La truffa del Cavaliere.

26 Giugno 2010 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Il commento di Giuseppe D’Avanzo in merito alla “vicenda Brancher” su “la Repubblica” di sabato 26 giugno 2010.

Il capo dello Stato smaschera il gioco e lascia senza veli gli abusi di potere, la truffa politica, l'umiliazione delle istituzioni occultati nell'affaire Brancher. Il neo-ministro  –  cooptato da Berlusconi a capo di un dicastero al solo scopo di evitargli un processo per appropriazione indebita  –  si è aggrappato al "legittimo impedimento" per evitare il dibattimento. "Devo organizzare il ministero" si è giustificato con i giudici. Non c'è nulla da organizzare, spiega ora Giorgio Napolitano, perché il ministero di Brancher  –  quale che sia: per l'attuazione del federalismo o per il decentramento e la sussidiarietà  –  è un ministero senza portafoglio.

Quindi, conclude una nota del Quirinale, "non c'è nessun nuovo ministero da organizzare" e, di conseguenza, nessun legittimo impedimento da invocare. La logica conclusione dell'intervento del capo dello Stato sembra essere: c'è un solo, corretto gesto che oggi il neo-ministro può proporre: si faccia processare. Le poche parole di Napolitano, secche e fattuali, lasciano l'intera Operazione Impunità del governo Berlusconi senza alibi. Ne mostrano la violenza istituzionale.

Contiamo gli abusi, gli inganni, le truffe dell'affaire. È stato ingannato il capo dello Stato. Gli è stata presentata la nomina di Brancher come un riequilibrio indispensabile all'efficienza del governo, era soltanto un espediente per rendere quell'uomo immune alla giustizia. Si è lasciato credere – a un Paese in attesa di decisioni e politiche che lo proteggano dalla crisi – che fosse necessario un nuovo ministero. Falso. Di questo ministero – di cui peraltro si ignorano ragione, missione e anche la denominazione – non c'è alcun bisogno. Si è piegata l'oggettività di una funzione pubblica, la legittimità di un'istituzione (addirittura, il governo) alla soggettiva urgenza di un signore che, da sempre nell'inner circle di Arcore, è nel cuore di Silvio Berlusconi fin dai tempi in cui il Cesare di oggi era soltanto uno spregiudicato imprenditore. Si è mentito ai giudici. Un falso doppio. Ha mentito l'imputato-ministro, ma ha mentito anche il governo che, al contrario del capo dello Stato, ha taciuto per un'intera giornata una verità elementare: Brancher non ha alcun ministero da organizzare.

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La sequenza di abusi, inganni e truffe del governo rende necessario soddisfare con qualche risposta pubblica una curiosità e indispensabile una mossa politica. La curiosità è sulla bocca di tutti: perché Silvio Berlusconi si è cacciato in questo pasticcio? Ne aveva proprio bisogno? Che cosa ce lo ha costretto? A ragionare su quel che si sa, è incomprensibile. Aldo Brancher è imputato, nel processo Antonveneta, di appropriazione indebita. Ha "grattato" qualche centinaia di migliaia di euro al banchiere Gianpiero Fiorani. Brancher avrebbe potuto affrontare il processo senza troppi patemi e approfittare agevolmente dei labirinti procedurali messi a punto in due legislature dal Cavaliere per annientare il processo penale e rendere arduo ogni accertamento dei fatti e delle responsabilità. L'ampio ventaglio di opportunità offerte da codici, che hanno ridotto il processo a ferro arrugginito, gli avrebbero ragionevolmente dato la possibilità di farla franca senza danno. Ma ammettiamo che, con una sentenza, il danno alla fine sarebbe arrivato. Quale danno? Una condanna neutralizzata dall'indulto che avrebbe fatto fatica a guadagnare, nei giornali, uno spaziuccio tra le brevi di cronache. Perché allora sollevare questo polverone? Perché accendere le luci su un processo che si trascina stancamente nella penombra e nel disinteresse? Quale minaccioso racconto o vergogna può farvi capolino se l'imputato Brancher entra in aula?

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Perché Berlusconi si convince a mettere la sua faccia su un abuso politico e una truffa istituzionale che, senza alcuna speranza di occultamento, avrebbero provocato l'interesse dell'opinione pubblica, l'irritazione dell'alleato leghista, la contrarietà del cofondatore del Popolo della Libertà, il fragore dell'opposizione? Un gioco a saldo tutto, e decisamente, negativo. Bisogna allora chiedersi: qual è la ragione che obbliga Berlusconi ad affrontare questa tempesta? Quale ricatto si muove dietro le quinte? E quale fragilità il capo del governo deve coprire con la cooptazione nel governo di Aldo Brancher?

Nelle democrazie sane c'è un luogo dopo porre queste domande e ottenere risposte che possono essere vagliate e verificate: è il Parlamento. Berlusconi dovrebbe avere il coraggio di affrontarlo, per una volta. E l'opposizione e i settori della maggioranza coinvolti inconsapevolmente in quest'affaire molto imbarazzante dovrebbero pretenderlo. Come appare obbligatoria una mossa politica. Se la sintassi istituzionale e la grammatica politica avessero ancora un significato, Aldo Brancher dovrebbe dimettersi fin da oggi, prima di raggiungere il tribunale di Milano. Le parole di Napolitano sembrano pretenderlo. La nota del Quirinale si può leggere, al fondo, anche così: se credi di fare il ministro per evitare un processo, non hai diritto a essere ministro perché le ragioni che tu lo sia sono venute meno; hai il dovere di affrontare il processo senza alcuna immunità perché è scritto che tutti i cittadini sono uguali dinanzi alla legge. 


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Pantaleo Gianfreda
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