Quegli strani muratori collepassesi a Parigi a metà anni ’50
27 Settembre 2016Il loro non fu certo il viaggio avventuroso, con l’eccezionale scena finale sulle Alpi francesi innevate, narrato nel capolavoro di Pietro Germi “Il cammino della speranza” del 1950, ma comunque abbastanza complesso.
A metà degli anni Cinquanta, fallita la Riforma Agraria e con essa le pur flebili speranze delle masse salentine, i morsi della disoccupazione, artigianato compreso, erano ben riscontrabili e colpivano duro anche nella nostra Collepasso.
Tra i tanti percorsi migratori intrapresi da nostri giovani concittadini, alcuni dei quali coniugati e con famiglia, è da annoverare in particolare un insolito piccolo flusso verso la Francia, da sempre attrattiva verso nostri emigranti, ma non ai livelli di Svizzera e Germania (Oltreoceano a parte).
Un nutrito gruppo di muratori collepassesi, ma alcuni di loro non lo erano affatto (come vedremo), si sottoposero alla severa trafila presso l’Ufficio Emigrazione a Maglie e a Lecce, con accuratissime viste mediche, tipo visita di leva (per intenderci), pur di poter essere assunti nella lontana Parigi.
Una volta superato quest’ostacolo, viaggio Lecce-Milano e da qui a Parigi con un gradito pacco-viveri, sempre a cura dell’Organizzazione.
Ho reperito empiricamente i seguenti nomi, frutto di lunga frequentazione, e pertanto potranno esserne senz’altro sfuggiti diversi: Uccio e Germano De Prezzo, Giulio Moscatello, Renato Maggio, Paolo e Vito Vergine, Mario Marra, Vincenzo e Salvatore Rossetti, Giuseppe De Filippi, Giglio De Filippi, Antonio Campa, Antonio Luperto.
Com’è chiaramente noto, per conoscenza diretta, alcuni di essi il lavoro di muratore non l’avevano mai svolto, ma, a tale proposito, è utile riportare lo spirito di grande solidarietà fra questi nostri compaesani, dai più esperti verso i compagni in grosse difficoltà nel maneggiare la cazzuola a tanti metri dal suolo.
Giunti a Nanterre, nella banlieue della capitale francese, altra visita medica e finalmente il lavoro nei ranghi di circa 300 operai della SERPEC, una grande organizzazione edile, in cui erano presenti fra l’altro molti algerini (l’Algeria si preparava in quegli anni alla lotta per l’indipendenza).
A questo punto balza subito all’attenzione e corre l’obbligo di evidenziare l’estremo ordine e l’efficace controllo, secondo cui ebbe luogo questo moto migratorio, nonché le misure di sicurezza e le condizioni lavorative, sia giuridiche che salariali, dei nostri connazionali, balzati “dai carri nei campi” e dal “bongiornu a signuria” ad un contesto urbano di rispetto e legalità.
Le stesse tecnologie e materiali di lavoro erano avanti di decenni nei nostri confronti, il lavoro era severo, ma ormai a contatto con prefabbricati da assemblare e completare, trattandosi di edilizia residenziale composta di blocchi abitativi di cinque o sei piani e di lunghezza fino a 150 metri.
Nel tempo libero di fine settimana, non poteva poi mancare il diporto nella vicinissima Ville Lumière, già di per sé ripagante con le sue numerose attrattive, Pigalle compresa…
Infine, questi strani muratori collepassesi a Parigi, una volta messa da parte qualcosa, fecero nel breve giro di qualche annetto rientro a casa e alle loro attività originarie di sarto, falegname o barbiere.
Anche nel nostro profondo Sud le mutate condizioni sociopolitiche ed economiche avevano rimosso vecchie incrostazioni e avviato quella rinascita lavorativa che durerà fino a tutti gli anni Settanta.
Da allora, purtroppo, è tutta un’altra storia.
Giuseppe Lagna
Bravo m.stro Lagna.I tuoi commenti fanno rivivere dei bei ricordi nei familiari delle persone menzionate.
Eh, Dario! C’è allora la mano di tuo nonno nell’aver poi tu trovato la Monna Lisa della vita proprio a Lourdes…
Ricambio l’abbraccio, Pierluigi Cataldi.
Devi essere il figlio di Mirella, non può essere altrimenti.
Con lei abbiamo diviso i più bei momenti della nostra infanzia.
Caro Amico Giuseppe, ti ringrazio per avermi ricordato la figura di mio nonno, “MESCIU ‘NTONI LUPERTI”, molto legato alla sua famiglia, ai valori del lavoro e del sacrificio. Ci amava molto e, un giorno, mentre discuteva con me da dietro i vetri della sua finestra, ero ancora bambino, lo sentii sussurrare…”Ah la Francia, la Francia fiju meu è bella comu l’Italia…” Se puoi vacci spesso.
Ho visitato il museo del LOUVRE e ho apprezzato tanto la “MONNA LISA”.
Giuseppe De Filippi era mio nonno..raramente raccontava della sue esperienza francese e questo articolo mi ha fatto scoprire questa storia dal sapore antico fatta di sacrifici e fatica.
Grazie mille.. un abbraccio a Liliana anche se non ci conosciamo
Grazie Giuseppe per aver ricordato questi “strani muratori”, che poi tanto “strani ” non lo erano affatto poiché tra quelli annoverati vi erano vere maestranze che furono d’aiuto a chi ne sapeva meno. Mio padre, Giglio De Filippi, ricorda spesso quel periodo come un periodo fatto di tante incertezze, di duro lavoro e di AMICIZIA VERA! Grazie di cuore. Gianna De Filippi.
Giuseppe De Filippi, era mio zio. Mi ricordo che da bambini quando la domenica sera ci ritrovavamo in casa della nonna paterna(per me), suocera per lo zio, ci parlava sempre di quella esperienza, e di quanto fosse maestosa e spettacolare, specialmente la sera, la Torre Eiffel.
Tutt’altra storia, quella di mio padre, emigrato in Germania, lavorava stagionale con un’impresa per la manutenzione delle strade. La cosa che apprezzavo di più dei suoi ritorni a casa, superfluo dirlo, erano i babbi natale e le monete di cioccolato, da noi, ancora di là da venire.
Al suo rientro definitivo, riportò, quale cimelio, la borsa di cuoio che utilizzava per portarsi il “rancio” sul lavoro.
L’abbiamo usata come cartella, prima mio fratello e poi io.
interessantissimo articolo, grazie giuseppe Lagna, come si dice in questi casi, ….la storia siamo noi…e avendoli conosciuti tutti quegli uomini, mi sarebbe piaciuto allora parlarne di quell’esperienza… grazie