I politici cambiano, la corruzione resta.

8 Maggio 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Ma non è Tangentopoli. Somiglia ma non è. Forse è peggio. Tangentopoli era il sistema di corruzione politica radicato in Italia nel decennio del pentapartito (1980-1992) con capitale Milano. Mani Pulite colse con le mani nel sacco quell’ingegner Mario Chiesa che Bettino Craxi s'affrettò a bollare come "un mariuolo". Ed era uno che portava "doni" al suo partito. Allora si rubava per il partito, per il santo nome del partito, anche se molta farina si perdeva per via.

Corruzione e concussione. La prima quando gli imprenditori inducevano i politici a favorirli versando tangenti. Concussione quando erano i politici a indurli. Due reati che però finivano per intrecciarsi come serpenti.

Pareva che fosse peccato veniale rubare per il partito, conclamato pilastro del sistema democratico. Anzi era un dovere. La corruzione era diventata sistema e il sistema garantiva impunità. Oggi i partiti sono ectoplasmi, riaprono bottega in periodo elettorale. Il sistema politico esalta il leader. Il bipolarismo personalizza la politica. La corruzione privilegia i singoli che s'affidano alle manovre del potere burocratico sempre più forte.

E' la Burocrazia il motore del sistema. Ai partiti è subentrata la Cricca. Rubano per arricchirsi cibando anche i politici. Possono farlo grazie a quel caotico ginepraio di procedure opache che li rende arbitri di eccezioni e scappatoie contro la legge. Specialmente in quei settori dove concessioni e appalti sono esenti da controlli e catalogati come emergenze. Un elenco che s'allarga come la pelle del tamburo.

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Si ruba per arricchimento personale, non per il partito. Anche perché il partito-fantasma è oggi più ricco di quando era partito vivo e vero. La risposta politica a Mani Pulite fu infatti l'abolizione del finanziamento pubblico dei partiti, sancita col referendum del 18 aprile 1993. Allora i partiti costavano allo Stato qualcosa come 810 miliardi di lire all'anno. Ora sono arrivati a incassare 2 miliardi e mezzo di euro come contributi elettorali (cinque volte più di prima). Con un particolare importante: vengono attribuiti alla persona del segretario, non più al partito.

Uno degli 8 referendum che si celebrarono in quella stessa data aboliva in pratica la famosa immunità parlamentare, ormai superata dai tempi, divenuta un comodo rifugio di ladri e lestofanti per dribblare la giustizia, protetti dall'autorizzazione a procedere abitualmente non concessa dalle maggioranze parlamentari anche quando si trattava di reati comuni.

Ora stiamo assistendo a una serie di tentativi smaccatamente finalizzati a codificare forme di privilegi ad personam per sottrarre i politici al principio che vuole tutti i cittadini eguali di fronte alla legge. Il governo ha abolito "l'Autorità anticorruzione", che a conti fatti non aveva mai inciso nella piaga. Altrettanto dicasi del "Servizio anticorruzione e trasparenza" affidato al ministro della Funzione pubblica Renato Brunetta, perso nel sogno di assurgere al trono di Doge senza il gradimento dei Veneziani.

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Ma le statistiche internazionali sono implacabili. In testa la famosa Transparency International che classifica l'Italia ai massimi livelli di corruzione politica. A metà degli anni '90 eravamo messi all'ultimo posto tra i 15 Paesi che allora facevano parte dell'Unione Europea. Nel 2008 l'Italia precipitava al 55° posto nel mondo.

La classe politica ci dorme sopra. Il disegno di legge varato dopo gli scandali del G8 pare sia caduto in letargo. Il sistema di corruzione non è più quello di Tangentopoli. Ma i casi appena emersi sono soltanto la punta di un iceberg. Troppi i politici che fanno di tutto perché la politica non sia una casa di vetro.


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Pantaleo Gianfreda