Un “ragazzo del ‘99” di Collepasso nella “Grande guerra”, morto a soli 19 anni. Cento anni dopo
31 Ottobre 2017Un secolo fa, proprio in questi giorni, l’Italia, ad appena 56 anni dalla Proclamazione dell’Unità, toccò il fondo della sua storia, paragonabile solo all’occupazione nazista degli anni 1943/45.
Dopo l’esaltazione di due anni fa sul Centenario dell’entrata in guerra (24 maggio 1915), la tensione mediatica è andata via via attenuandosi e in pochi hanno ricordato il tragico evento passato ai posteri come “la ritirata di Caporetto”, cittadina oggi in Slovenia.
Sono andato a sfogliarmi il volume di Orazio Antonaci “I caduti in guerra di Collepasso” (2013) e vi ho trovato, a pagina 120, uno dei nostri “milite ignoto”, nel senso che di loro non si è reperita foto alcuna e l’autore vi ha apposto un elmetto tanto triste. Con una peculiarità rispetto ad altri: la sua giovanissima età.
Si tratta di un collepassese “ragazzo del ‘99”, come furono denominati i giovani di appena diciotto anni arruolati per far fronte al gravissimo arretramento delle nostre truppe e al profondo sconfinamento in Val Padana dell’esercito austro-ungarico.
Si chiamava Rocco Ria, figlio di Salvatore e Cazzato Apollonia, celibe, soldato del 34° Reggimento Fanteria, nato a Collepasso il 29 gennaio 1899, “morto il 18 giugno 1918 sul monte Grappa per ferite riportate in combattimento”. A soli 19 anni! Tumulazione attuale: ignota.
Piuttosto che avventurarmi nella ricerca di eventuali suoi discendenti (anche se celibe, era l’ultimo nato di sei figli, di cui quattro maschi), ho pensato meglio di intervistare un giovane suo odierno coetaneo, con il suo stesso cognome, e metterlo di fronte all’idea di partire per un fronte di guerra oggi, oltre che vagliarne le conoscenze sulla “Grande Guerra” (storia, racconti, film-TV).
La scelta obbligata è caduta su Alberto Ria, figlio di Romeo e Letizia Guido Cavallo, nato a Gallipoli il 16 ottobre 1999 e residente a Collepasso, un centinaio di metri oltre la mia abitazione, in quanto unico nato di sesso maschile in quell’anno con il cognome Ria.
Sono piombato, a sua insaputa, e ci siamo intrattenuti in fertile conversazione per una buona mezz’ora, affrontando ogni aspetto di quello che fu il primo conflitto definito “mondiale”.
Alberto, diciottenne da pochi giorni, studente del quarto anno al Commerciale “De Viti De Marco” di Casarano e centrocampista nella Juniores dell’Aradeo in Eccellenza pugliese, si è mostrato dapprima sorpreso, ma pian piano ha dimostrato di conoscere con piena sufficienza le dinamiche della guerra 1915/18, anche perché in occasione del conseguimento della licenza media aveva svolto proprio sull’argomento la sua tesina di esame.
Diciamo che sono stato davvero fortunato nell’imbroccare lo studente giusto, in quanto le mie aspettative non erano certo esaltanti, visto e considerato che da ormai quindici anni lo studio della storia è stato per legge spalmato dalla terza elementare alla terza media.
E’ estremamente raro riuscire, perciò, a parlare di storia contemporanea con un ragazzo che non abbia almeno quattordici anni e che abbia frequentato con impegno e profitto.
Ho sfogliato, da vecchio maestro elementare, la tesina di Alberto Ria, svolta con il metodo dell’interdisciplinarietà, giudicandola ricca e interessante, e mi sono accomiatato, ringraziandolo.
In vista della prossima ricorrenza del 4 novembre, 99° anniversario della “Vittoria” e a 100 anni dalla “disfatta” di Caporetto, è giusto assegnare massimo risalto e profonda gratitudine alle decine di migliaia di “ragazzi del Novantanove”, fra cui il collepassese Rocco Ria, che, con il loro spirito di sacrificio, posero fine sulla linea del Piave a quella che Benedetto XV definì “inutile strage” e “orrenda carneficina”.
Giuseppe Lagna