“Ciao a te giovane uomo…”: un pensiero della poetessa collepassese Irene Leo

27 Giugno 2012 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Nel giardino dei viventi, il più bel fiore reca con sè spine acuminate. Chi si avvicina alla rosa, chi ne saggia il colore, l’ardente profumo, la beltà delle forme  ferisce poi le sue dita con gli aculei che la circondano. Molti evitano di avvicinarsi al fulcro pieno di tale bellezza, restano ai margini del giardino, distanti, nascosti tra i fili d’erba, e le fioriture selvatiche. Ma vivono davvero? O il loro è solo un succedaneo modo d’essere al mondo?

C’è che la nostra esistenza, se abbracciata con la pienezza della nostra umanità, è quella rosa, densa di una dolcezza e di una felicità sovrumana. E’ l’unico modo che abbiamo per estenderci oltre, amare ogni nostro attimo, amare senza rimandare, scegliere, avanzare, decidere, crescere. E poi le spine. A volte feriscono appena, a volte trapassano il cuore. Ma se si potesse tornare indietro ci limiteremmo a guardare tutto da lontano? Eviteremmo davvero di entrare nel giardino promesso?

Ognuno di noi eviterebbe il dolore se potesse, eviterebbe lo strazio se sapesse, per noi e per gli altri in special modo. Ma è legato a doppio nodo a quella che chiamiamo gioia, inevitabilmente le è vicino, è la sua controparte.

Chi vive deve essere pronto al rischio di esistere ed anche di  morire.

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Ma è difficile, impossibile l’accettazione, quel dolore è una spina che affonda e si dipana in ognuno di noi, col potente veleno dell’oblio, della mancata cura, della caduta speranza.

C’è una porta in quel giardino.

Il dolore è la chiave (mentre la felicità non ha serrature) ma taluni dolori sono più insostenibili di altri, più forti,  è difficile se non impossibile trovare le serrature di certe porte, è complicato spalancarle dando una collocazione a ciò che c’è, che è reale, che è accaduto. Il dolore è un atroce maestro, insegna che il tempo è prezioso, che occorre: non attendere mai, vivere chi amiamo quotidianamente con intensità perché siamo fragili, la nostra è una dimensione transitoria, passeggera. Noi non siamo di questa realtà. La abitiamo appena prima di volare altrove con le ali di prodigiose farfalle. In quest’ottica si rende preziosa ogni parola, ogni  azione compiuta, quello che lasciamo in dono al nostro prossimo, i valori che siamo stati in grado di elargire e donare sono eterni. Ecco allora che abbiamo vinto sulla morte. Perché l’amore per la vita è sempre più forte anche della morte stessa. La morte non può cancellarci.

Ciao a te giovane uomo, che hai avuto il coraggio di vivere come volevi e di amare ogni giorno la vita ed i tuoi cari, padrone del tuo meraviglioso giardino.

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Irene E. L.


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