In pellegrinaggio presso la tragica miniera del Bois du Cazier di Marcinelle

7 Gennaio 2018 Off Di Pantaleo Gianfreda
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23 dicembre: partiamo un po’ tardi da Colonia verso il vicino Belgio, con l’intenzione di visitare il luogo della battaglia di Waterloo e il Bois du Cazier, teatro della tragedia mineraria del 1956 presso Marcinelle; ma le scarse ore diurne, a ridosso del solstizio d’inverno, ci costringono a dover scartare una della due mete.

Decidiamo senza tergiversare che Napoleone può attendere l’anno prossimo, chissà!

Allora, dopo esserci lasciati alle spalle gli svincoli per le note località di Aquisgrana (Carlo Magno), Maastricht (Trattato UE), Huy (il muro della corsa ciclistica “Freccia Vallone”), fiancheggiamo Liegi per Charleroi e già i cartelli lungo la E3 ci indicano in color marrone la scritta Bois du Cazier, la miniera divenuta tragicamente storica.

Così facilitati, in men che non si dica, eccoci al parcheggio presso l’entrata al sito, con relativa insegna “Bienvenue” e in italiano “Benvenuti” al secondo posto, prima del fiammingo e dell’inglese: interpretiamo questa insolita disposizione della nostra lingua (ormai assente nei cartelli di tutta Europa) come un dovuto omaggio ai nostri connazionali periti nel gravissimo disastro sul lavoro e alla vasta colonia italiana formatasi negli anni.

Ci appare, subito dopo una scalinata, il piccolo villaggio di eleganti casette, che sembra stringersi alle due torri di ferro della miniera, proprio di fronte al cancello tante volte visto nelle foto in bianconero dell’epoca, con le donne imploranti di volersi recare nel fumo nero e denso dai loro cari.

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Muniti di guide elettroniche al collo, iniziamo la lunga visita, ascoltando per otto postazioni un racconto sotto forma di dialogo fra una ragazza e un superstite, davvero istruttivo e commovente.

Nelle foto allegate, che risentono del cielo plumbeo belga e del buio ormai incombente, si possono facilmente interpretare le enormi difficoltà di lavoro e di esistenza dei nostri minatori, provenienti dai climi miti del sud, nelle fredde, uggiose contrade della Vallonia.

Abbandonata per anni, nel 1992 la miniera Bois du Cazier Royale è stata ben ricostruita, riportata come appariva all’epoca della tragedia e divenuta patrimonio dell’Unesco. In particolare, colpiscono le enormi ruote e i grossi cavi che portavano i minatori fino a 1100 metri di profondità, un tratto di cunicolo strettissimo con lampade e rumore dei compressori, il monumento in travertino recanti i nomi dei minatori italiani, un bassorilievo con lo Stivale italiano, una campana che suona nelle occasioni più importanti, i locali di fine visita con foto e dati anagrafici dei minatori periti nel terribile incidente, nonché le numerose targhe-ricordo inviate nel tempo, fra cui quella della Regione Puglia.

Prima di abbandonare la miniera, sediamo in una saletta a visionare un filmato di quindici minuti sulla storia economica della Vallonia, bisognosa di manodopera per la ripresa nel dopoguerra.

Non può mancare l’acquisto di opuscoli e gadget, mentre la distinta signora della reception mi invita a scrivere qualcosa sul registro dei visitatori, incombenza che assolvo in assoluta trance emotiva, come traspare dall’altisonante “Onore al lavoro italiano nel mondo”.

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Tanto dovevo ai numerosi minatori collepassesi, di cui molti scomparsi, che mi hanno arricchito con i loro ricordi sui sedili della vecchia Villa Comunale.

Giuseppe Lagna


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Pantaleo Gianfreda