La casa di don Marco in via Roma: quel “monastero” donato alla diocesi di Otranto, ora abbandonato e profanato

16 Giugno 2017 Off Di Pantaleo Gianfreda
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La casa di don Marco Guido, oggi della diocesi, in via Roma

Don Marco Guido è scomparso il 6 febbraio dello scorso anno. Alla sua morte mi parve naturale, per l’amicizia e la stima che ci legavano, scrivere di lui e far conoscere meglio un uomo e un prete generoso e dotto, di grande levatura culturale e religiosa, seppur all’apparenza scontroso (leggi).

Dopo la sua intensa attività pastorale ed ecumenica, si era ritirato nella natìa Collepasso, nella casa di via Roma, “monastero – scriveva –, ereditato dai genitori”. E come un monaco erudito ha vissuto gli ultimi anni tra un numero impressionante di libri, cimeli e ricordi della sua attività pastorale e dei viaggi ecumenici nel mondo.

Una figura di prete che appare oggi di grande attualità, alla luce della svolta data alla Chiesa da Papa Francesco.

Eppure, la memoria di questo generoso prete sta subendo affronti impietosi e incomprensibili e, probabilmente, don Marco “si sta rivoltando nella tomba” nel vedere l’abbandono e la profanazione del suo “monastero”, oggi di proprietà dell’arcidiocesi di Otranto, cui egli ha voluto donarlo con atto notarile del 2 agosto 2012, stipulato a Maglie alla presenza dell’arcivescovo mons. Donato Negro.

Come è riportato nell’atto, la donazione ha “finalità di carattere pastorale, per l’educazione, istruzione e formazione morale e religiosa dei fedeli. In particolare – prosegue -, è desiderio del donante che l’immobile venga adibito a biblioteca, allocando e conservando nello stesso tutti i libri di proprietà del donante, che saranno offerti alla libera consultazione dei fedeli, per la loro elevazione morale, culturale e religiosa”.

Don Marco Guido

A rafforzare e rendere chiara questa sua volontà, cinque mesi dopo, l’8 gennaio 2013, nel suo testamento olografo don Marco scriveva: “Lascio ed assegno tutti i mobili, arredi, suppellettili, libri e quant’altro contenuto nella mia abitazione in Collepasso alla via Roma a favore dell’Arcidiocesi di Otranto, in modo che possano essere utilizzati per la biblioteca che dovrà essere allocata in detta mia abitazione. Gradirei inoltre che le somme rivenienti dalla mia polizza assicurativa … , che prevede come beneficiario l’Arcidiocesi di Otranto, vengano utilizzate per la realizzazione della suddetta biblioteca”.

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Non era un caso che don Marco avesse avvertito la necessità, a soli cinque mesi dall’atto notarile, di esplicitare la sua volontà.

Dovere del donatario – quindi, dell’arcivescovo Donato Negro (o suoi delegati) – sarebbe stato quello di rispettare in toto la volontà di don Marco e realizzare a Collepasso la biblioteca da lui voluta, utilizzando anche le notevoli somme da lui messe a disposizione.

Così, invece, non è stato. Anzi, pare che l’arcivescovo sia intenzionato a vendere la casa approfittando di una clausola prevista nell’atto di donazione, che don Marco aveva in qualche modo subìto e successivamente smentito e “annullato” con il testamento olografo. Così recita la clausola: “Qualora si ravvisasse la necessità e l’opportunità di alienare l’immobile oggi donato, sarà cura dell’Arcivescovo, o dei suoi delegati, fare in modo che il netto ricavo della vendita sia destinato sempre alle medesime finalità di culto e religione e che trovino degna collocazione i volumi della biblioteca”. Una clausola mai “digerita” da don Marco, che, non a caso, avvertì successivamente la necessità di esplicitare senza ombra di dubbi la sua volontà nel testamento olografo.

Si dice che tra i possibili acquirenti, ci sarebbe anche il proprietario (originario di Otranto) del contiguo supermercato, che avrebbe intenzione di “radere al suolo” la casa e trasformare l’area in parcheggio. Sarebbe un vero sacrilegio, oltre che un gigantesco oltraggio alla memoria di don Marco!

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La cosa incredibile è che in questo “anno e passa” la Diocesi si sia quasi completamente disinteressata dell’immobile donato né ha mai avviato la sua trasformazione in biblioteca, come volontà del donante. La casa è abbandonata a se stessa e alla mercé di malintenzionati, fatta oggetto di devastazioni e furti. L’ultimo nei giorni scorsi. Qualcuno si dichiara sconcertato per lo “stato pietoso” in cui è ridotta (“Al pensiero che era una dimora di un sacerdote che è stata donata per uno scopo ben preciso… fa pensare!”, aggiunge). Ancor più sconcertante, poi, questa situazione se si pensa che il n. 2 della Diocesi, il Vicario mons. Quintino Gianfreda, è originario proprio di Collepasso.

Per quali motivi l’arcivescovo e i suoi “uomini di Curia” non ottemperano alla chiarissima volontà di don Marco?!? Non vorrei “pensare male”, anche se, per dirla con il “devoto” Andreotti, “a pensar male degli altri si fa peccato ma spesso ci si indovina”. Sarà perché don Marco è stato prete un po’ scomodo in vita e ancor più in morte? Perché il suo esempio e la sua generosità rischiano di turbare le coscienze di qualche “confratello” (curiale e non) ancora molto legato ai beni terreni e alle “pompe” del passato? Insomma, voglio dirla tutta: alla luce delle tante confidenze fattemi da don Marco, non vorrei pensare ad una “ritorsione” postuma nei suoi confronti!

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La Chiesa – quella conciliare del “popolo di Dio” – e tutti i cittadini sarebbero sconcertati se Vescovo e Curia non rispettassero la chiara volontà di don Marco e si rendessero di fatto responsabili di “oltraggio” a quel “sublime” (direbbe don Celestino) atto d’amore fatto al “popolo di Dio” di Collepasso.

Il nostro paese sta diventando un “deserto” ed ha bisogno (soprattutto i giovani) di un luogo permanente di cultura, di confronto e di dialogo, oggi possibile grazie alla generosità e alla “carità” di don Marco. Se l’arcidiocesi non è in grado di curare direttamente il “monastero” e le finalità della donazione della casa – la creazione, cioè, di una biblioteca -, può sempre affidarne la gestione a gruppi di intellettuali o giovanili cattolici o ad associazioni culturali  cattoliche locali, nel rispetto della volontà di don Marco e a perenne memoria di un sacerdote dotto, generoso, ecumenico, cui tutti dobbiamo rispetto, riverenza e gratitudine.

Si licet, mi permetto di lanciare un pubblico e fermo appello all’arcivescovo mons. Negro: rispettate la cristallina e generosa volontà di don Marco!

Pantaleo Gianfreda


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