Referendum del 4 dicembre: il “cittadino-legislatore” deve esprimere un voto ragionato e di merito. Io scelgo NO
2 Dicembre 2016Dopo aver attentamente studiato il nuovo testo di revisione costituzionale, ho deciso di votare NO al referendum di domenica 4 dicembre (si vota dalle ore 7.00 alle 23.00).
Mi è stato insegnato che la Costituzione deve essere “perfetta” all’atto della sua approvazione e “perfettibile” nel recepire le evoluzioni sociali e civili di una Nazione. La nuova riforma costituzionale, approvata in Parlamento da una maggioranza risicata, raccogliticcia e trasformista (si pensi al ruolo di Verdini), non è assolutamente “perfetta”, se persino i suoi sostenitori ne riconoscono limiti e persino errori.
La mia scelta per il NO deriva dall’analisi delle nuove norme. Una riforma “pessima” (come dice Cacciari, che pure vota SI, definendola persino “una puttanata”) e “invotabile” (come dice Emiliano, che vota NO).
Invito i lettori/elettori ad avere la pazienza, prima di andare a votare, di leggere il testo comparato di riforma (quello approvato e quello in vigore). Solo così potranno farsi un’idea precisa, al di là delle polemiche contingenti, e votare SI o NO in piena “scienza e coscienza”: cliccare su “Riforma costituzionale”.
Sono rimasto sconcertato dall’attenta lettura della nuova formulazione costituzionale. Mi chiedo come sia possibile che i nostri legislatori abbiano compiuto scelte così controverse e commesso simili pasticci.
Il nuovo Senato sarà eletto dalla tanto vituperata “casta” e non più dai cittadini, privati, in questo caso, del loro diritto di voto. L’art. 57 sul nuovo Senato recita: “I Consigli regionali e i Consigli delle Province autonome di Trento e di Bolzano eleggono, con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori”. Pertanto, mente spudoratamente chi sostiene, come Renzi in questi giorni, che il Senato sarà eletto dai cittadini. Un briciolo di buon senso spinge a chiedere, poi, come sia possibile fare contemporaneamente bene il consigliere regionale/senatore ed il sindaco/senatore, considerate le tante problematiche di Regioni e Comuni. Né è vero che la nuova Costituzione supera del tutto il bicameralismo nell’approvazione delle nuove leggi. Inoltre, la diversa modalità di elezione delle due Camere produrrà maggioranze contrapposte, che renderanno problematiche le attività legislative. E’ chiaro il maldestro tentativo di garantire ad un solo partito una maggioranza assoluta quasi imperitura al Senato, considerato che le Regioni sono quasi tutte guidate dal PD (attualmente, con questa riforma, il PD avrebbe il 60% dei seggi nel nuovo Senato, nonostante il 30% circa dei voti che gli vengono accreditati dai sondaggi). Questo dimostra la scarsa cultura istituzionale di certi leader, che approvano leggi costituzionali solo per tornaconto personale e perpetuare propri gruppi di potere.
Il nuovo art. 70, che riguarda la funzione legislativa delle due Camere, rappresenta poi un “capolavoro” di “ermetismo istituzionale”, tanto sfugge alla comprensione di un cittadino comune. Il testo passa da sole 9 parole, semplici e chiare, a più di 400, confuse ed incomprensibili ed è pure scritto male grammaticalmente. Il bicameralismo viene “complicato” con l’introduzione di procedimenti legislativi involuti e pasticciati, che aumenteranno conflitti e contenzioso tra Camera e Senato.
La “riforma” ritorna, inoltre, al vecchio centralismo dello Stato, che tanti danni e critiche aveva suscitato negli anni ’80-’90, facendo venire meno il principio di “sussidiarietà” previsto nella Costituzione. Si svuotano le autonomie locali e i poteri assegnati alle Regioni, prevedendo persino la “clausola di supremazia statale”, attivabile a proprio piacimento dal governo, che consente di scavalcare le Regioni persino su materie che restano di loro esclusiva competenza.
Di contro, le Regioni a statuto speciale, le prime per sprechi, non vengono nemmeno sfiorate dalla “riforma” e lo squilibrio di poteri con quelle ordinarie sarà ancora più ampio. L’assurdo è che queste Regioni assumeranno un ruolo di “Stato nello Stato” e i loro poteri non potranno mai più essere toccati. Si sancisce, di fatto, la presenza di sei Stati in uno, venendo meno al principio di “unità nazionale”: Italia, Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige. Va ricordato il “ricatto” subito dal Governo da parte dei parlamentari delle Regioni a statuto speciale, che non hanno più oggi alcuna ragione storica di essere tali, i quali minacciavano di non far passare in Parlamento le modifiche costituzionali con il loro voto decisivo se non si fossero mantenuti inalterati quei poteri. Mentre le Regioni a statuto ordinario (come la Puglia) vedranno notevolmente ridursi le loro competenze e lo Stato accentrerà anche numerose materie di notevole impatto per le comunità locali (governo del territorio, ambiente, formazione professionale, turismo, infrastrutture strategiche, ecc.).
L’articolo 83 prevede, poi, che per l’elezione del Capo dello Stato “dal settimo scrutinio è sufficiente la maggioranza dei tre quinti dei votanti”. Ciò significa che il Presidente della Repubblica, organo di garanzia che rappresenta “l’unità nazionale”, potrà essere eletto al 7° scrutinio anche se in aula sono presenti pochi parlamentari, con il rischio che tale elezione possa diventare un “mercato delle vacche” e un inverecondo “mercimonio”. Una vera e propria “bestemmia” giuridica e istituzionale che non trova riscontro in nessun altro ordinamento.
Sono solo alcune delle tante e incredibili “perle” della nuova Costituzione. Altre potrebbero essere rilevate dalla sua lettura. Gli stessi sostenitori del SI riconoscono limiti, anomalie e persino errori e giustificano il voto favorevole accampando motivazioni poco serie e plausibili (“è solo un primo passo”… “si potrà modificare successivamente”, ecc.), come se la Costituzione fosse una leggina qualsiasi, facilmente modificabile o merce di scambio continua. Quando si tratta di modifiche alla Costituzione, la decisione deve riguardare il merito, non l’appartenenza o la convenienza o le opportunità politiche e, soprattutto, dovrebbe avere il consenso della maggioranza delle forze politiche, comprese quelle di opposizione.
Non mi va di “turarmi il naso”, come tanti hanno deciso di fare, su una “riforma invotabile”. Il mio NO è convinto ed è frutto di un’analisi attenta delle nuove norme, confortato anche dalla decisa presa di posizione di tanti illustri costituzionalisti, compresi la stragrande maggioranza dei presidenti emeriti della Corte costituzionale. Prima di votare, ho sentito il dovere di leggere e studiare le proposte di revisione costituzionale. Il ruolo dell’elettore nel referendum costituzionale confermativo è, infatti, fondamentale e decisivo. In tale occasione il cittadino assume, di fatto, l’inedito e decisivo ruolo di “legislatore”. E’ sua l’ultima parola per far passare o meno la proposta. La Costituzione prevede, infatti, che ogni riforma costituzionale debba essere approvata con la maggioranza dei due terzi delle Camere e se questo non succede si ricorre al referendum. Secondo l’art. 138 Costituzione, infatti, “non si fa luogo a referendum se la legge è stata approvata nella seconda votazione da ciascuna delle Camere a maggioranza di due terzi dei suoi componenti”.
In questo va individuato il “peccato originale” dell’attuale riforma e di altre precedenti.
Nel 1997 la Commissione Bicamerale per le Riforme costituzionali, presieduta da D’Alema, aveva trovato l’accordo dei maggiori partiti dell’epoca (Pds-Ppi-Fi-An) attorno ad un testo condiviso. Poi, però, Berlusconi fece saltare l’accordo e la maggioranza di centrosinistra preferì responsabilmente rinunciare all’azione di forza in Parlamento, che avrebbe visto la riforma approvata solo dalle forze di maggioranza.
Nell’ottobre 2001 si tenne il primo referendum sulla riforma del Titolo V della Costituzione. Si recarono alle urne il 34% degli aventi diritto: vinsero i SI con il 64,2%, i NO ebbero il 35,8%.
Il secondo referendum si è avuto nel 2006. La riforma costituzionale approvata dal Parlamento incontrò un forte ostruzionismo da parte del centrosinistra che si oppose strenuamente alle modifiche volute dal centrodestra. Il referendum si tenne nel giugno 2006 e l’esito fu negativo: si recò alle urne il 52,3% degli aventi diritto, vinse il NO con il 61,3%, il SI ebbe il 38,7%.
Nel 2012 vi fu un’importante revisione costituzionale, riguardante l’introduzione nella nostra Costituzione del principio del pareggio di bilancio voluto dall’Unione Europea. In quel caso non si fece ricorso al referendum confermativo in quanto in seconda lettura era stata raggiunta la maggioranza qualificata dei due terzi dei componenti sia alla Camera che al Senato.
In questi decenni la Costituzione ha subito diverse modifiche: dal 1963 al 2012 si contano ben 15 leggi di revisione costituzionale, quasi tutte approvate con il quorum previsto dalla Costituzione. A queste vanno aggiunte altre 23 leggi che introducono norme di natura costituzionale e deroghe a quelle previste dalla Costituzione o che riguardano l’approvazione o la modifica degli statuti delle Regioni a statuto speciale.
Come si vede, non è vero che la Costituzione non sia stata mai modificata o aggiornata alle sopravvenute esigenze evolutive con il consenso della stragrande maggioranza delle forze presenti in Parlamento.
Proprio a causa dell’eccessiva “politicizzazione di parte” delle riforme costituzionali, in particolare dopo il referendum del 2006, e al fine di impedire ad ogni maggioranza transeunte di cambiare la Costituzione a proprio piacimento, il manifesto costituente del PD, approvato il 16 febbraio 2008, aveva solennemente sancito: “La sicurezza dei diritti e delle libertà di ognuno risiede nella stabilità della Costituzione, nella certezza che essa non è alla mercé della maggioranza del momento, e resta la fonte di legittimazione e di limitazione di tutti i poteri. Il Partito Democratico si impegna perciò a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità, a metter fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte a colpi di maggioranza, anche promuovendo le necessarie modifiche al procedimento di revisione costituzionale. La Costituzione può e deve essere aggiornata, nel solco dell’esperienza delle grandi democrazie europee, con riforme condivise, coerenti con i principi e i valori della Carta del 1948, confermati a larga maggioranza dal referendum del 2006”.
Purtroppo, lo stesso PD, di cui sono iscritto ed elettore (non so sino a quando, continuando questa “deriva” leaderistica ed involutiva…), ha tradito i suoi principi costituenti. Anche per questo, da uomo libero e pensante, da militante di una sinistra democratica e aperta al dialogo, capace di condividere con tutte le forze politiche (o almeno con un’ampia maggioranza) le riforme costituzionali, voto NO.
Confesso che mi ha creato forte imbarazzo questa infuocata campagna elettorale, pregna di manipolazioni e menzogne, che Renzi per primo, particolarmente arrogante e divisivo, ha condotto, seguito a ruota dal trucido Salvini, dal truculento Grillo e da altri esponenti di ambedue i fronti. “Stendo un velo pietoso” sulle “mance” elettorali distribuite a piene mani in questo periodo solo per “comprare” il voto di ampie fasce di elettori. Un metodo che mi fa vergognare di essere elettore PD. Come mi vergogno dello sciagurato e arrogante presidente della Regione Campania De Luca (PD), che, nell’invitare a votare SI, ha pronunciato parole vergognose, sintomo di un degrado e di un’involuzione pericolosa della politica e del centrosinistra.
Non si riforma la Costituzione né si chiede il voto distribuendo “mance elettorali” che ricordano brutti tempi passati, inseguendo il populismo con il populismo, contrastando le menzogne con altre menzogne, sovrapponendo slogan trogloditi a slogan altrettanto trogloditi, con attacchi ai “politici di mestiere” e alla “casta” da parte degli stessi “politici di mestiere” e della stessa “casta”, di nuovi “inciucisti” contro vecchi “inciucisti”, solleticando la “pancia” degli elettori od altre amenità del genere, cui siamo stati costretti ad assistere in questi logoranti ed infuocati mesi di campagna elettorale.
La Costituzione è una cosa seria, le sue modifiche non possono essere il semplice effetto di un momento contingente, ma deve rappresentare la Carta in cui tutti gli italiani – di sinistra, di centro o di destra – devono pienamente riconoscersi. La Costituzione deve unire gli italiani, non dividerli. Il voto va espresso con razionalità e considerando il merito delle questioni poste, al di là delle indicazioni dei partiti, di simpatie o antipatie e di “accozzaglie” poco credibili e poco omogenee dell’una e dell’altra parte. Il “cittadino-legislatore” è libero da ogni “vincolo di mandato” e deve esercitare liberamente il suo diritto di voto.
Mi auguro che tutte le forze politiche, in particolare il PD e l’intera sinistra, avviino dopo il 4 dicembre, chiunque vinca, una riflessione attenta e ricompongano quell’”unità dei Costituenti”, che fu alla base della nostra Costituzione.
Intanto, io voto NO e invito tutti a votare NO.
Pantaleo Gianfreda
Leggi appello dei 56 costituzionalisti per il NO:
cliccare su referendum-doc-56-costituzionalisti-per-no