“Marcia per la Legalità, contro la criminalità e contro tutte le mafie” (Casarano, 9 marzo, ore 10, Giardini W. Ingrosso)

“Marcia per la Legalità, contro la criminalità e contro tutte le mafie” (Casarano, 9 marzo, ore 10, Giardini W. Ingrosso)

8 Marzo 2024 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Istituzioni, associazioni, scuole, società civile, giovani e cittadini si mobilitano “contro la criminalità e contro tutte le mafie” in una “Marcia per la Legalità” indetta dal Comune di Casarano per sabato 9 marzo, alle ore 10.00 (ritrovo Giardini William Ingrosso).

È la risposta decisa e corale all’ulteriore e grave episodio di criminalità mafiosa avvenuto sabato 2 marzo a Casarano, in pieno giorno e in pieno centro (tra via Lupo e piazzetta Petracca, a cento metri da Piazza San Domenico), sabato 2 marzo, in cui è stato ucciso il noto pregiudicato Antonio Afendi, 33enne di Casarano, già sfuggito ad un agguato nel 2019, nell’ambito di una faida criminale tra bande mafiose che continuano ad imperversare nel Basso Salento.

Il luogo dell’omicidio del 2 marzo a Casarano

“Dietro gli spari, un lungo romanzo criminale”, ha scritto Emilio Faivre in un articolo su lecceprima.it, in cui fa la cronaca di questi ultimi anni tragici (cliccare su articolo), e, a fine articolo, l’intervento di Danilo Lupo “La diarchia che insanguina Casarano” su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 4 marzo.

Subito dopo l’omicidio, il Prefetto di Lecce Luca Rotondi aveva convocato il 6 marzo in Prefettura il Comitato Provinciale per l’Ordine e la Sicurezza Pubblica, alla presenza dei vertici delle Forze di Polizia e dei Sindaci dei Comuni di Casarano, Collepasso, Matino, Melissano, Ruffano, Taurisano e Taviano, nel corso del quale si è sottolineata la gravità della situazione e vi è stato un confronto sul tema della pubblica sicurezza in tali aree.

Incontro in Prefettura del 6 marzo

Al di là del necessario e doveroso impegno delle Istituzioni, è chiaro, però, che senza una presa di coscienza collettiva e un chiaro impegno civico di tutti i cittadini e le cittadine, di associazioni, scuole, parrocchie e “cellule sane” della società la criminalità non sarà mai sconfitta né annientate le “cellule malate” di una metastasi che rischia di travolgere la sicurezza sociale e lo stesso sviluppo economico delle nostre comunità.

Occorre, pertanto, partecipare in massa alla Marcia per la Legalità, accogliendo l’invito del sindaco di Casarano Ottavio De Nuzzo, rivolto anche alle comunità vicine, che scrive: “Vi esorto calorosamente numerosi a partecipare alla marcia che si terrà nella nostra amata Città. Uniamoci per promuovere valori fondamentali, costruire insieme un futuro basato sulla giustizia e l’onestà. La Vostra partecipazione è essenziale per rafforzare il tessuto sociale e ribadire UNITI il nostro impegno per una comunità fondata sui principi della legalità.

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Camminiamo tutti insieme per costruire un futuro migliore”.

Pantaleo Gianfreda

Di seguito l’interessante e acuto articolo di Danilo Lupo su “La Gazzetta del Mezzogiorno” del 4 marzo 2024

La diarchia che insanguina Casarano

È un fosco lunedì di novembre di sette anni fa a Casarano, basso Salento. Luigi Spennato è nervoso: solo un mese prima il suo capo, Augustino Potenza, è stato ammazzato come un cane a colpi di kalashnikov. Un’esecuzione in piena regola, con due killer in moto e casco integrale che si sono accostati all’auto di Potenza, parcheggiata nel più grande centro commerciale della città. Diciotto colpi di mitragliatore kalashnikov per far secco “l’italiano”, soprannome del boss di Casarano nato a Stoccarda.

Ora Luigi Spennato è nervoso perché le redini del clan sono nelle sue mani; e lui ha deciso di iniziare a regolare i conti, a cominciare da quelli economici. C’è un debito di droga da onorare: 18mila euro mai versati, mica noccioline. Quindi si presenta dal debitore, Luca Del Genio: è un uomo della fazione rivale, quella che fa capo all’altro boss di Casarano, Tommaso Montedoro. Gli appioppa due schiaffi e gli prende le chiavi della macchina della moglie: le riavrà quando avrà saldato il debito della cocaina. Del Genio schiuma di rabbia: poche ore dopo aspetterà Spennato sotto casa e lo riempirà di pallottole. Kalashnikov, neanche a dirlo. Ma perché non ha reagito subito? Perché Spennato non si è presentato da solo: a guardargli le spalle ci sono due uomini fidatissimi. Si chiamano Antonio Afendi e Lucio Sarcinella. Tenete questi nomi a mente per mezzo minuto mentre facciamo un salto in avanti di sette anni.

Siamo ancora a Casarano ma è una assolata mattina di marzo. Sabato scorso, l’altro ieri. Sull’asfalto c’è il cadavere di un uomo: jeans, scarpe sportive, un maglione grigio, fazzoletti rossi di sangue per tamponare le tre ferite da arma da fuoco sul petto. È Antonio Afendi, diventato l’erede di Potenza e il nuovo compagno della vedova dell'”italiano”. E a sparargli, pochi minuti prima, è stato Lucio Sarcinella: i due guardaspalle di Spennato diventati nemici mortali, da amici e soci e sodali che erano.

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Se fosse una serie tv, saremmo alla settima stagione: è da sette anni che dura la guerra che insanguina Casarano, cittadina che era (e che sta tornando a essere) l’orgoglio industriale del basso Salento. Da quando cioè si è rotta la diarchia criminale che governava l’intera area.

Diarchia come le due fazioni che si scontrano dal 2016: quella di Augustino Potenza, appunto; e quella di Tommaso Montedoro. Ex amici, entrambi cresciuti alla scuola di Vito Di Emidio, il sanguinario boss brindisino soprannominato “Bullone”; entrambi condannati all’ergastolo per un duplice omicidio di una coppia, Fernando D’Aquino e Barbara Toma, nella loro masseria; entrambi probabilmente affiliati in carcere alla Sacra Corona Unita dal boss leccese Totò Rizzo; ed entrambi clamorosamente scarcerati per decorrenza dei termini e poi assolti dalla corte d’appello di Taranto dopo che la Cassazione aveva annullato con rinvio le condanne di primo e secondo grado.

“Diarchia” come il processo che racconta per filo e per segno che cosa fanno i due ex Bullone boys quando nel 2012 escono di galera. Potenza e Montedoro costruiscono una vera e propria organizzazione a due teste che guadagna centinaia di migliaia di euro a settimana dallo spaccio di droga, indirizzata soprattutto ai turisti che affollano le marine del Salento; un’organizzazione che poi “lava” i soldi dello spaccio investendoli in attività lecite come sale giochi, suolifici, spacci aziendali, bar e ristoranti. È agli atti anche che i boss per comunicare utilizzano una larga rete di fiancheggiatori (a cui ad esempio sono intestate le sim con cui telefonano) e che al servizio di questo sodalizio ci sia perfino un dipendente del tribunale di Lecce che ritarda i provvedimenti giudiziari secondo i desideri di chi comanda. Poi l’armonia tra i due capi si rompe, Montedoro si pente e Potenza viene ucciso a colpi di kalashnikov. E di lì la lunga scia di sangue arrivata a un nuovo capitolo con quel cadavere sull’asfalto.

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Insomma quello di sabato mattina è un ennesimo omicidio di mafia: come chiamarlo diversamente? E d’altronde il basso Salento è sempre stato una terra strategica per la Scu: da sempre clan importanti hanno sede a Gallipoli, Parabita, Taurisano, Ugento. Invece Casarano ne è sembrata a lungo esente, concentrata com’era nel suo ruolo di capitale dell’industria calzaturiera. Poi tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni ’10 quel modello industriale fa crack. E forse è proprio la crisi a favorire la crescita della diarchia: in una città impoverita, in cui il primo datore di lavoro è l’Inps con le sue magre casse integrazioni, l’unica industria rimasta in piedi si chiama criminalità organizzata.

È vero, oggi quella crisi è dietro le spalle e le cose sono cambiate; ma intanto la Sacra Corona Unita ha piantato radici solide. E però ha messo radici anche l’antimafia: la stragrande maggioranza della comunità cittadina è sana e sta dalla parte opposta rispetto alle dinamiche criminali. Lo testimonia anche la risposta immediata dell’associazione Libera: un sit-in si è tenuto nella mattinata di domenica in piazza Petracca, proprio dov’è avvenuto l’omicidio. Un centinaio di persone circa. Sembrano poche e invece non è affatto scontato che fossero tante: una manifestazione del genere sarebbe stata impensabile anche solo nel 2016, quando il funerale di Potenza “l’italiano”, il boss crivellato dai kalashnikov nel parcheggio del supermercato, si trasformò in un corteo di mille persone, tra cui non mancò anche qualche amministratore comunale.

Ma questa lunga scia di violenza e quel cadavere disteso sull’asfalto accanto alle giostre sulle quali giocano i piccoli casaranesi è un’immagine troppo forte. E il sit-in di domenica, anche se piccolo, è un seme ben piantato in una terra buona che presto darà frutto.

Danilo Lupo


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