“…ssu’ rimasta senza fiji”… le tragedie, il dolore e la forza di Iolanda, nostra “Grande Madre”

“…ssu’ rimasta senza fiji”… le tragedie, il dolore e la forza di Iolanda, nostra “Grande Madre”

19 Giugno 2023 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Pantaleu… ssu’ rimasta senza fiji…”, mi dice Iolanda, sconsolata, rassegnata. Quasi serena.

Apparentemente serena. Sembra che viva ormai in quella dimensione quasi “sovraumana” di ineluttabile fatalismo e di docile accettazione – e anche di intensa religiosità – che pervade quelle “umanità dolenti” sulle quali il Destino sembra essersi particolarmente accanito.

Iolanda ha 86 anni e, seppur sfiorita, appare ancora bella.

Come belle erano le sue tre figlie. Come bello era suo figlio.

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Il volto, solcato da delicati rivoli che l’età chiama “rughe”, rivela tutta la stanchezza di una vita piena di dolore… cuore e anima lacerati e “spaccati” dai pesanti macigni di ripetute “valanghe” di dolore che la vita le ha scaricato addosso… gli occhi abitati da indefinibile dolore… occhi grigio-celesti, come i colori del cielo triste, nei quali “abitano” i suoi quattro figli… tutti “volati in cielo”. Tutti in età adulta.

Iolanda racconta…

Ultimo, appena un mese fa, l’unico maschio, Roberto, preceduto dalle tre sorelle.

Lena Novembrini

La prima, più dura e imprevista “valanga” travolse Iolanda oltre venti anni fa, in quel tragico mattino del 6 aprile 2002, quando la “piccola di casa”, Luigia Filomena, detta “Lena”, classe 1965, bel viso da cerbiatta, morì in un tragico incidente stradale. Lasciò un figlio in tenera età. Un dolore immenso e straziante per Iolanda. Per il marito Benito. Per le sorelle Enza e Maria Assunta. Per il fratello Roberto, che allora lavorava ed abitava a Roma con la famiglia. Un trauma indescrivibile per Iolanda, la madre che tutte le mattine sonnolenti, da quella tragica mattina, sognava la sua Lena.

Ogni mattina, per mesi e poi anni, si svegliava pensando di rivedere Lena. Pensando che fosse a casa. Si alzava e andava a cercarla nella sua stanza. Senza mai trovarla. E piangeva. Lacrime che la riportavano alla tragica realtà.

Lena adolescente

Non piangere, mamma. Io sto bene”, le disse in un sogno mattutino – e poi ancora in tanti altri successivi – Lena, figlia e “madre consolatrice” nei sogni mattutini della madre. “Sto bene, mamma”, le ripeteva sempre Lena, lenendo lentamente l’acuto dolore della madre e sbriciolando in mille e meno pesanti sassolini di dolore il “macigno” di quella prima “valanga” che aveva travolto la serenità sua e di una tranquilla famiglia contadina e di lavoratori.

Era il 2015 quando venne a mancare, all’età di 79 anni, il marito Benito. Vedova, ma con tre figli a farle da sostegno.

Iolanda mi racconta di lui, “lu primu e unicu ommu te la vita mea”.

Ho dimestichezza con lei e la sua famiglia dai lontani anni ’70 del secolo scorso, quando eravamo tutti molto più giovani. Un legame di familiarità e affetti che mi sembra doveroso oggi riannodare e rafforzare.

Benito Novembrini

La familiarità, la levità, la semplicità, l’ingenuità e la freschezza di certi suoi racconti le fanno rivivere momenti di un passato felice, seppur duro e pieno di tanti sacrifici. Dalla “fuitina” a 17 anni, all’iniziale convivenza con i suoceri in una casa di campagna senza alcuna possibilità di intimità (“…ma nui – dice – sciane a’ menzu le vigne e… sciucavane”… mi fa “impazzire” la delicatezza e il pudore di quel “sciucavane”!), ai figli che nascevano e crescevano, all’amore per gli animali da parte del marito, al lavoro di campagna, alla costruzione della casa per la famiglia, ai tanti problemi, ai matrimoni dei figli, alla nascita dei nipoti… saranno sei: Gabriele, Giulia, Piero, Andrea, Laura, Luigi.

Nei suoi racconti e nelle sue espressioni dialettali scopro parole antiche mai udite… ad esempio, “lu fiju scettatu”, termine  usato da Iolanda in ricordi del passato. Di fronte alla mia curiosità, mi spiega che “lu fiji scettatu” era il figlio abbandonato, come si usava una volta, sull’uscio di casa di qualche persona di cuore, di un possibile benefattore capace di crescere quel figlio “scettatu”.

Iolanda racconta quasi a voler riavvolgere il nastro della sua vita e fermarne la pellicola solo ai momenti precedenti la “montagna del dolore” che ha scatenato altre devastanti “valanghe” e altri lutti.

Nel biennio 2018-2019, nell’arco di tredici mesi, la valanga si abbatte su di lei per ben due volte.

Maria Assunta

Il 18 marzo 2018 muore Maria Assunta, “la manzana”, classe 1958. Lascia un figlio. Ne ricordo l’amore appassionante espresso in un manifesto funebre (cliccare su manifesto).

Il 16 aprile 2019 muore Enza, la “cara Enza”, la figlia maggiore, classe 1955, sposata ad Alezio. Lascia due figli.

Enza

Ambedue colpite dal “male del secolo”.

Percé nnu’ m’hai pijata a mie, Signore?!?”, ripete per ben due volte Iolanda.

Roberto

Percé nnu’ m’hai pijata a mie, Signore?!?”, ripete ancora appena un mese fa, quando il 29 maggio muore improvvisamente anche l’unico figlio superstite. Roberto, classe 1957. Il secondogenito. L’ultimo sopravvissuto dei suoi figli. Roberto era ormai in pensione e da Roma, dove sono rimasti i figli, si era trasferito con la moglie a Parabita. Ogni giorno veniva a Collepasso. Passava dalla madre a farle compagnia o a portarle la spesa.

“… cci peccati aggiu fattu…”, si interroga, mormorando tra sé e sé, umile e rassegnata, con il pensiero rivolto al buon Dio.

Iolanda, tu non hai fatto nessun peccato…”, le dico, aggiungendo qualche considerazione che ometto per non essere tacciato di blasfemia… sebbene anche il buon Dio meriterebbe talora una bella “tiratina d’orecchi”.

“… lu Signore ne ole bene a tutti Iddhru cusì ha ulutu!”, dice rassegnata e piena di fede nel Buon Dio.

Mi chiedo cosa sarebbe la vita di tante umili (e non solo) persone senza la Fede, senza quell’abbandono nelle braccia e alle volontà di Dio, che pur a volte appare crudele e incomprensibile.

Quando penso al dramma di Iolanda mi viene in mente il “Verbum caro factum est” del Vangelo di Giovanni … “Il Verbo , cioè il “mistero” del Figlio di Dio, che si è fatto carne” nel grembo della Vergine Maria.

In Iolanda il “mistero” è l’incarnazione del Dolore… “Dolor caro factus est”… “il Dolore si è fatto carne”!

Ogni cellula del suo corpo è un “mistero” di dolore… un dolore “rassegnato”, ormai “pacato”, sebbene mai placato, che vive di ricordi e dialoghi con i figli, tutti scomparsi prima di lei.

Iolanda con le foto dei figli

Cerco nelle tragedie greche, nelle letterature di tutto il mondo un “qualcosa” che assomigli alla tragedia di una madre colpita dalla perdita di tutti i suoi figli adulti e sopravvive a loro… non ne trovo!

Non esistono parole nella lingua italiana per indicare un genitore che perde un figlio…”, leggo da una analisi di una poesia, “In Giorno per giorno”, composta nel 1946 da Giuseppe Ungaretti per dare voce al dolore per la perdita prematura del figlio… “… Già m’è nelle ossa scesa l’autunnale secchezza, ma, protratto dalle ombre, sopravviene infinito un demente fulgore: la tortura segreta del crepuscolo inabissato…”.

Altri hanno scritto della morte di un figlio, un fratello, un genitore… ma non esiste tragedia come quella di Iolanda… non esistono parole per descrivere il “corpo che si fa dolore” per la morte di tutti i propri figli.

Né il “vos omnes qui transitis per viam …” di Geremia … “O voi tutti che passate per strada, fermatevi e guardate se vi è un dolore come il mio dolore”… riesce a farci comprendere appieno questo “mistero del dolore” di una “Mater” per quattro volte e per sempre “dolorosa”, i “mille venti che soffiano” nell’animo di una madre sulle tombe dei propri quattro figli.

Solo la Fede è di conforto a Iolanda… ma può esserlo anche la nostra solidarietà, la nostra vicinanza.

… e noi, “Grande Madre”, siamo ora tutti tuoi figli, nipoti e fratelli… 

Tutta la tua comunità ti sarà sempre vicina, mamma Iolanda, “Madre nostra”!

Pantaleo Gianfreda


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