Reddito di cittadinanza: un dovere della società, un diritto per chi è in difficoltà, uno strumento per essere cittadini liberi

26 Marzo 2018 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Mi risultano incomprensibili i motivi per cui l’Italia non abbia ancora uno strumento universale di sostegno al reddito, già in vigore in molti Paesi europei (Francia, Germania, Belgio, Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Svezia, ecc.). Tale strumento, pur variando da Paese a Paese, è finalizzato ad assicurare condizioni di vita dignitose a tutti i cittadini, offrire sostegno ai disoccupati, garantire maggiori risorse a chi, nonostante abbia un lavoro, vive ai limiti della sicurezza.

L’Europa ha chiesto da tempo a tutti i Paesi aderenti di introdurre il “Basic citizenship income” (“Reddito di base incondizionato”), di cui il reddito di cittadinanza del M5S rappresenta un’applicazione (un po’ annacquata, in verità).

Come mai, allora, in Italia persino partiti che si definiscono “europeisti” si oppongono alla sua introduzione? In particolare, come mai la sinistra, che dovrebbe tutelare le categorie più deboli, non ne fa una propria bandiera?

Riporto un personale (ed emblematico) aneddoto. Sono da sempre estimatore e lettore del sociologo Domenico De Masi, autore di scritti di notevole interesse sociale e culturale, noto per le sue partecipazioni in programmi televisivi di attualità. Da sempre di sinistra, oggi è considerato tra gli intellettuali più vicini al M5S, da osservatore e studioso libero e autonomo. Nel luglio 2000 ripresi alcune sue intuizioni in un mio intervento, pubblicato dal “Quotidiano”, sul Patto territoriale per l’agricoltura della provincia di Lecce, finanziato con 100 miliardi di lire. L’articolo, sebbene molto apprezzato, mi costò il licenziamento dal “Cisi spa” di Casarano, società incaricata di redigere e gestire il Patto, che rappresentava a mio parere, come in effetti è stato, “un’occasione mancata” per la nostra agricoltura e uno sperpero di denaro pubblico per la discutibile impostazione e gestione da parte dell’”osannata” Provincia di Lorenzo Ria, di cui il Cisi era longa manus. Fui “punito” per aver rilevato i limiti di quel Patto e previsto – ahimé! -.quello che sarebbe successo. Alcuni anni dopo De Masi venne a Lecce per una conferenza, cui partecipai. Al termine conversai un po’ con lui. Dopo avergli scherzosamente detto che era stato “causa” del mio licenziamento, gli chiesi: “Professore, ma perché la sinistra non fa proprie le Sue idee così innovative e interessanti sul lavoro?”. De Masi mi rispose con un sorriso ironico e amaro e aggiunse: “Bisognerebbe chiederlo a loro”.

Riporto questo piccolo aneddoto per far capire, da una parte, l’involuzione culturale di una sinistra che da anni ha allontanato da sé gli intellettuali, un tempo pungolo e nerbo della sua azione e capaci di “leggere” in anticipo i fenomeni in atto, e, dall’altra, la sua involuzione politica, che l’ha portata lontana dai processi sociali in atto, le attese e i drammi di intere fasce popolari, che, deluse ed esasperate, hanno oggi riversato i loro voti su M5S e Lega.

Il Pd, ad esempio, è diventato da tempo il “partito delle pance piene” ed ha perso tanta parte di quel popolo che vive con difficoltà il crescente disagio sociale. Lo stesso Veltroni, fondatore del Pd, ha dovuto amaramente constatare che “La sinistra ha perso il rapporto col popolo“. Sia chiaro, un moderno partito deve essere capace di parlare a tutti i cittadini… a quelli, però, che, pur “sazi”, sposano i valori di solidarietà e giustizia sociale, distintivi di una vera sinistra.

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Mi viene in mente Primo Levi: “Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: Considerate se questo è un uomo, che lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per mezzo pane…”. La sinistra non è riuscita a capire la tragica attualità di chi è costretto, anche oggi, a lottare “per mezzo pane”.

Come si fa a non capire che la dignità umana è ancora oggi oltraggiata e umiliata, pur in tempi storici (per fortuna) diversi, in quei “campi di concentramento” sociali in cui sono relegate milioni di persone. Costrette ad umiliarsi per ottenere dal Comune un contributo per pagare la bolletta della luce, comprare le medicine, portare un “mezzo pane” a casa. Per ottenere dal politico di turno la promessa di un posto di lavoro per il figlio o per sé. Per finte iscrizioni agli elenchi anagrafici o ad altro lavoro fittizio pur di incassare (e dividere) qualche sussidio assistenziale. Uomini e donne costretti a tanti e diversi lavori in nero per racimolare la sopravvivenza. Persone anziane licenziate che vagano inutilmente per un lavoro. Padri costretti a tanti sotterfugi e persino a rubare e donne a prostituirsi per mantenere i propri figli… a rivolgersi alle Caritas per gli alimenti o all’animo “caritatevole” del “ricco epulone” per le “briciole” del suo desco. Giovani che si affidano ad organizzazioni criminali, disponibili persino a delinquere e spacciare per qualche soldo o che bevono e si drogano per la disperazione. Persone costrette ad affidarsi agli usurai, a chiedere soldi agli anziani genitori, ad amici e parenti… ad elemosinare, in definitiva, senza dignità un po’ di dignità!

Si è mai riflettuto abbastanza sugli enormi costi sociali ed economici di tali fenomeni per lo Stato?!?

La verità è che lo “stato di bisogno” di milioni di persone fa comodo alla maggioranza dei politici, che ne traggono linfa per le loro carriere politiche, per esercitare clientelismo, influenze e forme subdole di schiavismo morale. Certi politici non hanno mai voluto persone libere, ma “schiavi”… oggi clamorosamente ribellatisi con il voto del 4 marzo.

È giusto o no che la società italiana, come già succede in tanti Paesi europei, garantisca a tutti un minimo per vivere senza prostituire la propria dignità, in attesa di trovare un lavoro dignitoso? Chi non vorrebbe avere un posto di lavoro sicuro? La cattiveria umana definisce talora i disoccupati “scansafatiche”, “lavativi”, inetti ed oziosi… ma si comprende e conosce il dramma umano e familiare che vi è quasi sempre dietro ogni uomo/donna senza lavoro?!?

Quando sento dire che il reddito di cittadinanza (o come lo si voglia chiamare) “costa molto”, mi sarebbe facile rispondere che il crac delle Banche è costato all’Italia ben 68 miliardi di euro, di cui qualche decina a carico dello Stato, o che si spendono ogni anno decine e decine di miliardi per inutili armamenti e missioni militari.

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Rispondo, invece, che trovare i soldi per finanziare il reddito di cittadinanza è solo questione di volontà politica.

Intanto, sono già stanziati nel bilancio statale 2 miliardi per il farraginoso e limitato Re.I. (Reddito di inclusione). Quasi tutte le Regioni, inoltre, spendono soldi per strumenti similari. La Puglia, ad esempio, ha destinato 650 milioni al c.d. Re.D. (Reddito di dignità). Si pensi poi a quanti miliardi spendono i Comuni e gli Ambiti sociali per contributi assistenziali a cittadini bisognosi o progetti di reinserimento sociale. Il solo Comune di Nardò, che ha 30.000 abitanti, spende, ad esempio, 400mila euro all’anno. Non sarei lontano dalla realtà se calcolassi che Comuni e Ambiti sociali spendono molti miliardi di euro per attività e interventi assistenziali. Perché, allora, non far confluire in un’unica cassa queste notevolissime risorse, disperse in mille rivoli?

Si tenga poi presente quanti soldi risparmierebbe lo Stato se si sottraessero tante persone alla micro e macro criminalità. Le carceri italiane sono affollate in gran parte da arrestati o condannati per atti di microcriminalità. Alcuni dati Istat, seppur riferiti al 2013, possono dare un’idea della situazione: le violazioni della normativa sugli stupefacenti rappresentano la tipologia più diffusa di reati per i detenuti con 24.273 casi (il 38,8%); seguono i reati di rapina (18.064 casi, pari al 28,9%) e furto (13.531, il 21,6%). Quanti avrebbero evitato di delinquere se solo avessero potuto usufruire del minimo per vivere? Quanti milioni o miliardi di euro spende lo Stato per mantenerli in carcere?

Quanto spendono l’Inps e lo Stato oggi per gli ammortizzatori sociali, in particolare per le indennità di mobilità e disoccupazione? Miliardi. Certo, si tratta di fare una profonda riforma del welfare italiano, che separi nettamente la previdenza dall’assistenza. Si recupererebbero, in tal modo, altri miliardi da destinare al reddito di cittadinanza.

Considerato, inoltre, che la proposta di erogazione di questo reddito è legata all’impegno di chi ne usufruisce a svolgere alcune ore settimanali di servizi in favore della comunità, quanto ne guadagnerebbero (e risparmierebbero) – sotto tutti i punti di vista – i Comuni o altri enti pubblici nell’utilizzare tante persone per fini socialmente utili?

Soprattutto nel Sud, poi, migliaia di persone sono costrette a lavori sottopagati di 4-500 euro al mese. Se fosse erogato il reddito di cittadinanza, che nella proposta del M5S si aggirerebbe attorno ai 780 euro mensili, molte di queste aziende sarebbero costrette a portare i loro stipendi oltre quella cifra per non rimanere senza dipendenti.

Infine, un’ultima considerazione generale. A differenza degli 80 euro di Renzi, che hanno provocato impercettibili incidenze sui consumi, i soldi del reddito di cittadinanza, considerata la tipologia delle persone destinatarie, sarebbero tutti o in gran parte spesi in beni e servizi di prima necessità. Attiverebbero, pertanto, maggiori consumi. Per chi conosce l’abc dell’economia, maggiori consumi significa maggiore produzione… maggiore produzione significa maggiore reddito… maggiore reddito significa maggiori entrate per lo Stato.

Certo, il processo che porta al reddito di cittadinanza richiede tempi e modalità organizzative non trascurabili, ma se c’è volontà politica, come si è dimostrato in talune occasioni, i tempi non sarebbero biblici. Perché, allora, non introdurre tale strumento? Sol perché in Italia lo hanno proposto i 5 Stelle?!? Ma è la stessa Europa a chiederlo!

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Certamente il reddito di cittadinanza non è la panacea di tutti i mali, ma è “un segnale” importante ed un’esigenza sentita da milioni di cittadini in difficoltà, che rivendicano dignità e libertà.

Nel nuovo scenario politico del post 4 marzo, il Partito Democratico dovrebbe superare arroccamenti, risentimenti e chiusure, dimostrare maggiore senso di responsabilità e disponibilità a contribuire alla soluzione di tanti problemi. Nel recuperare, soprattutto, proposte e battaglie per risolvere i veri bisogni dei cittadini. Insieme a LeU, il Pd dovrebbe fare propri il reddito di cittadinanza ed altri temi “di sinistra” presenti nel programma del M5S, sfidandolo su questi temi e proponendo una convergenza programmatica e il rispetto di promesse elettorali che oggi sembrerebbero vacillare.

La sinistra ha il dovere di rimettersi in gioco e ricostruire la sua forza confrontandosi sui bisogni concreti dei cittadini, in particolare i più bisognosi. Il vero dramma dell’Italia non sarebbe un governo M5S, che ha avuto comunque il merito di bloccare l’onda emergente di una destra sovranista e populista in Italia e in tutta Europa. Il dramma sarebbe “questa” destra al governo. La sinistra dovrebbe incalzare il M5S sui suoi punti programmatici “di sinistra” e, se ci sono convergenze, garantire la nascita di un governo con la sua astensione senza chiedere nulla in cambio. Dimostrerebbe di aver capito la lezione del 4 marzo… dimostrerebbe responsabilità, serietà e, soprattutto, tanta umiltà… qualità necessarie per recuperare tanti milioni di elettori di sinistra, che oggi hanno votato M5S e persino Lega.

Il Pd e tutta la sinistra non pensino più a Renzi, che – per dirla “alla Chirienti-maniera” – “ha purtatu la sinistra a nenzi”. Il leader fiorentino, dopo le enormi attese e le altrettanti enormi delusioni provocate, è stato solo il Terminator finale di una sinistra che da anni (e già molto prima di lui) non riesce ad interrogarsi seriamente su se stessa e sul suo ruolo. Si pensi, en passant, che il “confronto politico” è affidato quasi esclusivamente a tweet e post sui social, in cui tifoserie di leader nazionali e leaderini locali si beccano quotidianamente e senza ritegno. È triste constatare il degrado, anche umano e dialettico, in cui sono precipitati quelli che sarebbero dovuti essere gli “eredi” di Moro e Berlinguer. C’è bisogno, invece, di uno scatto di dignità, di orgoglio e di responsabilità. Nel rispetto e con il contributo di tutti (compreso Renzi), Pd, LeU e l’intera galassia della sinistra (usciti tutti sconfitti dalle elezioni) percorrano con dignità la loro attuale via crucis, accettino le ragioni del “golgota” cui li ha condannati il voto popolare e, soprattutto, facciano proprie le sofferenze della gente e ne diventino gli alfieri, superando rivalità e ambizioni personali… solo così, come ci insegna questa Settimana santa, la sinistra si potrà avviare verso la sua Pasqua di Resurrezione.

L’alternativa sarebbe, a mio parere, solo la sua eterna crocefissione a furor di popolo.

Pantaleo Gianfreda


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