Vecchie foto e approssimazioni storiche: quel “luogo” (“lu Tafuru”), generosamente donato da Don Grazio Gianfreda, è da decenni sede di una Scuola Materna e di un’Oasi
17 Luglio 2024Mi sono imbattuto casualmente giorni fa su facebook in una foto a me molto cara e familiare e, con sorpresa, in un commento piuttosto superficiale e grossolano, oltre che avulso dalle reali vicende storiche e sociali del nostro “paesello”, come qualcuno ama definire il proprio paese. La foto, probabilmente degli anni ’50-’60 del secolo scorso e riportata spesso sui social locali, ha la sottostante descrizione di “Villini di via Roma”.
“Che bella foto, vorrei capire più o meno in che punto è stata fatta”, scrive una cittadina.
Alla domanda l’autore della pubblicazione così risponde: “il luogo non esiste più, è in via Roma è stato demolito tutto ed eretto al suo posto un edificio religioso per monache, una struttura molto ordinaria”.
La risposta è piuttosto “zoppicante” e temeraria dal punto di vista storico e anche urbanistico, soprattutto se proviene dalla tastiera di un laureato in Architettura.
Mi si permettano, pertanto, alcune precisazioni, che ho il dovere (non solo familiare, ma soprattutto civico e storico) di fare per rispetto della verità, della memoria dei “luoghi” e di alcuni parenti oggi defunti. Soprattutto di Don Grazio Gianfreda, già parroco e canonico della Cattedrale di Otranto, uomo di grande umanità, generosità e cultura nonché autore di numerosi studi e libri sul mosaico della Cattedrale e i suoi significati, sulla millenaria storia di Otranto e il ruolo di questa città in Italia e nel Salento, per secoli denominato “Terra d’Otranto”.
A differenza di quanto riportato nella risposta, il “luogo”, naturalmente, “esiste” ancora, è parte della zona “Tafuro” prospiciente via Roma ed ha avuto, come è naturale, evoluzioni urbane e urbanistiche nel corso dei decenni.
Il prospetto con archi e recinzione della foto costituiva il frontespizio dell’area di circa due ettari di terreno, in cui al centro, a 50-60 metri dalla strada principale, vi era un “villino” dove abitò mio nonno Quintino sino al 1948, anno della sua morte, dopo aver donato la casa avita di via Principe di Piemonte, dove aveva abitato con la moglie Ester e la numerosa prole, e il frantoio oleario della contigua via Rinascita a mio padre Pasquale, reduce da dieci anni di guerre, in vista del suo matrimonio.
Nonno Quintino lasciò in eredità “Lu Tafuru”, come lo abbiamo sempre chiamato in famiglia, al figlio Grazio, ordinato sacerdote nel 1938, che per tutti gli anni ’40 e sino al 1956 fu parroco a Calimera prima di essere trasferito ad Otranto. Zio Grazio concedette l’uso dell’abitazione, posizionata al centro del vasto terreno, alla sorella Serafina e al marito Luigi Nuzzachi, che lì abitarono per molti anni (sino a tutti gli anni ’60 e, se ben ricordo, alla soglia dei ’70) finché non si trasferirono nella loro nuova abitazione di via Dabormida.
Ricordo ancora quando da bambino mi recavo “allu Tafuru” da solo o con mio fratello e le sorelle o con i miei a trovare zia Serafina, che i più anziani ricordano ancora per la sua profonda devozione religiosa e i canti in Chiesa (“fenomenali” le sue interpretazioni canore di inni religiosi, soprattutto del “Tantum ergo”, in latinorum), e lì scorrazzavamo tra alberi di mandorle, fichi, melograni, fichi d’India, altri alberi e ogni ben di Dio, facendo talora arrabbiare la burbera zia, sempre, però, ospitale e generosa.
La vasta area “te lu Tafuru”, già all’epoca circondata da abitazioni, venne man mano inglobata al centro della rapida espansione urbanistica lungo l’asse urbano via di Maglie/via di Parabita e poi inserita come suolo edificatorio nel Programma di Fabbricazione del 1974, acquisendo ulteriore ed enorme valore economico.
Nonostante ciò, zio Grazio decise negli anni ’70, d’accordo con il parroco ed amico Don Salvatore Miggiano, di donare generosamente l’intera area alle Suore d’Ivrea per costruire una moderna struttura per l’educazione scolastica dell’infanzia (all’epoca la Scuola materna era nei locali parrocchiali “dietro l’oratorio”), in memoria dei cari genitori Quintino ed Ester Ria, ai quali era molto legato.
La circostanza è ricordata da una targa marmorea del 22 novembre 1998, in occasione del XXV anniversario della Scuola materna, che riporta: “A perpetuo ricordo dei genitori Quintino ed Ester Don Grazio Gianfreda volle per la gioventù collepassese quest’opera educativa morale e religiosa”.
Pertanto, sul “luogo”, che continua ad “esistere”, venne demolito solo il vecchio “villino” e costruito non “un edificio religioso” (la Cappella è solo piccola parte dell’intera struttura) né “una struttura molto ordinaria”.
Grazie alla generosità di Don Grazio, venne, infatti, costruita una struttura scolastica ed educativa molto ampia e moderna, ricca di spazi e di verde e ben gestita negli anni successivi dalle formidabili Suore d’Ivrea, dove sono state educate e continuano ad essere educate intere generazioni di bambini e bambine collepassesi (oggi anche con un asilo nido), da decenni riconosciuta “scuola parificata”. Io stesso, tornato a Collepasso da Lecce a metà degli anni ’80, preferì iscrivere (con grande soddisfazione) a quella Scuola materna i miei due figli Andrea e Stefano, che conservano entrambi un ottimo ricordo di quegli anni.
Successivamente, nella parte retrostante l’area, venne costruito l’ampio immobile dell’Oasi, che ospita le suore anziane dell’Ordine di Ivrea (talora anche donne anziane locali). Da tempo si ipotizza l’idea di trasformare l’Oasi in R.S.A. (Residenza Sanitaria Assistenziale) aperta a tutti gli anziani e le anziane. Una buona idea, che personalmente ho sempre condiviso e incoraggiato, e che, se ripresa, nonostante obiettive difficoltà, potrebbe permettere a tanti anziani e anziane di Collepasso di trascorrere serenamente la loro vecchiaia nel proprio luogo natìo.
Ho ritenuto doveroso riportare queste brevi note solo per amore di verità storica, ma, al contempo, per ricordare e dare il giusto riconoscimento a benemeriti e illustri cittadini, come Don Grazio Gianfreda, che hanno generosamente donato alla nostra comunità beni dal valore inestimabile (ben 20mila metri quadri di suolo edificatorio al centro del paese e lungo una via principale di comunicazione!), per il bene e l’educazione dei nostri figli e nipoti e per un soggiorno sereno di tante anziane suore.
Nessuno ravvisi in queste note alcuna volontà polemica, sebbene una raccomandazione sia d’obbligo.
Non è corretto banalizzare per pressapochismo culturale e/o ignoranza storica fatti rilevanti e significativi di una comunità. Bisogna avere o, almeno, cercare di acquisire “memoria storica” e documentarsi bene prima di scrivere… perché se “verba volant, scripta manent” (“le parole volano, gli scritti rimangono”)… e, soprattutto, riconoscere i grandi meriti di generosi benefattori collepassesi, che, sebbene non abbiano vissuto nel loro paese natìo per evidenti ragioni di impegno pastorale, ad esso sono stati sempre profondamenti legati, dimostrandolo concretamente con munifiche donazioni (sorvolo sull’altra donazione fatta da Don Quintino Gianfreda di un terreno agricolo per la costruzione della Chiesa Cristo Re o sul prestito fatto al Comune da nonno Quintino, negli anni ’30, per la costruzione della parte superiore dell’attuale Municipio).
Non a caso Don Grazio Gianfreda, nonostante l’ultracinquantennale permanenza ad Otranto (e prima quella quasi ventennale a Calimera) dove ha lasciato una forte impronta della sua presenza, volle essere seppellito a Collepasso, dove riposa nella cappella di famiglia del cimitero comunale.
Per la cronaca, la donazione di zio Grazio riguardava e riguarda l’uso del terreno, vincolato alla costruzione della struttura socio-educativa e di altre strutture sociali. Ricordo che anni fa, a causa della crisi vocazionale che aveva colpito anche le Suore d’Ivrea, si sparse la voce di una presunta volontà dell’Ordine Generale dell’Istituto religioso di alienare l’area. La voce non era priva di fondamento, ma quella clausola e la forte opposizione di zio Grazio impedirono che fosse portata a termine la malaugurata ipotesi, che tale, comunque, rimase.
Doverose, pertanto, queste precisazioni e doveroso il ricordo e l’immutato omaggio storico e umano alla generosità di Don Grazio Gianfreda, del quale mi onoro, insieme ad altri familiari, di essere nipote.
Pantaleo Gianfreda
Credo che dopo questa notizia che era meglio non si sapesse, e viste le casse della chiesa italiana, quel luogo rischi di diventare un parcheggio, venduto a chissà quale supermercato o pasticceria delle vicinanze (SCHERZO) ma è giusto per ricordare che fine ha fatto la donazione di un certo Don Marco, che la donò alla diocesi per farci una biblioteca, e la diocesi ci fece un parcheggio. Come giusto che sia, io non mi sarei aspettato altro dalla diocesi.
Buongiorno Pantaleo,
visto il legame parentale con il terreno, conosci anche l’origine del nome “Tafuro”.
Grazie
Lungi da me il voler togliere meriti alla famiglia Gianfreda, sapevo della donazione, ammetto di non aver tenuto conto che gli edifici sono due, mea curpa, ma il mio era un giudizio estetico e il frontespizio con gli archi che si vedono nella vecchia foto, era poesia. L’utilissimo, cristianissimo, meritevolissimo edificio ora edificato, con annessi e connessi parchi giochi e ricoveri, è una costruzione ordinaria a mio avviso, benché serva bene lo scopo per cui è stata edificata. La poesia del luogo si è persa, anche se il luogo ha assunto altra valenza che dimostra ed esalta la volontà della famiglia di destinare a nobili mansioni l’area indicata. Dico solo che quegli archi si potevano rispettare, c’è sempre una parte dell’anima umana che richiede bellezza e quella scelta demolenda, non se ne curata. Architettura è sposare l’utilità con la bellezza, se manca una di esse, non si può parlare di Architettura, ma di edilizia ed edifici.