Lo strappo di Fini: “Restare così non è dignitoso”.

16 Aprile 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Berlusconi-Fini, è rottura. Il presidente della Camera: "Farò gruppi miei". Toni pesanti tra i due leader del centrodestra durante il vertice a pranzo. Il presidente della Camera: "Io sono stato chiaro, il Pdl deve essere il partito della coesione nazionale. Aspetto le valutazioni del Cavaliere". I coordinatori Pdl: "Amareggiati per il tuo atteggiamento incomprensibile". Il Cavaliere avrebbe chiesto all'ex leader di An di lasciare la presidenza della Camera. Ma fonti del Pdl smentiscono: "Non è vero"  

L'annuncio arriva alla fine del pranzo, dopo un confronto teso durato quasi due ore. "Silvio, visto che il Pdl è un nostro patrimonio comune, ma abbiamo idee diverse su come coltivarlo" osserva Fini senza alzare la voce "non ci vedo nulla di male a farlo fiorire con un gruppo autonomo". Berlusconi resta basito. Il premier prova a convincere il presidente della Camera che "i problemi si possono risolvere, come abbiamo sempre fatto". Ma per Fini le cose sembrano ormai andate troppo oltre. E lo stesso Berlusconi, in serata, appare ai coordinatori quasi sollevato: "Mi sono tolto un peso. Se ne vada pure. Abbiamo un problema in meno e possiamo correre. Farà la fine di Follini. Ma se esce, va via per sempre".

Più tardi, nelle varie riunioni con i suoi fedelissimi, il presidente della Camera prova a svolgere il filo di una delle giornate più difficili della sua vita politica: "Con calma, ho posto a Berlusconi solo questioni politiche, alle quali non mi ha saputo rispondere. O meglio, ha risposto a tutto, dicendo sempre "va tutto bene". Invece non va bene per niente e basta vedere cosa è successo in Sicilia, dove da un anno e mezzo viene tollerata una situazione che, in qualsiasi altra organizzazione, avrebbe portato a una decisione". Proprio il caso Sicilia, con lo sdoppiamento del Pdl in due tronconi, l'un contro l'altro armati, per Fini è paradigmatico di cosa il Cavaliere pensi dei partiti: "Li considera meno di zero. Io invece li ho sempre considerati con rispetto e il nodo, alla fine, è venuto al pettine". Un esempio che vale anche per gli altri campi: "I problemi vanno affrontati – ha spiegato Fini ai tanti che, in processione, sono andati a trovarlo – non si può nasconderli sotto il tappeto come fa Berlusconi, far finta che non esistano". Questioni che il presidente della Camera non ha posto solo ieri. "Sono settimane che gli dico le stesse cose, in privato, in pubblico e attraverso intermediari. E lui mi ha risposto schivando i problemi. Diceva: questo lo risolviamo. Oppure: non è come dice Fini. O peggio: ma Fini dove va? Sono solo quattro gatti, sono dei fighetti".

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La scena ritorna al primo piano di Montecitorio. Berlusconi alza la voce, sbatte due volte i pugni sul tavolo. Ma Fini torna alla carica. Freddo: "Io pongo problemi perché desidero che il governo lavori meglio, che la tua maggioranza sia più forte". In concreto, cosa chiede? Molto ruota intorno al ruolo debordante della Lega, a quella che Fini considera la sudditanza del Pdl rispetto a Bossi. La risposta del Cavaliere, anziché tranquillizzare il presidente della Camera, lo rafforza nella sua determinazione: "Gianfranco, la Lega siamo noi, con Bossi siamo amici, garantisco io per lui". Finito il pranzo, Fini racconta ai suoi di non essere stupito dalla concezione dei rapporti politici di Berlusconi: "Non gliene faccio una colpa, sono categorie politiche che non possiede. È come se io parlassi in italiano e lui mi rispondesse in russo". Per farsi capire, si serve di una metafora: "Certe volte la direzione della Dc si riuniva e stilava un chiaro invito rivolto al presidente del Consiglio a fare questo o quello. Anche il premier era democristiano, ma quella presa di posizione serviva ad aiutare il governo". Il Cavaliere lo scruta perplesso scuotendo la testa. Anche la condizione del Pdl viene gettata sul tavolo, insieme alla politica sociale del governo "che non esiste", la politica istituzionale "che deve essere più equilibrata", la politica economica, che "nemmeno tu conosci, perché Tremonti non ne parla con nessuno". "Ma ti rendi conto dello stato del partito al Sud??", chiede Fini. E il premier: "Cosa dici? Al Sud abbiamo vinto!". Fini, di rimando: "Serve un Pdl nazionale che non sia al traino della Lega, che sia attento alla coesione del Sud". L'altra richiesta è quella di azzerare tutti gli organigrammi, per tornare al rispetto di quel 70-30 pattuito all'inizio.

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È un dialogo fra sordi. Il presidente della Camera gli imputa anche la scarsa considerazione in cui viene tenuto. Episodio sintomatico quello della riforma della Costituzione: "Ti rendi conto – punta il dito Fini – che durante una cena avete tirato fuori una bozza di Costituzione, l'avete portata al Quirinale e l'avete resa pubblica senza che il presidente della Camera e fondatore del Pdl ne fosse informato?". Il Cavaliere minimizza: "Quella bozza non ha valore, non è nulla di definitivo. Anche Umberto mi ha detto: quel Calderoli lì ha esagerato, ha fatto di testa sua".

Il pranzo è terminato, Berlusconi prova a stemperare il clima con una barzelletta, ma c'è poco spazio per le risate. Fini sembra deciso a lanciare il suo gruppo "Pdl-Italia", che voterà i provvedimenti del governo "a condizione di contribuire sempre alle decisioni prese: è l'Abc della politica, ma lui non ce l'ha". Insomma, a chi lo vuol seguire il presidente della Camera ripete che non gioca "a far cadere il governo", ma la partita interna sarà molto dura. "Metto in conto – confessa – che Berlusconi scatenerà i cani per provare a sbranarmi. Già mi aspetto Feltri. Ma prima o poi, per un politico, arriva il momento della verità". Quanto ai colonnelli di An, Fini non si fa illusioni e attende le loro decisioni: "Sono preoccupati. Sta arrivando il momento in cui si accorgeranno che, senza dignità politica, si può svolgere solo un ruolo ancillare".

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Tornato a palazzo Grazioli, il premier si sfoga: "Fini mi aveva promesso che, se si fosse rimesso a fare politica attiva, si sarebbe dimesso dalla carica. Mi aspetto che onori questa promessa". E ancora: "In ogni caso, è liberissimo di fare il suo gruppo, nessuno è obbligato a restare nel Pdl. Ma è chiaro che, per statuto, chi fa un gruppo per conto suo non fa più parte del Pdl e non potrà essere ricandidato". Fatti conti con i coordinatori e i capigruppo, il premier ritiene di poter ancora dare le carte. "Al Senato Fini non ha i numeri per fare un gruppo e anche alla Camera, se arriverà a 20-22 deputati, me li riprenderò uno a uno". Ma finirà davvero così?  


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