“Cristiani e politica” secondo don Tonino Bello.

13 Aprile 2009 Off Di Pantaleo Gianfreda
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La politica con compassione per esigere autonomia. Di seguito un email dell’assessore regionale Guglielmo Minervini, che fu collaboratore di don Tonino, che riporta un’intervista di questi sul tema “Cristiani e politica”

Carissimi,

il testo che leggete in basso me l'ha girato qualche tempo fa un caro amico. É una piccola perla.

Rimasta tra i file del suo hard-disk, è uno spezzone di intervista a don Tonino.

Non sappiamo dove sia stata pubblicata, ma è certa la data: 27 febbraio 1987.

Nonostante risalga a oltre due decenni fa, conserva un nitore, un'autenticità, una bellezza degna di condivisione.

Sono parole che risuonano profondamente radicali ancora oggi. Fanno inciampare il senso comune.

Perché evocano una politica intensamente laica ma anche intimamente capace di "patire" col mondo, con la storia, con la vita.

Una politica che proprio perché pratica con rigore la compassione può esigere con fierezza l'autonomia.

Una politica che, scegliendo di farsi prossima alle persone, si eleva fino alla nobiltà.

Si "entra" nella politica, dice don Tonino, solo "uscendo" dalle logiche deteriori del cabotaggio e del clientelismo.

Abbandonato il presidio sulla Gerusalemme-Gerico, la politica si genuflette per chiedere protezione e consenso, pensando così di coprire la vergogna di una latitanza grave.

Qualche giorno fa le acque del Mediterraneo hanno ingoiato centinaia e centinaia di vite in cerca di vita.

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Non conosceremo mai i nomi, le storie, i sogni, i desideri, le speranze che sono finiti sul fondo delle nostre coscienze più che del mare.

Eppure dovremmo farci trovare lì. A svolgere la nostra prossimità.

Invece, noi non ci siamo. Anzi abbiamo chiesto agli ambulatori medici di trasformare la cura in denuncia, la compassione in questione di ordine pubblico, la pietà in un problema di sicurezza. Stiamo addirittura differenziando le fermate dei tram.

Potrà anche inginocchiarsi, ma questa politica non è degna di perdono.

Don Tonino definì la Pasqua "festa dei macigni rotolati". Forse proprio da questa vergogna dovremmo far rotolare il nostro macigno. Parliamone sul blog.

Auguri

Guglielmo

 

CRISTIANI E POLITICA – Don Tonino Bello 

Come vede la presenza dei cristiani nel sociale e nel politico?

Anzitutto, non solo sono convinto di quanto afferma la Gaudium et spes, che parla della politica come di "un'arte nobile e difficile", ma condivido in pieno l'espressione di Paolo VI, il quale afferma che "la politica è una maniera esigente di vivere l'impegno cristiano al servizio degli altri".

Penso, pertanto, che il credente, oggi più che mai, debba accettare il rischio della carità politica, sottoposta per sua natura alla lacerazione delle scelte difficili, alla fatica delle decisioni non da tutti comprese, al disturbo delle contraddizioni e delle conflittualità sistematiche, al margine sempre più largo dell'errore costantemente in agguato.

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Il cristiano, in pratica, imbocca la Gerusalemme-Gerico; non disdegna di sporcarsi le mani; non passa oltre per paura di contaminarsi; non si prende i fatti suoi; non si rifugia nei suoi affari privati; non tira diritto per raggiungere il focolare domestico, o l'amore rassicurante della sposa, o la mistica solennità della sinagoga. Fa come fece il buon Samaritano, per il quale san Luca usa due verbi splendidi: "Ne ebbe compassione" e "gli si fece vicino".

È un mestiere difficile, non c'è dubbio. Non solo perché richiede la coscienza dell'autonomia della politica da ogni ipoteca confessionale e il riconoscimento della sua laicità. Ma anche perché deve evitare la tentazione, sempre in agguato, dell'integralismo: diversamente si ridurrebbe il messaggio cristiano a una ideologia sociale. 

In concreto, come si caratterizza l'azione politica del credente?

Il cristiano che fa politica deve avere non solo la compassione delle mani e del cuore, ma anche la compassione del cervello. Analizza in profondità le situazioni di malessere. Apporta rimedi sostanziali sottratti alla fosforescenza del precariato. Non fa delle sofferenze della gente l'occasione per gestire i bisogni a scopo di potere. Paga di persona il prezzo di una solidarietà che diventa passione per l'uomo. Addita in termini planetari e senza paure, i focolai da cui partono le ingiustizie, le violenze, le guerre, le oppressioni, le violazioni dei diritti umani.

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Sicché, man mano che il cristiano entra in politica, dovrebbe uscirne di pari passo la mentalità clientelare, il vassallaggio dei sistemi correntizi, la spartizione oscena del denaro pubblico, il fariseismo teso a scopi reconditi di dominio.

Utopie? Forse. Ma così a portata i mano, che possono finalmente diventare "carne e sangue" sull'altare della vita.

(27 febbraio 1987)


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Pantaleo Gianfreda