui e suo papà dal posto dove si erano sistemati, in piedi come tutti gli altri. Giovanni allora gli stringe forte la mano, Andrea chiede “Papà che succede?”, mentre di colpo si ritrova nel suo abbraccio, che non è come le altre volte, che è stretto e serrato come mai lo è stato prima. Giovanni ora cerca di scappare verso il lato destro. “Gli inglesi hanno invaso il nostro settore, dobbiamo scappare Andrea”. “Hanno “invaso”? E perché? Che gli abbiamo fatto papà?”. Non c’è tempo per rispondere, non c’è tempo per capire. Gli inglesi adesso caricano in massa, Andrea e suo papà vengono scaraventati addosso a chi sta già scappando, come loro. Il settore Z è diventato una centrifuga, e i rossi ora sono un’onda impazzita. Andrea adesso ha paura, getta in terra i cioccolatini e infila di nuovo la sua mano in quella di suo papà, che gli fa da scudo, gli dice di stare tranquillo, di resistere, che tra poco sarà tutto finito. Andrea in quel marasma cerca solo di respirare, di non pensare, di tenersi stretto al suo papà. La sua unica ciambella di salvataggio in quel mare impazzito. Per un attimo l’onda rallenta, la morsa si attenua. E allora si riprende fiato, ci si allarga un po’, si tira su la testa. Forse è finita. Hanno smesso. Giovanni accarezza Andrea, che accenna a un sorriso. Ma quelli sono furie. Sono belve impazzite. Caricano di nuovo. Ora urlano tutti. L’onda li sballotta, li trascina via, li risucchia. Andrea si stringe forte a suo papà. Rotolano in terra, poi si rialzano, poi di nuovo in terra. Giovanni non lo molla, Andrea cerca di rimanere in piedi, di prendere fiato, di proteggersi dai calci di quelli che scappano. Ma a un certo punto non sente più urla, non prova più dolore, non ha più paura. Si stringe forte a suo papà. Si stringe forte a suo papà e basta.
Andrea Casula (il bambino che cercò di salvare il medico Roberto Lorentini), undici anni, e suo padre Giovanni, quarantaquattro, sono due delle trentanove vittime dell’Hysel…
A proposito di atti vandalici perpetrati all’ interno di un campo sportivo, vorrei ricordare una storia di 30 anni fa ormai quasi dimenticata e che mi sembra giusto e doveroso ricordare:
A volte, ci sono tragedie dimenticate, scomparse dalla memoria, i cui morti finiscono ingiustamente nel dimenticatoio. Ci sono però casi nei quali l’inciviltà, trasforma la morte in uno sfottò da stadio, in un coro, una scritta sulla maglietta con tanto di numero di defunti sul petto quasi fosse motivo di orgoglio. E’ questo ciò che spesso accade negli stadi antijuventini ricordando la tragedia dell’Heysel… Una tragedia si noti bene non solo juventina, ma di tutti gli italiani in quanto nostri connazionali. Essi morirono a causa della furibonda e cieca violenza degli hooligans inglesi. Ma bisogna dire che fino al momento della tragedia era stata una bella giornata di festa. Italiani e inglesi camminavano insieme per le vie della città di Bruxelles che ospitava la finale di coppa dei campioni dell’ 85 tra la Juventus e il Liverpool. Entrambe le tifoserie cantavano insieme e indossavano sciarpe e cappellini della propria squadra e li portavano con orgoglio e senza paura. Nessuno immaginava quello che poi sarebbe successo. Pian piano si cominciò ad avvertire che l’atmosfera stava cambiando. Verso le 6 i tifosi incominciarono ad avviarsi verso lo stadio. In giro c’erano già gruppi di tifosi inglesi ubriachi e a caccia dell’avversario… La polizia aveva cercato di tenerli a bada, ma proprio l’impossibilità di muoversi liberamente li aveva fatti imbestialire ancora di più. Dopo le prime avvisaglie partì la carica vera e propria. La divisione tra le due tifoserie cedette. Le transenne vacillarono, una parte di transenna fu divelta e usata come spranga, i tifosi inglesi tirarono fuori anche numerosi coltelli… la gente cominciò a scappare spaventata verso l’uscita, che era stretta, i poliziotti cercarono invano di contenere l’ondata. Si udì in rumore sordo, poi il gruppo di persone letteralmente scomparve come risucchiato in un buco nero. Un muretto, si venne a sapere in seguito, aveva ceduto, e da lì l’immane tragedia. Fino ad oggi però si è parlato quasi sempre e soltanto della fatiscenza dello stadio Heysel: tipo tribune malcurate, i muretti divisori vecchi e fragili ecc. ma si è sorvolato troppo su un aspetto importante. I gentelmen inglesotti, che amano tanto fare la morale al nostro paese, che si elevano a paladini della moralità, si dovrebbero solo vergognare, non dovrebbero più avere il coraggio di alzare gli occhi e lo sguardo quando passa un italiano dopo quello che fecero quel maledetto giorno…. C’è da dire che in quel periodo in Inghilterra (la perfida Albione) la situazione degli Hooligans era un disastro, il primo ministro inglese era l’ultraconservatrice Margareth Thatcher, la lady di ferro. Nel marzo 84 era cominciata una lotta sindacale che in Inghilterra si sarebbe rivelata la più dura degli ultimi 50 anni. Ventimila lavoratori con famiglia a carico si trovarono dalla mattina alla sera senza stipendio. Lo sciopero andò avanti per più di un anno con tensioni fortissime e scontri in tutto il paese. Ancora adesso qualcuno è convinto che il governo inglese avesse abbassato la guardia negli stadi perché conveniva far sfogare la rabbia in posti controllabili e chiusi , piuttosto che all’ aperto per strada. La Thatcher odiava il calcio e chi lo seguiva, ne parlava con disprezzo, non se ne curava.
Quel fatidico giorno, quel tristemente famoso 29 maggio 1985 successe di tutto, una sorta di rievocazione della giornata contro gli italiani organizzata fin nei minimi dettagli, proprio per questo i tifosi del Liverpool si erano conquistati nella loro madre patria la nomea di cacciatori di teste, in particolare per la loro violenza. Ma quel giorno gli errori tragici li commisero anche i belgi. Le autorità locali avevano clamorosamente sottovalutato i problemi di ordine pubblico che si sarebbero potuti verificare. Anche l’UEFA sbagliò la scelta della sede. L’impianto dell’Heysel non avrebbe assolutamente mai superato gli attuali parametri e controlli. Stadio vecchio, piccolo, fatiscente e pericoloso per la stabilità della struttura, senza vie d’uscita e d’accesso e così via… L’ultimo errore, il peggiore di tutti, fu mettere alcuni gruppi di tifosi italiani nel settore Z, al fianco dei peggiori ultras inglesi del settore Y. La curva Z in realtà doveva fungere da cuscinetto tra le tifoserie. Ma agenzie di viaggio e bagarini avevano fiutato l’affare ed erano riusciti a mettere in vendita anche i biglietti per quelle gradinate. Inoltre, non era previsto neanche un cordone di sicurezza, niente di tutto ciò. Poliziotti a cavallo presidiavano l’ingresso, ma non era sufficiente. Da lì il disastro che costò la vita a 39 persone, tra le quali il medico toscano Roberto Lorentini. Il medico trentunenne si può definire a pieno titolo un eroe senza usare a sproposito il termine. Ormai fuori dalla calca, quindi salvo, il medico fiorentino fu ucciso facendo il suo dovere solo perché tornò indietro a soccorrere un bambino di 11 anni morto in seguito nonostante i soccorsi e nonostante il padre si fosse sacrificato facendo scudo col proprio corpo, anche il Lorentini quindi mori schiacciato dalla folla. Nel parcheggio dello stadio intanto per terra si accumulavano i cadaveri, pietosamente coperti da lenzuola, bisognava scavalcarli per entrare nei bus che portavano alla stazione. Quasi tutti piansero.
Alla fine dei gradi di giudizio, 5 anni dopo, i rimborsi alle famiglie delle vittime furono poco più che simbolici e le punizioni per i colpevoli ridicole. L’UEFA cancellò le squadre inglesi per 5 anni da ogni competizione europea e solo allora la Thatcher fu costretta, finalmente ad intervenire drasticamente contro la violenza negli stadi.
Noi che abbiamo dato i natali ai più grandi maestri del pensiero, dovremmo oggi prendere lezione dai vecchi sudditi di Enrico VIII ?!? Ma mi faccia il piacere… diceva Totò!! Piuttosto il mio pensiero va ai numerosi italiani scomparsi e assassinati dalla furia della “Perfida Albione”, tutto questo cari inglesi non sarebbe successo se nella faccenda fossero state coinvolte delle persone civili e non degli animali allo stato brado, ma soprattutto sono fiero di essere italiano come lo era il medico Roberto Lorentini!
Il drammatico errore infatti, credo sia questo: è nell’aspettativa civile! Nel credere che un inchiesta, un processo in tribunale, persino una condanna, basti per combattere e vincere la stupidità umana e quindi costruirne una società diversa, ma anche a generare una coscienza civile migliore a creare un cittadino nuovo.
Invece, se in principio non si insegna all’individuo; buon senso , un minimo di caratura morale, capacità di ragionare e di tenere la testa e le mani a posto, credo che il futuro della nostra società sarà molto deleterio e deprimente.
E cu tanti giurnali e televisioni, com’è che lo stiamo sapendo ora dei furti di auto? E le forze dell’ordine?