25 novembre, “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne”
25 Novembre 2021“Per tutte le violenze consumate su di Lei, per tutte le umiliazioni che ha subito, per il suo corpo che avete sfruttato, per la sua intelligenza che avete calpestato, per l’ignoranza in cui l’avete lasciata, per la libertà che le avete negato, per la bocca che le avete tappato, per le ali che le avete tagliato, per tutto questo: in piedi, Signori, davanti ad una Donna!”: così scriveva quasi cinque secoli fa William Shakespeare.
E più recentemente l’immensa Alda Merini: “Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise, solo perché donne”.
In questi pensieri di due Grandi della Storia e della Cultura è forse condensata la secolare “questione” della violenza sulle donne.
Una “questione” che, se vogliamo, ha radici nella specie umana nel momento in cui, solo poche migliaia di anni fa, prevalse l’idea della conquista, della prevaricazione, della guerra, della cultura dell’“homo homini lupus”, del “maschio bellicoso” e dominatore. In parole povere (e assai schematicamente), la cultura del c.d. “maschilismo”, categoria deviante dell’essere umano, di origine “recente” (2-3 mila anni fa), che poneva e pone il “maschio” come centro, motore e dominatore delle attività umane e relegava la donna ad un ruolo subalterno.
Nell’antichità, persino nella storia delle “recenti” civiltà greca e romana, il ruolo della donna nella famiglia e nella società aveva un riconoscimento persino in un campo, come quello della religiosità – cioè del trascendente, del misterioso, dell’infinito, dell’“oltre la vita”, del “timor mortis”, della fede – che ha rappresentato istinto primordiale dell’umanità.
Nell’antichità, infatti, non c’era solo un Dio “maschio”, la cui figura e credenza sono state introdotte (e imposte) nella Storia antica e moderna dell’uomo dalle tre religioni monoteiste (ebraismo, cristianesimo e islamismo). Gli dei dell’antichità erano maschi e femmine per rappresentare equamente i due generi (a tal proposito, sarà un caso, ad esempio, che oggi la stessa Chiesa Cattolica, nella sua parte più attenta e meno dogmatica, tenda a valorizzare la figura di “Dio Madre”?!?).
Diciamocelo chiaramente. Testi e studiosi di antropologia e scienze umane ci tramandano storie e studi di antichissime società e civiltà in cui non esisteva né era concepita la prevaricazione (e la violenza) del maschio sulla donna, essendo intesi i due generi coesistenti in modo armonioso e con ruoli convergenti. Ci vengono persino tramandati storie e studi di antichissime società matriarcali – le cui residuali “vestigia” sopravvivono oggi in alcune tribù “primordiali” delle foreste dell’Africa e dell’America Latina – in cui il prevalente “potere delle donne” è stato garanzia di pace e armonia sociale.
Senza dilungarmi in ragionamenti che meriterebbero approfondimenti e confronti assai impegnativi, mi preme qui – e in questa giornata – sottolineare un aspetto “scomodo” e drammatico delle “moderne” (ultimi duemila anni o giù di lì) società e civiltà. La violenza sulle donne è, infatti, un “fenomeno recente” nella lunghissima storia dell’uomo e la sua soluzione non può che essere di carattere culturale. Cioè, di un radicale cambiamento del paradigma, che in parte sta fortunatamente e lentamente modificandosi, che da secoli domina le nostre “civiltà”: il ruolo centrale del maschio rispetto alla donna.
Un nuovo paradigma che riguarda contestualmente sia il genere maschile (basterebbe capire il senso di un aforisma di Karl Krauss: “I diritti delle donne sono i doveri degli uomini”) che lo stesso genere femminile, che inconsapevolmente e culturalmente “subisce” sin dai primi vagiti il “modello maschilista” imposto dalla società patriarcale, oggi, per fortuna, sempre più in crisi.
Un nuovo paradigma che ha bisogno di assimilazione collettiva ed anche individuale da parte della società e, prima di tutto, della donna.
Isabel Allende, in un bel libro che consiglio (“Mujeres del alma mia”/“Donne dell’anima mia”), nel “solleticare” l’orgoglio di essere donne (“sappiamo essere più empatiche, più solidali rispetto agli uomini e più resistenti”), ha scritto: “Dal momento che mettiamo al mondo dei figli, siamo dalla parte della vita, non dell’estinzione. Siamo l’unica salvezza possibile dell’altra metà dell’umanità. La nostra missione è allevare; la distruzione è maschile”.
Il giusto ed individuale orgoglio di essere donne, prima di tutto in quanto depositarie del mistero della vita, deve, però, essere affiancato da un impegno sociale e collettivo che sin dalla scuola e dalla famiglia educhi ad un’effettiva parità di diritti e doveri.
L’istruzione, la cultura, la conoscenza, la lettura, la formazione – tutto ciò che, in parole povere, viene inquadrato come “sovrastruttura” della società – sono essenziali per sconfiggere definitivamente la triste piaga della violenza sulle donne, un dramma così spesso sottovalutato. È un caso se i talebani afghani, oggi tornati al potere in quello sfortunato Paese, interdicano alle bambine il diritto all’istruzione?!?
La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, istituita dall’Assemblea generale dell’Onu nel dicembre 1999 per la data del 25 novembre – data emblematica che ricorda l’uccisione, il 25 novembre 1960, di tre attiviste politiche, le sorelle Mirabal (Patria, Minerva e Maria Teresa), per ordine del dittatore dominicano Rafael Leónidas Trujillo – deve indurci a riflessioni serie e profonde, considerato che il fenomeno non tende ad arrestarsi.
In Italia, nei primi dieci mesi di quest’anno, sono state uccise 103 donne: una ogni tre giorni. E nei primi sei mesi del 2021, delle 19.128 vittime dei cosiddetti “reati-spia” (atti persecutori, maltrattamenti contro familiari e conviventi e violenze sessuali) il 79% era una donna. Una situazione che nel nostro Paese resta drammatica, prima che nei numeri, a livello culturale: perché spesso la violenza di genere è un fenomeno sottovalutato, dagli uomini e dalle stesse donne, che fa emergere, secondo alcune ricerche, uno sconfortante problema culturale di fondo.
La nuova Amministrazione di Collepasso, in cui è finalmente forte la presenza di donne, ha voluto ricordare la data odierna allestendo la Sala consiliare con simbologie (scarpette rosse e drappi rossi) che vogliono testimoniare l’impegno contro la violenza sulle donne.
Sabato 27 novembre, inoltre, alle ore 10.00, l’Amministrazione ha organizzato, inoltre, un incontro pubblico per sensibilizzare la cittadinanza sul tema.
Secondo Diana De Marchi, presidente della Commissione pari opportunità e diritti civili e Rete antiviolenza del Comune di Milano, è necessario “un cambiamento culturale che ci faccia sentire tutti e tutte parte del problema perché le donne non possono – e non devono – essere lasciate sole ad affrontare la violenza e i maltrattamenti”.
Un cambiamento che deve partire, in primo luogo, da una diversa formazione familiare e scolastica.
Pantaleo Gianfreda