C’era una volta un monastero basiliano sulla collina di Sant’Eleuterio… ora c’è solo desolazione e abbandono. Un Parco delle Serre salentine per salvaguardare e valorizzare storia e ambiente

C’era una volta un monastero basiliano sulla collina di Sant’Eleuterio… ora c’è solo desolazione e abbandono. Un Parco delle Serre salentine per salvaguardare e valorizzare storia e ambiente

10 Ottobre 2024 1 Di Pantaleo Gianfreda
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I resti di quello che fu l’ingresso della cripta del monastero

C’era una volta…”… potremmo cominciare così questa storia. Una storia vera, affascinante e avvincente.

C’era una volta, tanti secoli fa, un florido monastero dei monaci greco-bizantini dell’ordine di San Basilio sulla collina di Sant’Eleuterio, la seconda (per alcuni la prima) cima più alta della provincia di Lecce con i suoi 195 mt s.l.m.

Il sito era ubicato tra i Comuni di Matino, nel cui agro è compreso, Parabita e Collepasso, su uno dei versanti della collina da cui dominano colori e paesaggi mozzafiato, in cui terra, cielo e mare sembrano confondersi e pennellare un’opera d’arte.

Il monastero venne costruito attorno al X secolo e fu, per alcuni secoli, un centro fiorente di attività religiose, culturali, artistiche e produttive. Comprendeva, oltre la cripta, le celle dei monaci, i granai e una chiesa.

Non è improbabile che da questo monastero provenga, secondo alcuni studiosi, l’immagine della Madonna della Coltura di Parabita, uno dei più suggestivi monumenti dell’arte bizantina della rinascenza.

Appartenuto fino al XIII secolo ai basiliani, il sito passò poi al clero locale che lo curò sino alla metà del Seicento.

Dell’antico monastero oggi non resta traccia. Sopravvivono, in uno stato di penoso abbandono, un ipogeo con ingresso sormontato da una piccola volta a botte, che funge anche da copertura a tutto il corridoio di accesso nella scalinata che conduce verso il basso, che doveva essere la cripta del monastero, e altre cavità, forse granai, aggredite e sommerse da erbacce infestanti. Non resta nulla delle originarie pitture, seppur non sia improbabile che alcune di esse sopravvivano sotto lo spesso strato di malta appostovi successivamente.

Secondo la testimonianza dello storico matinese G. Schivani, vissuto nella prima metà del 1700, che da piccolo si recava ogni anno a festeggiare il 24 maggio la festa di Sant’Eleuterio, ai suoi tempi era ancora possibile ammirare la cripta, la Chiesa con l’altare maggiore rivolto ad oriente secondo il rito greco e le celle dei monaci, già in stato di abbandono.

Il tempo, l’oblio, la barbarie umana, l’incultura e, nei decenni più recenti, le speculazioni hanno trasformato quel luogo di storia e testimonianze straordinarie in una landa desolata e abbandonata.

All’ingresso della grotta ipogea ho rintracciato la sottostante targhetta che forse testimonia un antico interesse degli Enti pubblici verso il sito… ma la situazione attualmente è disastrosa.

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Nel tratto delle Serre salentine che da Neviano va a Ruffano, e si protende sino al Capo di Leuca, i resti dell’antico monastero di sant’Eleuterio non sono le uniche testimonianze della presenza basiliana e di altre importanti “impronte” della presenza dell’uomo nella storia e nella preistoria. Tra Parabita e Matino si contano diversi siti di interesse storico e archeologico.

Le Serre Salentine sono, inoltre, connotate dalla presenza di una straordinaria e rara flora.

Negli anni della “modernità” (!!!) l’area dell’ex monastero è stata persino recintata. Non per salvaguardare i preziosi resti, ma per installarvi le alte antenne di stazioni radiotelevisive.

Un vero oltraggio alla storia e al territorio, che oggi, grazie alle norme che tutelano importanti siti ambientali e storici, forse sarebbe impensabile, ma che negli anni ’60-’70, quelli del c.d. “sviluppo selvaggio ed incontrollato”, hanno dato il colpo di grazia ad un territorio che avrebbe meritato e meriterebbe ben altra cura e attenzione.

Quando, in un assolato mezzogiorno d’estate, un caro e dotto amico, docente di Scuole Superiori, mi portò a visitare il sito per scrivere di questo derelitto tesoro, rimasi affascinato dal luogo, dalle memorie e dalle descrizioni storiche che il docente magicamente “pennellava” su quell’arido luogo, facendomi intravedere l’ologramma di un magnifico monastero e la vita che vi pullulava attorno. Al contempo, rimasi basito dallo stato di abbandono e di incuria e dalla scandalosa presenza di antenne in un luogo sacro alla memoria e alla storia dell’uomo.

Forse una breve carrellata storica aiuterà a comprendere l’importanza del luogo.

Intanto, già il toponimo della collina rivela l’antica presenza dei monaci greci nel luogo.

Sant’Eleuterio è un santo di origine greca ed il nome è emblematico per il suo significato.

Sant’Eleuterio, nato a Nicopoli nell’Epiro (Grecia), fu papa dal 175 al 189. Dopo il martirio probabilmente fu sepolto in Vaticano, vicino al corpo di san Pietro.

Il nome deriva dal termine greco “eleutherios”, che significa “libero” o “che gode di libertà”.

Un santo e un nome significativi per i monaci bizantini costretti a fuggire dalle loro terre a causa delle persecuzioni degli imperatori bizantini iconoclastici. Un nome che esprime voglia di libertà e la speranza di una vita libera.

Foto meno recenti tratte dal sito internet salentoacolori.it

Mi soccorre in questa ricerca, oltre a tante ed autorevoli fonti, un prezioso libro che ho recentemente e casualmente acquisito, pubblicato oltre un secolo fa, nel 1913.

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Il libro, dal titolo “La Madonna di Parabita e l’arte basiliana in Terra d’Otranto”, raccoglie le conferenze tenute a Parabita dal gesuita P. Giovanni Barrella, professore di Patrologia e Archeologia cristiana nella Facoltà Teologica Pugliese.

Per circa sei secoli… fu tutto un maggio d’arte, un tempo, questa terra nostra”, che contiene “tanti ignoti tesori”, scrive il dotto gesuita introducendo il capitolo su “I Basiliani in Terra d’Otranto”.

Necessarie alcune, pur brevi, rimembranze storiche.

Nel 726 e 730 l’imperatore bizantino Leone III, detto “Isaurico”, emanò due decreti con i quali proibì il culto delle immagini sacre e nel 754 il suo successore Costantino V, detto “Copronico”, fece decretare da un concilio-farsa, appositamente convocato, il culto delle immagini come “idolatria e culto del demonio”. Da queste assurde decisioni nacquero le persecuzioni contro i monaci greco-bizantini, energici difensori delle immagini sacre, che per salvare le loro vite furono costretti all’esilio verso l’Italia meridionale. Si stabilirono in particolare in Calabria e nella Terra d’Otranto, regioni greche lontane dai furori iconoclasti degli imperatori bizantini.

Nell’accogliente Terra d’Otranto, dove già preesistevano alcuni cenobi basiliani, i monaci, come scrive P. Barrella, “fonderanno una vera colonizzazione greco-monastica, centro di una nuova civiltà ellenica… Alla fine del secolo X, in Terra d’Otranto, quasi non v’era lembo di terra dove i Basiliani non esercitassero la loro attività feconda e prodigiosa. I loro cenobi, diventati, ben presto, veri centri intellettuali irradieranno intorno una luce di cultura scientifico-letterario-artistica, che renderà questa provincia una delle più colte d’Italia. Nel tempo stesso, le loro crescenti ricchezze e autorità farà di essi una potenza temibile, da preoccupar giustamente, per fini diversi, principi e pontefici”.

Il più noto in Terra d’Otranto, “il gran cenobio di Casole (ad Otranto), p. e., aveva esteso le sue grancie (n.d.r.: vaste aziende agricole di proprietà monastica) in 38 città e villaggi”. Si pensi che le proprietà dell’Abbazia di Casole arrivavano sino a Supersano nella vasta area nota come “Sombrino” (dal nome del nobile che acquistò successivamente il latifondo), un tempo casale ricco e autonomo da Supersano.

“… e questa stessa ridente collina (Sant’Eleuterio), quasi tutta, un tempo, verdeggiava all’ombra del potere basiliano”, scrive il Barrella.

Senza soffermarmi sul ruolo avuto in quei secoli dai basiliani nel Salento (la loro presenza, ad esempio, diede un impulso notevole anche alle attività produttive, soprattutto all’agricoltura), attorno ai secoli XIV-XV, “attraverso le guerre civili scomparvero gli ultimi frati”, sebbene il rito greco-bizantino continuasse ad essere prevalente nel Salento sin quasi al XVII-XVIII in alcuni Comuni della Grecia salentina.

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Un capitolo a parte meriterebbero tutte le opere artistiche che si devono ai basiliani, di cui è massima espressione il mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto. Tuttora in antiche cappelle o chiese salentine  sopravvivono immagini e pitture greco-bizantine frutto dell’arte e dell’ingegno delle scuole basiliane, soprattutto delle due che Barrella definisce “tradizionale e di rinascenza”.

Per una descrizione più dettagliata de “L’Abbazia di S. Eleuterio” riporto di seguito stralcio del libro (l’autore la comprende nel feudo di Parabita, attualmente è in quello di Matino, a cavallo tra i due feudi e quello di Collepasso).

Queste brevi, seppur apparentemente lunghe, note dovrebbero farci comprendere l’importanza storica e culturale del sito e, in generale, della collina Sant’Eleuterio e dell’intero rilievo delle Serre salentine.

Sarebbe tempo che le Amministrazioni comunali interessate “si dessero una mossa” e si mettessero insieme per salvaguardare e valorizzare questi luoghi. Forse oggi è possibile, grazie ai notevoli finanziamenti messi a disposizione delle comunità locali dal PNRR e dai Piani Operativi regionali.

Alla fine del 2008, su input dell’associazione Italia Nostra-Sud Salento, alcune amministrazioni locali cercarono di mettersi insieme per la costituzione di un “Parco delle Serre salentine”. I Comuni interessati erano Parabita, Collepasso, Seclì, Casarano, Matino, Tuglie, Sannicola, Neviano. All’epoca la proposta aveva una valenza maggiormente ambientale e di difesa e valorizzazione del territorio.

L’idea, che allora non ebbe gambe finanziare per avviare il cammino, può essere ripresa da un’associazione dei Comuni su indicati (ed altri eventuali), che, oltre le miopie del proprio campanile, sappiano guardare all’insieme del proprio territorio (certe iniziative devono necessariamente avere una “visione d’insieme” dello sviluppo locale) e costruiscano gambe robuste perché l’ambiziosa iniziativa vada in porto.

La promozione e la realizzazione di un “Parco ambientale, storico e culturale delle Serre salentine” sarebbe lo strumento ottimale per salvaguardare e valorizzare i “tanti ignoti tesori” nascosti o dimenticati in questo lembo di terra preziosa e ricca di cultura e storia e, al contempo, ridare dignità ambientale ad un territorio devastato dalla barbarie umana.

Pantaleo Gianfreda


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