Il brutto incontro di Renato De Siena con “Giallone”, suo aspirante killer
19 Giugno 2015Vivere tranquillamente per cinquantasette anni con un piccolissimo killer alle spalle e non saperne niente…
Ore sei (circa) di un luminoso mattino del giugno 2003, località “Parmento”, poco fuori Collepasso: ancora qualche fiorone (“culumbu”) e due panieri saranno ben colmi.
Renato De Siena, all’anagrafe “Crocifisso”, nei primi anni Settanta (chi se ne ricorda più!) aveva aperto al centro del paese un negozio di calzature con grandi marchi, che diviene molto presto per lui una prigione. Preferisce vivere a contatto con la natura. Diviene, allora, un instancabile orticoltore per i mercati del circondario e campa sereno fino alle ore sei, circa, di quel giorno di giugno.
Un dolore improvviso, lancinante alla gola, dove la camicia è aperta, il bruciore insopportabile, lo scatto repentino con la mano a spiaccicare la vespa; Renato la osserva per bene, imprecando, poi la scaraventa in terra e la calpesta.
Conviene rientrare immediatamente a casa, che raggiunge in dieci minuti, per strofinare uno spicchio d’aglio, che attenui il disagio, o, magari, una pomata antistaminica; ma fa appena in tempo a riferire a sua moglie l’accaduto e crolla di schianto in giardino.
Un severo shock anafilattico, è la sentenza del medico, prontamente intervenuto con il necessario farmaco.
Ora, però, inizia il calvario, che va avanti per circa quattro anni di pendolarismo, su e giù in treno da Ancona, dove opera l’Unità di Allergologia degli Ospedali Riuniti.
Sottoposto ad oltre trenta prove allergiche, risultano positivi i test cutanei verso il veleno di Vespula sp. (0,001 mcg/ml), Polistes sp. (0,01 mcg/ml) e Polistes dominulus (0,01mcg/ml), sicché viene effettuata al paziente “immunoterapia specifica con estratto acquoso di veleno Vespula sp., con metodica “ultra-rush” in due mattine, fino al dosaggio complessivo di 100 mcg, senza reazioni indesiderate”.
In seguito, si susseguono richiami e controlli ogni quattro mesi, ma nel contempo Renato riesce a riconoscere immediatamente la Vespula sp. (alias “Giallone”), mostratagli in una delle bacheche portatili, contenenti i campioni di ben duecento imenotteri (altro che “identi-kit”!), in possesso dell’ Unità Ospedaliera.
Ora l’amico Renato può stare al sicuro, nel caso di un’altra eventuale puntura, stavolta fatale, dello stesso esemplare – il suo micidiale nemico “Giallone” -, prima sconosciuto, per cui ha dovuto superare anche la conseguente insufficienza renale, successivamente rientrata.
E’ ammirevole la tranquillità con la quale Renato mi racconta la sua disavventura e la dovizia di particolari che usa nel descrivere l’evolversi della vicenda.
Il “giallone”, il mese dopo l’infortunio, si rivelò facente parte di una colonia composta di migliaia di esemplari, formatasi nel tronco cavo dell’ulivo, sito alla destra del fico; dispersi con il sistema del fumo, fuoriuscivano da più parti del tronco, attraverso una rete di collaudati canalicoli.
Nel corso dei tanti ricoveri per i necessari controlli in quel di Ancona, Renato condivide la pena con molti compagni di sventura, provenienti dal centro-sud, fra cui una ragazza colpita gravemente al labbro e un bambino al suo “tesoretto”.
Accidenti, saranno pure indispensabilissime all’impollinazione, ma la convivenza con le vespe è molto problematica, specie quando apprendi di casi simili!
Insomma, come si suol dire, “tutto è bene quel che finisce bene”, commentiamo a fine intervista, alla presenza molto beneaugurante della suocera, signora Anna Montagna, prossima centenaria, che non s’è persa una parola dell’avvincente storia capitata al caro genero.
Giuseppe Lagna
La sfida sottesa è quella di farsi migliori, di non volersi adattare ad essere uno scherzo del caso, ma di determinarsi in conformità di un desiderio attuato dalla volontà, di anelare alla gloria lasciando una traccia del proprio passaggio sulla terra, anche attraverso la lotta, di avvertire e vivificare la responsabilità del retaggio costituito da storia e memoria, di non rassegnarsi ad essere un numero, un meccanismo economico di consumo, un’entità chiusa nel recinto dei bisogni, entro il quale è esclusa la possibilità di farsi davvero liberi.
L’uguaglianza sostanziale, in tale visione, non è un punto di partenza, ferma restando la pari dignità sociale, ma è, al più, un punto di arrivo: ci si può fare uguali in consapevolezza, saggezza e conoscenza.
Occorre specificarsi, differenziarsi, valorizzare la propria unicità, secondo la regola della vita e della storia, dando così all’esistenza un senso.
Determinarsi persona che non si annulla nella massa, che non si omologa nel numero, né si confonde con esso.
Essere colui che, incarnando il merito, alimenta il futuro col desiderio, la determinazione, la responsabilità, la capacità visionaria, la curiosità, la competenza, l’emozione, la selettività della memoria, l’invenzione, l’atto creativo, il presagio…
Spingere la propria consapevolezza fin dove l’aveva spinta Galilei: “Le cose sono unite da legami invisibili. Non puoi cogliere un fiore senza turbare una stella“, restando umili, sapendo sempre di non sapere e che ogni passo avanti compiuto, è sempre e solo una tappa verso l’orizzonte intravisto.
Carissimo conte Dongiovanni e Signor Picalloa io invece, fino a trentacinque anni di anni ne ho avuti forse quindici.
A quaranta ero (sono) appena maggiorenne e cominciavo a risvegliarmi dal sogno, perche’ il sogno mi aveva preso completamente.
P.S…..non far del male a te!….
….questo lo devo fare!
lo devo fare perche’!
….tu non hai fatto niente di male….
ed hai ragione te!
quando dici che sono un bambino
e che non sono “maturo”!?….
…ed hai vent’anni di meno!
By Domenica Lunatica (La versione di Vasco)
Ogni tanto penso al passato….Ci ripenso con un po’ di magone, quella malinconia intrisa di tristezza che ci da il senso della caducità della vita, delle cose che passano e non tornano perché non possono più tornare. Nessuno torna indietro e tutti si avventurano lungo i sentieri impervi ed imprevedibili del futuro, in balia di eventi che possono esaltarti ma anche annientarti, darti la felicità, ma anche tante delusioni.
Con i trent’anni, ma anche con i quaranta cadono tante illusioni, svaniscono tante speranze, prendono corpo tanti timori. Perdiamo ogni ingenuità. L’entusiasmo comincia a scemare o deve fare i conti con le asprezze della vita, con la durezza delle prove che ci costringe ad affrontare, con le sfide che ci lancia. Non sogniamo più, non facciamo più castelli in aria, perché i sogni li abbiamo visti infrangersi contro gli scogli del destino e, i castelli in aria dissolversi tra le nuvole, inghiottiti e archiviati dall’infinito. Tutto si sfuoca per far perdere le tracce e scomparire. Non ci resta niente perché ogni età ha un ciclo. Non ci resta niente, ma ci resta tanto. Ci resta quello che abbiamo fatto. Quella che non ci abbandona e la coscienza che ci dice cosa dobbiamo fare e perché. Ma cos’è la coscienza se non la tendenza in quel momento dominante che detta una certa azione, che si rivela poi essere quella giusta. Faremo poi sempre nuove esperienze che perfezioneremo arricchendole con quelle acquisite precedentemente. Forse non commetteremo i vecchi errori, ma dovremo superare nuovi ostacoli e nuovi confronti. L’istinto non sempre è cosi palese da suggerire le nostre scelte, i nostri gesti e le nostre parole. E poi esso è sovente in contrasto con altri istinti più potenti, proclivi più a spingerci verso il divertimento che verso il sacrificio. L’importante è sapere ciò che è giusto e ciò che è ingiusto, quello che dobbiamo fare e quello che non dobbiamo fare. Dobbiamo fare in linea di massima il bene e rifuggire dal male, anche se i confini di questo e di quello non sono così definiti.
Inoltre ci saranno tesi nuovi agguati e, memori di quelli a cui siamo sfuggiti, dovremo scongiurare e contenere i danni. Non tutti ci riusciremo, così come molti non ci riuscimmo quando eravamo giovani la vita davanti e il sole in tasca. Quando tutto sembrava propiziare i nostri disegni anche i più arditi, favoriti dalle nostre conquiste, sulla pochezza della nostra condizione. Da giovani, ci sentivamo padroni del mondo e in un certo senso lo eravamo. Non dubitavamo di vincere, con la fortuna che aiuta gli audaci, con il nostro vigore fisico.
Com’è facile illudersi quando la sorte ci è amica, quando non ci accorgiamo che il tempo passa perché non ci ha ancora intriso rughe sul volto, non ci ha turbato l’animo, perché il destino non ha ancora infierito su di noi. Si, perché il sentimento fa sempre questo effetto quando ancora hai negli occhi tutta la luce dell’universo , la ragione che ti fa progettare tutta una vita insieme da assaporare fino in fondo, trovando quanti più punti di contatto si possono avere tra persone di questo mondo e senza inconcludenti frenesie.
Quando invece cominciamo a versare le prime lacrime, apriamo gli occhi e vediamo quello che non avremmo mai pensato ne voluto vedere. La vita e il mondo come sono, e allora ci rendiamo conto di chi siamo. Scopriamo di essere come diceva Pascal “canne al vento”, pur se canne pensanti. In fin dei conti la vita non è altro che una lunga perdita di tutto ciò che si ama, e che ci lascia dietro una scia di dolori.
Deponiamo quindi i sogni nel cassetto e pensiamo al passato, che trasfiguriamo, stemperandolo con la memoria colma di malinconia e fantasia infantile, dimenticando i momenti difficili e ricordando e agghindando quelli piacevoli che ci avevano fatto gioire e godere. Plasmiamo dunque il passato e nessuno può impedirci di riforgiarlo non come lo abbiamo vissuto, ma come avremo voluto viverlo.
Non dobbiamo dar conto a nessuno se non alle sollecitazioni del nostro animo, al nostro bisogno di recuperare e rigenerare virtualmente una stagione non assopita, ma esaurita.
Volenti o nolenti, questo è il nostro destino, il mio, il suo, il tuo, quello di ogni uomo. Un destino fatto di molti errori, commessi soprattutto in gioventù. Gli errori comunque li commettiamo e li commetteremo sempre, li commettiamo perché siamo uomini, naturalmente imperfetti, sottoposti a mille limitazioni, dall’umore mutevole e dai moti dell’animo contrastanti.
Noi, non abbiamo scelte. Rassegniamoci a quelle di chi da lassù le ha fatte per noi, ammesso che le abbia fatte. Noi, non possiamo far altro che comportarci bene e rispettare le regole e i precetti morali insiti in noi, sempre in lotta però con gli adescamenti perversi della nostra vita.
By Impressioni di Settembre (Premiata Forneria Marconi)
VIVI COME PUOI ! PERCHE’ COME VUOI, NON PUOI…
Si, Ok ! Ma vi siete dimenticati del mitico Antonio “Picalloa”. Oggi è la sua festa, infatti, gli riconsegneranno le chiavi della sua tanto amata e desiderata villa comunale(Piazza Dante). Consiglierei quindi al gruppo che si esibisce questa sera, di dedicargli un pezzo. Magari “La Gazza Ladra”…, rivista e corretta in versione Rock!
Renato, menomale che tu sei una persona “POSITIVA”, che neanche il tuo “killer-giallone” ha… compromesso! Un augurio grande ed un abbraccio al caro Renato e alla cara moglie Giuliana!
Carissimo maestro, come sempre un bel articolo! Vorrei però amichevolmente consigliarti altri due o tre personaggi che completerebbero la tua già ammirevole opera. Ad esempio Dongiovanni dei conti De Luca, lo storico “sale”-ntino Antonlucio Russo Mario e DariUccio P. Argento gli ultimi due colonne della destra collepassese, tua eterna rivale politica…!
Mai sia pe cumandu
Tanti saluti