Una piccola ed esemplare storia collepassese di umanità, generosità e solidarietà verso i profughi

6 Settembre 2016 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Centro_don_tonino_belloC’è un pezzo di generosità e solidarietà collepassese nel recente sbarco di clandestini lungo la litoranea adriatica (vedi notizia).

Come ogni alba, Peppe torna a casa dal lavoro. Sono le 4,30 del mattino di venerdì 2 settembre. E’ stanco ed assonnato. Lavora al Gibò. Uno dei più noti e ricercati locali di ballo e ricevimenti della pazza e ambita estate salentina. Pochi giorni prima anche una giovane professionista collepassese, ormai “milanese per lavoro” (come tanti nostri giovani), ha festeggiato il suo matrimonio in quel rinomato locale.

Giuseppe Mangia

Giuseppe Mangia

Giuseppe Mangia (“Peppe” per gli amici) percorre un breve tratto della costa adriatica. Subito lo colpisce la “visione” di due persone che vagano ai margini della strada sbrindellati e terrorizzati. Ne è impressionato. Non cede alla logica del “fatti i fatti tuoi!”. Non fa finta di ignorare quell’umanità alla deriva. Chissà quanti erano passati da lì prima di lui. Non cede alla paura dell’ignoto e dello sconosciuto. Mosso da misericordia e compassione, si ferma e va incontro ai due “ignoti”.

Come il Buon Samaritano (“Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gerico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto. Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall’altra parte. Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre. Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui … ”).

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Sono due uomini. Come lui. Due uomini dal volto scuro e terrorizzato. Due uomini, immersi nell’oscurità, che vengono chiaramente da lontano. Forse dal mare. Scambiandosi con difficoltà alcune brevi frasi in inglese, Peppe apprende che sono profughi abbandonati sulle coste salentine da scafisti-“briganti”. Sono affamati e assetati. In macchina ha vitto e acqua. Li rifocilla (“Dar da mangiare agli affamati. Dar da bere agli assetati”). Timidamente, dal buio della scogliera, emergono altri “fantasmi” disperati. Diventano tantissime “anime in pena”. Persone che hanno bisogno di aiuto.

Peppe chiama il 112. In breve sul luogo arrivano i Carabinieri di Gagliano del Capo. Insieme ad altri benemeriti e generosi colleghi provvederanno a fare il loro dovere e trasferire i profughi presso il Centro di Accoglienza “Don Tonino Bello” di Otranto.

E’ già luce e Peppe riprende il cammino verso casa. Verso Collepasso. Non sente più la stanchezza delle lunghe ore di lavoro. Quella drammatica esperienza lo ha ritemprato. Lo ha arricchito.

Peppe ha fatto il suo dovere di umanità… e questo lo rigenera!

Bravo, Giuseppe!

Non potevo non raccontare questa piccola storia… esempio per tutti… lezione per coloro (pochi, per fortuna, tra noi salentini) che guardano con disprezzo, scherno e disumana insolenza a questa umanità vagante, a questi sfortunati fratelli che scappano da guerre, violenze e distruzioni così lontane… eppur così a noi vicine!


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Pantaleo Gianfreda
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