In ricordo dell’amico e compagno Camillo Macrì…

In ricordo dell’amico e compagno Camillo Macrì…

9 Aprile 2024 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Camillo Macrì nel corso di un’iniziativa per la tabacchicoltura a metà anni ’80

Anche Camillo è andato via…

Camillo Macrì è stato uno dei più significativi protagonisti della sinistra salentina nell’ultimo trentennio del secolo scorso e agli albori del nuovo millennio. Un vero combattente con una grande passione per la politica. Uno stenuo difensore delle classi più deboli ed indifese.

Consigliere regionale Pci-Pds dal 1990 al 2000, Camillo è stato dirigente e funzionario della storica Alleanza Contadini (poi Confederazione Italiana Coltivatori ed ora Confederazione Italiana Agricoltori) e dell’Associazione provinciale e regionale delle Cooperative Agricole della Lega Cooperative dai primi anni ’70 sino all’elezione al Consiglio regionale,

Era nato a Taviano il 27 aprile 1943 e tra pochi giorni avrebbe compiuto 81 anni. Dopo il diploma magistrale si era laureato in Lettere e Filosofia all’Università di Lecce.

Il suo “filosofare” è stata una delle caratteristiche della sua forte personalità e della sua travolgente cultura.

Camillo Macrì

Nei lunghi decenni di attività politica e sindacale, Camillo aveva scelto di rimanere e risiedere sempre nella sua Taviano, dove è stato per molti anni consigliere e capogruppo di opposizione, nonostante il lavoro e gli impegni sindacali e politici lo portassero quasi quotidianamente nel capoluogo. Non aveva mai ceduto agli inviti della Federazione Pci di trasferirsi a Lecce, come si chiedeva allora a tutti i dirigenti provinciali del partito e delle “organizzazioni di massa” ad esso collegate che non abitavano nei Comuni della “cintura” leccese. Quasi a voler segnare il suo radicamento “fisico” nel territorio e nella città che lo aveva visto giovanissimo “capopopolo”, come ha ricordato anche l’ex sindaco di Taviano Francesco Longo (cliccare su articolo).

Camillo con la moglie Uccia e i tre figli

Lo tratteneva a Taviano anche il forte legame con la famiglia, con l’amatissima e sempre bella moglie Uccia, alla quale sino all’ultimo ha dedicato poesie d’amore, i tre figli (Alessandra, Annunziata, Maurizio) ed il fratello Romano, ma anche con la più ampia rete familiare intessuta di professioni, attività, cultura e tradizioni antifasciste e socialiste, accomunata dalla storica figura tavianese di Martino Abatelillo (e non solo), autore di un epico libro, “Storia di contadini”, che per Camillo rappresentava la storia di un’epopea.

Credo che “Storia di contadini” sia stata la “bibbia” su cui si è formato il giovane Camillo. Nel periodo (sarà stato il ’77 o ’78) in cui Camillo passava da Collepasso a prendermi con la sua Fiat 500 per recarci al lavoro, nel corso del tragitto per Lecce non mi parlava d’altro che del libro di Abatelillo, che conosceva a menadito, e di altri protagonisti e autori di Taviano, compreso quell’Orazio Testarotta, di cui mi impresse nella memoria una breve e licenziosa poesia in vernacolo che per amenità recito talora e tuttora a qualche amico. Ho sempre detto scherzosamente, a lui e ad amici, che eravamo appena alla metà dell’illustrazione del libro di Abatelillo, cioè “solo” alla 275ª o 350ª “puntata” del racconto di Camillo, che quanto a “logorrea” non era secondo a nessuno, quando mi dovetti trasferire a Lecce e si interruppe la narrazione epica (nonostante le mie continue resistenze, non potetti alla fine rifiutare il pressante “invito” del partito, che aveva trovato un appartamento a 20 metri dalla Federazione, con la promessa, non mantenuta, di accollarsi le spese di affitto).

L’originalità di Camillo era anche in questo continuo “raccontare”, stimolare curiosità e conoscenza, far conoscere gesta e scritti di grandi maestri della cultura, ma anche le gesta epiche di piccoli e dignitosi protagonisti del mondo contadino salentino.

Con Camillo scompare un altro primario personaggio che ha caratterizzato la sinistra comunista e postcomunista salentina e pugliese nell’ultimo trentennio del secolo scorso. Camillo era persona e personaggio “unificante”. In tanti ci siamo ritrovati a Taviano, dopo anni e decenni, presso il Palazzo Marchesale, dove era esposta la sua salma, a rendere omaggio all’indimenticabile Camillo Macrì ed esprimere le condoglianze alla moglie Uccia e a tutta la famiglia.

Camillo con Mario Toma in ricordo di Loris Fortunato

In questi primi anni ’20 del secolo ci hanno già lasciato noti e prestigiosi dirigenti che avevano rappresentato la “cerniera” tra la vecchia e autorevole generazione di dirigenti comunisti affermatisi negli anni ’50 e ’60 nella lotta per la conquista della terra per braccianti e contadini poveri e nella difesa di lavoratori agricoli, coloni e tabacchine (Calasso, Conchiglia, Foscarini, Casalino, Leucci, Chironi, Carbone, ecc.) e la nuova che fu poi chiamata a dirigere il partito negli anni ’70 e ’80. Lentamente ma inesorabilmente avanza verso di noi l’ineffabile e inflessibile “Signora in nero”, che riporta alle menti della nostra generazione di ormai maturi ultrasessantenni, settantenni e incipienti ottantenni il “memento, homo, quia pulvis es et in pulverem reverteris”, mentre l’evangelico “Estote parati” ci spinge a vivere con serenità e intensità ogni momento della nostra residua esistenza.

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Ieri Loris, Marcello, Gigi, Donato, Ernesto, altri… oggi Camillo.

Proprio in occasione della commemorazione di Loris (Fortunato), tenutasi a San Pietro in Lama sei mesi fa, il 9 ottobre 2023, Camillo aveva partecipato alla sua ultima manifestazione pubblica, già visibilmente sofferente con la voce, un tempo tuonante, ormai flebile, arrancante e arrochita.

Domenico Macrì

Un mese fa era improvvisamente scomparso per un infarto, a soli 57 anni, l’amato e devoto nipote Domenico Macrì. Avvocato come il padre Romano, fratello maggiore di Camillo, Domenico era un “ragazzo d’oro” e si era messo a nostra disposizione, per affetto e stima verso lo zio Camillo, con generosità e professionalità, in lunghi e difficili periodi che avevano visto tanti di noi (compreso lo zio) “vittime” della crisi che aveva colpito la cooperazione agricola negli anni ‘90, da cui riuscimmo a uscir fuori (insieme a migliaia di altri cooperatori in tutta Italia) grazie alla convergente azione e intelligenza (politica e legislativa, oltre che legale) di tutto un generoso gruppo dirigente politico salentino e nazionale (da Ernesto Abaterusso e Massimo D’Alema, da Giovanni Pellegrino a tanti di noi).

Camillo ed io abbiamo condiviso insieme un importante pezzo di strada del nostro cammino di vita, un segmento intenso di attività politica e sindacale, prima nel comune e giornaliero lavoro nell’Organizzazione provinciale contadina e poi, quando le strade si divisero (io rimasi a dirigere la Confcoltivatori al posto di Mario Foscarini; lui andò alla Lega delle Cooperative con Lelé Pagliula), nel quasi quotidiano contatto telefonico o fisico.

Abbiamo lavorato insieme dal 1976 al 1979, una fase significativa della nostra vita. Lui proveniente da una tradizione e formazione socialista, di cui storicamente la vivace, produttiva e antifascista città di Taviano è stata protagonista sin dall’inizio del ‘900; io dalla sonnacchiosa e democristiana Collepasso e da una formazione cattolica che mi portò (“coerentemente con il Vangelo” ho sempre rivendicato) alla scelta comunista nell’allora Pci di Berlinguer. Ci unì, prima di tutto, la militanza politica e la “scelta di campo” in favore delle classi sociali più disagiate e della martoriata agricoltura.

Mario Foscarini

Ci eravamo conosciuti nei primi anni ’70, quando Camillo era già dirigente provinciale dell’Alleanza Contadini, di cui era presidente il grande Mario Foscarini (noto e amato dirigente Pci e Cgil, deputato e, infine, lasciata nel 1979 l’organizzazione contadina, sindaco di Gallipoli). Erano entrambi presenti a Collepasso in quel dicembre 1975 (o 1976?!?) che vide produttori e tanti cittadini ribellarsi e fare le barricate contro la riduzione del prezzo del tabacco. Come erano presenti entrambi quando sei tabacchicoltori collepassesi vennero arrestati nell’antivigilia di Capodanno per aver partecipato a quella manifestazione. La loro liberazione dal carcere di Galatina, dove erano stati tradotti, fu prima di tutto opera (ricordo a chi non ha memoria storica) della silenziosa ed efficace azione di Mario Foscarini, affiancato da Camillo e dall’avv. Mario Indirli.

Camillo aveva una vera adorazione per Foscarini, uomo di grande autorevolezza politica, morale e culturale. Pendeva dalle sue labbra. Per lui era disposto a tutto. Anche a “scorrazzare” Mario, che non aveva preso mai la patente, per tutta la provincia in incontri ed assemblee con la sua Fiat 500 blu e poi con la Fiat 126 azzurrina che l’organizzazione contadina aveva acquistato. Considerava Mario Foscarini, come lo era, un politico di rara intelligenza e lungimiranza. Il suo maestro. Come lo fu, poi, anche per me, quando cominciai a lavorare nell’Alleanza provinciale dei Contadini. Anni intensi di comune lavoro sindacale, lotte, assemblee, manifestazioni, incontri, riunioni, di impegno totale.

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Superamento della colonia, riparto del prodotto tra coloni e agrari, rivendicazioni sociali per la garanzia del reddito contadino, crisi della viticoltura, problemi della pataticoltura, lotte per la difesa della tabacchicoltura, costruzione di cooperative agricole e di associazioni dei produttori e tant’altro. E poi l’assistenza di patronato (il nostro si chiamava Inac-Istituto nazionale assistenza contadini) per il disbrigo delle tante pratiche (disoccupazione, assegni, pensioni, ecc.) dei nostri assistiti, di cui divenni nel 1977 direttore provinciale. Costituimmo insieme l’Associazione dei Tabacchicoltori con Totò Vetrugno, uno dei massimi esperti di tabacchicoltura del Salento (fu anche presidente del C.N.T.-Consorzio Nazionale Tabacchicoltori e poi sindaco di Novoli); l’Associazione degli Olivicoltori con Italo Potì ed altri, aggregando tanti oleifici cooperativi e privati dell’intera provincia. Tabacco ed olio erano due comparti in cui era forte la presenza del nostro movimento contadino. Tentammo di costituire altre associazioni di produttori agricoli in altri comparti, ma la debole presenza del nostro movimento e, soprattutto, la differenziazione e/o la carenza di interventi nazionali e comunitari, non ce lo permise. Non decollò l’associazione dei Floricoltori e quella dei Pataticoltori, cui ci tenevo in modo particolare.

Eravamo sempre in attività sotto la saggia, autorevole e intelligente guida di Mario Foscarini. Camillo più sornione e filosofo, ma sempre “pronto alla pugna”. Io, più giovane, frenetico e talora critico. Lui più “schiacciato” sul “primato” del partito, sulla sua indiscussa egemonia. Io a rivendicare maggiore autonomia dal partito e una caratterizzazione più professionale e meno politicizzata dell’Organizzazione contadina.

Nella concezione politica di Camillo il partito veniva prima di tutto e in lui era particolarmente marcata la concezione gramsciana di “egemonia” del partito. Pur talora critico, ha seguito con fedeltà tutte le evoluzioni politiche ed organizzative del Partito. Dal Pci al Pds, dai Ds al Pd.

Il “primato” della politica, che si esprimeva organizzativamente nel “primato” del partito, era un punto fermo per Camillo. Anche nella soluzione di problemi apparentemente non politici. Per lui tutto dipendeva dalla “volontà politica”.

Quando, a metà anni ’80, lasciai la Confcoltivatori e poi la Federazione Pci per avventurarmi nella cooperazione agricola e nella costruzione e direzione di un Consorzio di cooperative, Camillo era sempre pronto a dare una mano, un consiglio, un avallo, a “girare tutti i conventi” per ottenere i legittimi diritti e a combattere per quelli spesso negati. Sia per la cooperativa e il consorzio di cooperative che presiedevo sia per tutte le cooperative agricole salentine aderenti alla Lega delle Cooperative.

Camillo con Marco Margari (che ringrazio per la foto) e, alle spalle, Giulio Sparascio, Giovanni Coletta ed io ad un’iniziativa a Roma della Lega cooperative a fine anni ’80

Quando una nota e grossa cooperativa emiliana della Lega Cooperative, cui ci eravamo un po’ ingenuamente affidati per conferire 12mila quintali di “sugar baby” (una varietà di anguria all’epoca molto commercializzata), ci negò l’ingente corrispettivo economico provocando grossi problemi con i soci conferitori, Camillo si rivolse al partito nazionale. Espose il problema a D’Alema, che convocò noi e gli emiliani a Roma, nella sede nazionale Pci di Botteghe Oscure. Sorvolo sui dettagli. Mi rimase impressa la caparbietà di Camillo, un vero e proprio bulldozer nel rivendicare con me i nostri diritti nei confronti dei “compagni” emiliani, ma anche l’emblematica diffidenza di un anziano dirigente emiliano della cooperazione che si chiedeva e ci chiedeva mentre attendevamo in anticamera: “Che c’entra il partito con i cocomeri?!?”. Il realismo, la gelosa autonomia e gli interessi “capitalistici” del tanto decantato “sistema cooperativo emiliano”, che trattava le cooperative del Sud solo come fornitori di materia prima, assestarono un colpo alle nostre illusioni e speranze. Ottenemmo un qualche risultato, ma assai misero. Neanche il partito era riuscito a smuovere gli inflessibili (nei loro interessi) “compagni” emiliani della cooperazione.

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I tempi oggi sono cambiati. Eppure sarebbe tuttora utile una riflessione storica su quei tempi e sui fallimenti negli anni ’90 e seguenti di tante cooperative agricole nel Salento e nel Mezzogiorno d’Italia che hanno inciso, come diceva Camillo, “nella carne” di tanti amministratori e soci, di tanti di noi, idealisti costruttori di un “mondo nuovo”, cui abbiamo continuato, comunque, a credere, seppur con maggior realismo e disincanto.

Una riflessione a parte meriterebbe il crollo in quegli anni di veri e propri “giganti” della cooperazione agricola salentina nel comparto tabacchicolo.

Mi accorgo di essermi “lasciato andare” nello scrivere di Camillo e di aver abbondantemente superato le canoniche 60-70 righe di un articolo, oltre le quali si rischia di annoiare il lettore (succede spesso nei miei scritti e qualcuno me lo segnala…). Scrivere di Camillo e di tutto ciò che lui, insieme a tanti di noi, ha rappresentato richiederebbe molto tempo e spazio e tante riflessioni. Forse un libro.

Camillo con il genero Mauro Gaetani durante la degenza ospedaliera

Non posso chiudere, però, senza ricordare una delle principali caratteristiche che hanno fatto di Camillo un personaggio nell’immaginario collettivo dei militanti e di tanti cittadini: i suoi memorabili comizi.

I comizi di Camillo, soprattutto quelli elettorali, erano veri e propri show. Seguitissimi. Era un ottimo e originale oratore. La sua dialettica era sostenuta e molto popolare. Camillo era un grande artista, stavo per scrivere “un grande attore” (nel senso di “protagonista”), sul palco. La sua mimica argomentava talora più delle parole. La sua voce roboante e tuonante “spaccava” i microfoni. In effetti li spaccava davvero. Ricordo quando la sezione Pci di Collepasso aveva appena acquistato, con grandi sacrifici, nuovissime “trombe” per i comizi. Il primo ad utilizzarle fu proprio Camillo. Pochi minuti e la sua voce tonante in piazza Dante fece saltare la membrana delle nuove trombe. Ironizzava lui stesso su questo suo modo di comiziare. Quando il figlio Maurizio cominciò a dedicarsi allo studio e all’uso di uno strumento musicale, il bombardino, lui se ne uscì con un indimenticabile… “Trombone il padre, bombardino il figlio!”.

Da nord a sud della provincia, Camillo era uno degli oratori più richiesti da parte delle sezioni. Le sue campagne elettorali erano veri e propri eventi e niente lo fermava. Dove c’era anche un solo comunista, soprattutto in alcune sperdute frazioni del Capo, c’era lui a fare un comizio, anche se non c’erano sezione e altoparlanti. Lui si era organizzato da sé. In tanti rimane ancora il ricordo di Camillo che arriva in piazze colme di gente o vuote e sperdute. Il palco è pronto? Lui sale e fa il comizio, suscitando con i suoi motti e i suoi “culacchi” ilarità tra i presenti. Non c’è palco e altoparlante?!? No problem. Apre il portabagagli della sua auto (all’epoca, ricordo una Fiat Croma), prende il palchetto, lo apre, prepara il megafono che portava con sé e fa il comizio.

Un personaggio unico, indubbiamente.

Il rito funebre per Camillo nella Chiesa di San Martino a Taviano (in primo piano l’ex presidente della provincia Lorenzo Ria)

Ho toccato appena alcune caratteristiche della più generale attività e personalità di Camillo, con il quale, certo, non tutto e sempre è stato “rose e fiori”.

In certa narrazione un po’ mitologica, e talora interessata, la figura di Camillo è stata spesso descritta come quella di un “Papa Galeazzo” laico o un “masaniello” salentino… un po’ lo era… ma Camillo era, soprattutto, qualcosa di più serio e profondo. Oltre che persona di immensa umanità. Ligio alla tradizione familiare e agli insegnamenti di Martino Abatelillo e di Mario Foscarini era, prima di tutto, uomo intessuto di solida formazione culturale e politica, lui stesso uomo di cultura, amante dei classici e anelante ad ogni conoscenza che elevasse lo spirito e la mente. Ha sempre posto all’attenzione dei giovani il dovere dello studio e della ricerca, l’importanza della formazione, la centralità della cultura, il ruolo fondamentale della famiglia e dell’unità familiare.

Ha molto impressionato me e tutti i presenti l’intervento del nipote Niccolò il giorno dei funerali nella Chiesa di San Martino, contigua alla sua abitazione in piazza San Martino. La più grande eredità del nonno è stata per lui e tutti i nipoti quella culturale e lo stimolo alla conoscenza e alla cultura.

Camillo con il nipote Nicolò

Ciao, Camillo, amico mio… grande combattente!

Pantaleo Gianfreda


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Pantaleo Gianfreda