Verso il 70° anniversario della Liberazione: i ricordi di Pietro Romano, 91 anni, collepassese deportato

15 Aprile 2015 Off Di Pantaleo Gianfreda
Spread the love

Pietro Romano, oggi, a 91 anni

Pietro Romano, oggi, a 91 anni

La grande Storia che si abbatte come mannaia sulla povera, semplice vita del giovane per lo più inconsapevole, che desiderava magari solo una casa, una donna, un lavoro e non certo una guerra.

Pietro Romano, durante il servizio militare, con il compaesano Pasquale Rossetti

Pietro Romano, durante il servizio militare, con il compaesano Pasquale Rossetti

Andarono proprio così le cose per decine, centinaia di migliaia di soldati italiani, completamente allo sbando e senza ordini, il giorno successivo all’otto settembre.
Pietro, devi decidere che fare!”.
Sì, “che fare”, come il titolo dell’opera di Lenin.
Ma fa tardi a decidere; così, passano appena due giorni e tutta la compagnia del fante Pietro Romano, classe 1924, di Collepasso, in Terra d’Otranto, viene circondata, disarmata, privata di stellette e mostrine, rinchiusa nel campo di concentramento di Modena.
Oggi è noto a tutti che alcuni di quei campi erano solo luoghi di passaggio verso la Germania, di stabulazione, dove poter anche optare per la RSI e salvare almeno per il momento la pellaccia (“ghirba”).
Lo fecero solo nella misera percentuale del 2% e anche questa va definita senza dubbio “resistenza”, passiva certo, ma comunque diniego all’oppressore.
Il 10 dicembre, durante un’uscita di un centinaio di deportati per lavorare in una campagna vicina sotto il controllo di SS e repubblichini, Pietro viene a trovarsi improvvisamente un po’ in disparte rispetto al resto del gruppo e di fronte ha un bivio di stradine.
E’ solo un attimo, prende e va verso sinistra, correndo a più non posso; ce la fa e per tanti giorni è alla macchia come un latitante.
Evita villaggi e case di campagna, ma l’Appennino è freddo e desolato, subentra la fame.
Il ricordo di Pietro non è certo limpido, mi riferisce solo che una famiglia di contadini alla fine lo tiene con sé per quasi due anni, come un figlio, lo fa lavorare con loro nei campi, nutrendolo a sufficienza e rischiando logicamente la fucilazione, per cui vengono prese tutte le cautele possibili.
Alla Liberazione, Pietro ritorna al suo paese, addirittura accompagnato da un componente della famiglia che lo ha salvato.
Nella sua abitazione, in via Principe di Piemonte, davanti al caminetto, Pietro Romano è ancora uno dei quattro viventi degli ottantanove deportati collepassesi, ha qualche difficoltà di locomozione e di pronuncia, ma mi accoglie con grande cortesia e riconoscenza, specialmente quando lo raggiunge la telefonata da lontano della nipote Piera, guarda caso una mia alunna di oltre trent’anni fa.

LEGGI ANCHE  “Collegare” Gallipoli ad Otranto: le proposte già ci sono

Note biografiche su Pietro Romano tratte da Pati LUCERI, “I deportati Salentini Leccesi nei Lager Nazifascisti”, Grafiche Giorgiani, 2015: “ROMANO Pietro, DnL. Nato a Collepasso, il 10 febbraio 1924, da Salvatore e Giannotta Maria. Catturato e prigioniero dei nazisti fin dal 10 settembre 1943. Internato nel campo di concentramento di Modena ed evaso il 10 dicembre 1943. Contadino” (cfr Arch. St. – Le, FF.MM. 1924, nr di matr. 29909).

Giuseppe Lagna


Spread the love
avatar dell'autore
Pantaleo Gianfreda