Storia di un grande allenatore di calcio dell’Inter e del Bologna. Arpad Weisz, “dallo scudetto ad Auschwitz”

18 Marzo 2015 Off Di Pantaleo Gianfreda
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arpad-weiszNel Circolo ARCI di Acquarica del Capo, unitamente alla presentazione del libro di Pati Luceri “I Deportati Salentini Leccesi nei lager nazifascisti”, alcuni giovani studenti, tornati dal viaggio sul “Treno della Memoria” ad Auschwitz, leggevano ognuno la propria relazione sulla figura del deportato “adottato”.
Ho scelto, per i lettori di Infocollepasso, specialmente appassionati di calcio, il seguente intervento, che potrebbe tornare utile per i tifosi del “buu-buu”.
Arpad Weisz era ungherese e lavorava in Italia. Arpad Weisz faceva un lavoro che tutti quanti vorremmo fare, in una storia di poveri e ricchi, deboli e potenti. Arpad Weisz era ricco e potente.
Arpad Weisz era un famoso allenatore di calcio…
Comincia come calciatore, pioniere di una scuola – quella ungherese – che pochi anni dopo, con Puskas, avrebbe dominato il mondo… Bistecche e gioco fisico i segreti ungheresi…
Arpad Weisz fa gavetta in giro per il mondo; Argentina e Uruguay, poi a causa di un infortunio smette.
Ma è in Italia, e come allenatore, che Arpad realizzerà se stesso.
Arriva in Italia nel 1926, come allenatore dell’Ambrosiana Inter, con cui vince il primo scudetto italiano nel 1929, grazie a uno sconosciuto scovato nelle giovanili: Giuseppe Meazza, che diventerà capitano della Nazionale e a cui è intitolato lo stadio di Milano.
Ma è a Bologna che Arpad diverrà un mito; nella città delle Due Torri trova una squadra da ricostruire e lo fa… gioco modernissimo per l’epoca, alto e palleggiato, con le ali che crossano per la punta Crussoni. In porta Bravati, in regia due oriundi uruguegni.
Arrivano gli scudetti del 1937 e del 1938. Per i suoi tifosi è un mito, la curva lo osanna.
Nel 1937 la vittoria più bella: Trofeo dell’Esposizione, il precursore della Coppa dei Campioni, Bologna Chelsea 4 a 1. I commentatori inglesi gli concedono il massimo dell’onore, un inno al calcio e all’arte tattica.
Poi, il vuoto.
E’ il 1938, sesta giornata, e per la prima volta la sua curva lo fischia. Era già successo in trasferta, ma mai in casa. Non è perché il Bologna sta perdendo, è Arpad Weisz che sta perdendo.
Lui è ebreo e in Italia sono arrivate le leggi razziali.
Il giorno dopo, sui giornali, la notizia non ha eco… è normale.
Non per Arpad, che decide di scappare. Va prima a Parigi e poi in Olanda, con la moglie Elena e i figli Roberto e Clara, e lì ci riprova, iniziando ad allenare una squadretta di periferia, il DFC… e il miracolo si ripete: due quinti posti consecutivi, a tutt’oggi un record imbattuto per il DFC.
Poi tutto precipita ancora, la storia gli si accartoccia intorno. Il 29 settembre del 1941 arrivano i nazisti e Weisz non può più allenare. Arrestano lui e la sua famiglia e li caricano su di un treno. La destinazione la conoscete… Auschwitz.
Quando li raggiungerà alle camere a gas, il 31 gennaio del 1944, non ha più nulla: non è più cittadino italiano da 5 anni, non allena più da 3, non ha più famiglia da 2.
Scompare così, in silenzio, il più grande allenatore dell’epoca, e il suo oblìo continua anche dopo la morte.
Vittima dei falsi miti “Italiani brava gente” e “Le nostre leggi razziali erano all’acqua di rose”.
Arpad Weisz non compare nell’almanacco del calcio, e in quello delle figurine Panini continua a trovarsi sotto il nome di Vis, quello che gli hanno imposto i fascisti.
Ma Arpad Weisz è prima di tutto vittima della zona grigia, vittima di intellettuali, studenti, giornalisti e tifosi, di tutte le persone che prima lo osannavano , e in men che non si dica iniziarono a odiarlo.
Un giorno hai tutto, il giorno dopo ti hanno dimenticato…

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Giuseppe Lagna (Anpi Lecce)


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Pantaleo Gianfreda