Nuova condanna per un noto 44enne collepassese, già in carcere per altri reati, e il coraggio di due donne

Nuova condanna per un noto 44enne collepassese, già in carcere per altri reati, e il coraggio di due donne

10 Luglio 2024 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Una nuova condanna a tre anni e sei mesi per maltrattamenti in famiglia e lesioni personali ai danni della moglie, con la quale viveva a Gallipoli, è stata comminata ieri dal Tribunale di Lecce nei confronti del 44enne collepassese A.T., noto alle cronache giudiziarie per reati di diversa natura (violenza, droga, evasione, ecc.) e in carcere a Lecce dallo scorso anno, quando, in seguito ad un’evasione dalla comunità dove era agli arresti domiciliari, venne catturato nel settembre 2023 a Tenerife, città dell’arcipelago spagnolo delle Canarie, ed estradato in Italia.

Già nel gennaio scorso il soggetto era stato condannato a tre anni di reclusione dal Tribunale di Lecce con le accuse di stalking e lesioni personali aggravate nei confronti della prima convivente e dei loro figli.

Le condanne ed il curriculum criminale del soggetto non si fermano, però, qui.

Tra condanne per attività delittuose legate alla criminalità organizzata e alla droga e quelle per atti di violenza contro le due donne ed altre persone (una condanna a due anni gli è stato comminata anche per aver barbaramente picchiato due anni fa un pacifico cittadino collepassese, procurandogli seri danni fisici), il soggetto ha già cumulato 10-12 anni di galera e sono tuttora in corso procedimenti penali nei suoi confronti (l’ultimo, a quanto pare, persino per uso di droga all’interno del carcere dove è detenuto, procuratagli non si sa da chi).

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Ad essere obiettivi, pur grati per il lavoro di alcuni bravi investigatori, la Giustizia è stata persino clemente con il soggetto, comminandogli quasi sempre il minimo previsto (solo dieci mesi, ad esempio, per l’evasione!), alla luce delle diverse “attenuanti” (!!!) richieste dalla difesa a causa della tossicodipendenza e della travagliata vita del soggetto, cresciuto in un ambiente familiare dominato da un genitore noto esponente della criminalità organizzata salentina negli anni ’80-’90. Nelle faide e nei pericolosi “giochi” interni alla criminalità, ben descritti venti anni fa dalle confessioni alla Magistratura del “pentito” Vito Di Emidio, detto “Bullone”, autore di diversi omicidi nella zona di Casarano, il soggetto ha avuto sterminata la famiglia a fine anni ’90-primi mesi 2000 (prima la sorella e il cognato, poi il padre ed un fratello). La violenza, purtroppo, “chiama violenza” e chissà – mi si permetta, conoscendo bene la cronaca e i fatti di quegli “anni bui”! – se si conoscano integralmente le confessioni di Di Emidio proprio circa la personalità di A.T., allora appena ventenne e già considerato pericoloso al pari del padre dagli stessi esponenti della criminalità organizzata.

Non so se le diverse condanne accumulate e i prossimi anni che trascorrerà in carcere potranno essere utili per far rinsavire il soggetto e fargli capire l’assurdità di una vita sinora vissuta nell’illegalità, nella violenza, nella sopraffazione e nell’uso di droghe. Vorremmo augurarcelo, perché la violenza genera solo violenza e distrugge la vita di tanti individui! Come l’uso di droghe, da cui il soggetto è notoriamente dipendente, distrugge tante famiglie!

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Certo è che attorno a certi fenomeni criminali occorrerebbe scavare bene e far emergere le diverse collusioni e coperture avute negli anni non solo da comuni e pavidi cittadini, ma soprattutto da soggetti insospettabili, che, pur rivestendo cariche rilevanti, non si sono mai fatto scrupolo di farsi vedere in giro e in buoni rapporti con soggetti notoriamente pericolosi o criminali.

Al di là di certe considerazioni che sarebbe opportuno verificare e approfondire, permettetemi, però, di rendere pubblico omaggio a due donne coraggiose, che, una da convivente con figli e l’altra da moglie con figli, si sono apertamente ribellate a storie familiari costellate da ripetute violenze domestiche, minacce, intimidazioni, aggressioni e danni fisici e morali di ogni sorta.

Probabilmente il soggetto sarebbe ancora “uccel di bosco” o libero di girovagare senza il coraggio, la determinazione e la forza di volontà di queste due donne, che, nonostante i gravi pericoli per la propria incolumità fisica, hanno avuto l’audacia e sentito il dovere di ribellarsi e denunciare le violenze e certo machismo assurdo e “padronale”, al fine di salvaguardare se stesse e, prima di tutto, i propri figli.

Grati alle Forze dell’Ordine e alla Magistratura, ma, soprattutto, onore e stima a queste due donne straordinarie e coraggiose!

Pantaleo Gianfreda


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Pantaleo Gianfreda