Infermieri collepassesi nel Nord sulla “linea del Piave”. Rispetto e gratitudine per tutti gli operatori sanitari impegnati nella lotta al coronavirus
27 Marzo 2020“Coronavirus: ottanta decessi a Vimercate, bare in chiesa”: il titolo di un articolo pubblicato nell’edizione della provincia Monza-Brianza de “Il Giorno” ci fa ancor più capire, se ce ne fosse bisogno, il dramma che stanno vivendo in particolare le Regioni del Centro-Nord, flagellate dal coronavirus.
L’articolo è di tre giorni fa ed è stato postato sulla sua pagina facebook da Luigi Masciullo, infermiere di Collepasso, che lavora al triage proprio presso l’Ospedale di Vimercate (MB).
Luigi, 52 anni, è uno dei tanti infermieri e operatori sanitari collepassesi emigrato al Nord per lavoro, oggi impegnato a contrastare, insieme a tanti colleghi e medici, l’avanzata nemica sulla nuova e sanguinosa “linea del Piave” in Lombardia, Veneto, Emilia-Romagna ed altre aree del Centro-Nord, dove l’azione devastante del terribile virus conta il maggior numero di ricoverati e deceduti.
Cito Luigi ed altri nostri compaesani, che continuano a mantenere contatti con amici e coetanei di Collepasso attraverso una chat in cui “riversano” immagini sulla drammatica situazione che stanno vivendo (ringrazio Danilo per l’input e le foto), per far sentire loro (e a tutti i colleghi) la nostra vicinanza e come “emblema” dei tanti operatori sanitari sul fronte del Nord, ma anche del Centro e Sud Italia, nella tenace e furibonda battaglia contro il coronavirus.
Sul “fronte” lottano con Luigi altri infermieri collepassesi, come Ada Sindaco nell’Ospedale di Legnano, Anna Rita Malerba nell’Ospedale Maggiore di Parma, Giuseppe De Siena nel Policlinico di San Donato Milanese e tanti altri insieme a migliaia di operatori sanitari impegnati nel contrasto al terribile virus che sta sconvolgendo la vita di milioni e milioni di persone. Spesso a rischio della propria vita. Ormai si contano a centinaia in Lombardia (e non solo) medici, infermieri e operatori positivi al Covid 19 e non fanno più notizia i casi di decessi anche tra queste categorie. Anche da noi, pur essendo minore l’impatto “pestilenziale”, sono tanti gli infermieri e i medici risultati positivi.
L’epidemia, classificata come “pandemia” dall’OMS perché ha colpito tutto il mondo, ci sta facendo aprire gli occhi su tante situazioni di apparente normalità che sinora hanno caratterizzato la nostra vita. Ci ha fatto scoprire, ad esempio, che mancano migliaia di medici, infermieri e operatori socio-sanitari nel nostro Servizio Sanitario Nazionale, pur tra i più eccellenti del mondo, e sta facendo emergere, tra le altre, la centralità della sanità, che non può più essere sacrificata sull’altare del profitto privato e di una falsa efficienza che ha portato solo tagli finanziari. Per far fronte a questa carenza è stato persino necessario richiamare al lavoro medici ed infermieri in pensione, spesso offertisi volontari. Qualcuno morto in “trincea”. Come il dr. Gino Fasoli, bresciano, che si era rimesso il camice a 73 anni per curare nei pazienti la malattia che lo ha subito ucciso.
Per fronteggiare l’emergenza in Lombardia la Protezione civile ha dovuto emanare il 21 marzo un “bando urgente” per reclutare 300 medici a supporto delle strutture sanitarie regionali. Alla scadenza delle 24 ore, sono stati oltre 7900 i medici giovani ed anziani resisi disponibili.
Tra i tanti che hanno risposto all’appello, il noto oncologo salentino dr. Giuseppe Serravezza, stimato e generoso medico casaranese, in pensione da pochi mesi, che ha risposto subito all’appello: “Meglio che a fronteggiare l’emergenza siano gli anziani come me – ha detto -. I giovani hanno una vita davanti. E basta chiamarci eroi, è il nostro dovere”.
Ecco, in quest’ultima frase si coglie il vero “eroismo” di medici e operatori sanitari che continuano a fare il loro “dovere” con serietà e abnegazione e spesso a rischio della vita.
A loro, dal Nord al Sud, va la nostra gratitudine e il riconoscimento dell’intera Nazione e di tutti i cittadini.
Ai tanti Luigi, Ada, Anna Rita, Giuseppe, fratelli strappati alla loro avara terra d’origine e che lottano oggi sul “fronte” del Nord, e ai tanti altri che in tutta Italia combattono giornalmente in modo “eroico” (cioè facendo il loro dovere) vanno il rispetto, la riconoscenza ed il ringraziamento di tutti.
Dopo questo terribile momento, molte cose cambieranno nelle nostre opulente società e nella stessa mentalità, spesso connotata da esasperato individualismo, egoismo e livore sociale. Il virus non solo ha “capovolto” l’Italia ma aiuta a far capire che di fronte a certi fenomeni non ci sono muri e confini che tengano. Può aiutare a far capire che solo un vero umanesimo culturale, sociale e politico – capace di mettere al centro i reali bisogni della persona e della comunità, di riscoprire i valori di solidarietà e fratellanza, di bandire dal nostro vocabolario genetico ogni forma di individualismo e di “ismi” – e la collaborazione tra popoli e nazioni possono aiutare a riscoprire l’importanza della vita di ogni uomo/donna, che ha diritto ad essere vissuta nel migliore dei modi e nelle migliori condizioni possibili.
Pensiamo per un attimo come sarebbe l’umanità se non si spendessero miliardi di miliardi in armi e guerre…
Pantaleo Gianfreda
Bellissimo e commovente articolo dott. Pantaleo. Lode soprattutto ai miei paesani che come hai già detto rischiano la vita per il senso del dovere verso il prossimo. Siete il nostro orgoglio.