Referendum del 17 aprile: perché andare a votare… e votare SI
10 Aprile 2016Domenica 17 aprile i cittadini sono chiamati alle urne per esprimere il proprio voto sul c.d. “referendum trivelle”, riguardante il proseguimento delle trivellazioni in mare dedite all’estrazione di idrocarburi (petrolio e metano) entro le 12 miglia marine dalle coste italiane, che corrispondono a circa 20 km.
Il SI abroga la norma in vigore, il NO la lascia intatta.
I seggi elettorali rimangono aperti nella sola giornata di domenica 17 aprile, dalle ore 7.00 alle ore 23.00.
E’ un dovere civico recarsi a votare ed esprimere il proprio parere nel referendum, che, non dimentichiamolo, è la più alta forma di democrazia diretta prevista dalla nostra Costituzione.
Riporto e condivido totalmente le motivazioni al SI espresse da Antonio Pinto, Avvocato e Vicepresidente Consulta Regionale Consumatori Utenti, nel seguente articolo pubblicato sul sito ilikepuglia.it.
Con il referendum si chiede se vogliamo l’abrogazione di una norma che, oggi, consente alle Compagnie petrolifere di continuare l’attività di estrazione del petrolio, anche dopo che la concessione sia scaduta, sino all’esaurimento del giacimento petrolifero.
La norma riguarda le 92 piattaforme marine che oggi sono entro le 12 miglia dalla costa, ossia circa 20 chilometri. Di queste 48 sono le piattaforme eroganti petrolio o metano, di cui 21 riguardano trivellazioni di petrolio. Tre di queste trivellazioni sono nel mare pugliese. Il referendum non riguarda le 43 strutture esistenti in Italia che sono al di là dei 20 Km dalla nostra costa.
Fino a poco tempo fa, la legge stabiliva che dopo massimo 45 anni la concessione scadeva e la Compagnia non poteva più estrarre petrolio. Con la nuova norma invece, si è concesso alle Compagnie di continuare a trivellare anche dopo la scadenza della concessione, a tempo sostanzialmente indeterminato, sino all’ esaurimento del giacimento. Se vince il SI, quindi, entro i prossimi 2/10 anni, queste concessioni scadranno e le attività estrattive dovranno cessare.
Premesso questo, provo a sintetizzare i motivi per votare SI: 1) chiudere al più presto possibile le estrazioni che sono troppo vicine alle nostre coste e quindi mettono a rischio la qualità dell’industria del turismo, che per noi è ben più rilevante economicamente di pochi pozzi petroliferi; 2) impedire un regalo immeritato e ingiusto alle Compagnie petrolifere: qualsiasi impresa sa che quando gli scade una concessione, questa torna allo Stato che decide cosa fare e, al massimo, le rimette sul mercato chiedendo nuove verifiche di compatibilità ambientale e nuove gare (con nuovi soldi per lo Stato); 3) la vittoria del SI manderebbe un messaggio molto forte e chiaro (anche al di là dello specifico quesito referendario): vogliamo un modello di sviluppo energetico equilibrato; non vogliamo trivellazioni a meno di 20 km dalle nostre splendide coste; 4) Indurre il Governo a scrivere un Piano Energetico Nazionale che tenga conto di alcune elementari esigenze, come ad es. spingere sulle energie rinnovabili e impedire che si possa estrarre petrolio a pochi chilometri dalle coste italiane.
Chi è a favore delle trivelle pone essenzialmente due temi che in realtà sono soltanto mere suggestioni: 1) “Vi saranno tanti posti di lavoro a rischio”. L’eccezione non ha fondamento se si considera che vi sarà comunque una gradualità negli anni delle chiusure e ogni Compagnia, in ogni caso, quando si chiude un giacimento (ad esempio per semplice esaurimento) sposta la sua forza lavoro su altri giacimenti, di cui nel frattempo si è aggiudicata la concessione. Altrimenti non si spiega perché, negli anni passati, i livelli occupazionali complessivi delle grandi Compagnie petrolifere sono andati aumentando o rimasti stabili anche nei periodi di crisi. 2) “Abbiamo bisogno di energia che, se non produciamo in casa, dovremo poi importare”. Dai dati del MISE si ricava che le trivelle entro le 12 miglia, nel 2015, hanno contribuito a soddisfare circa il 3,5% dei nostri consumi interni di gas e l’1% di quelli di petrolio. Percentuale irrisoria nel quantum, che diviene ancora più irrilevante, a livello economico, se si considera che le Compagnie non è che regalano all’Italia il gas e il petrolio che estraggono da noi!
Ultima considerazione, quella che più di tutte le altre quattro, spinge personalmente me a votare SI: per una volta che posso dare un piccolo contributo concreto ed un forte messaggio politico, a tutela della “casa comune” e a favore di un nuovo stile di sviluppo sostenibile, non rimango di certo a casa.
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La produzione, installazione, manutenzione di impianti a energie rinnovabili come aria, acqua, vento, piante, garantisce molti più posti di lavoro che l’estrazione di gas e petrolio.
I giacimenti di petrolio una volta esauriti (e si esauriscono! ) non danno più lavoro, ma hanno contribuito all’aumento di emissione di CO2, causa dei cambiamenti climatici che già hanno prodotto disastri ambientali che ben conosciamo e che saranno sempre più violenti.
Secondo un’analisi degli Innocenti dell’UNICEF l’Italia è al trentaduesimo posto su 35 dei Paesi OCSE per livello di benessere dei bambini, misurato dal grado di disuguaglianza relativa rispetto al reddito disponibile pro capite, la salute, l’alimentazione, la capacità di lettura e comprensione logico matematica.
Tutto questo accade mentre ci viene detto che l’estrazione del petrolio è determinante per il futuro e il progresso dell’umanità.
Il futuro e il progresso dell’umanità, ce lo ha detto Papa Francesco, è nel rispetto dell’ambiente. È possibile vivere bene anche senza inquinamento, senza rinunciare a confort e qualità della vita. Semplicemente modificando i nostri comportamenti.
Sì al ricorso a energie rinnovabili.
Si a utilizzare materie prime riciclabili.
Si a mettere in circolo le risorse e le materie per produrre altre risorse e altre materie.
Votare SI non vuol dire non avere bisogno di energia possibilmente pulita, ma che rimane più rispettoso per i prodotti agricoli e il turismo.
E ampliare invece le rinnovabili che sarà il futuro per il benessere dei cittadini e limita il cancro socio-economico alla speculazione di ogni risma.