“Ho sempre respirato a Collepasso un’aria di famiglia e di comunità”: don Giuseppe Mengoli, il “nostro” Vescovo, si racconta…

“Ho sempre respirato a Collepasso un’aria di famiglia e di comunità”: don Giuseppe Mengoli, il “nostro” Vescovo, si racconta…

14 Maggio 2023 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Don Giuseppe Mengoli, in casa della sorella Adele

Quando, nella tarda mattinata di un sabato, vado a Maglie per il nostro incontro, trovo don Giuseppe “in comunione” con una quarantina di ragazzi e ragazze, che il giorno dopo riceveranno la Cresima. La sua voce si spande quieta e penetrante sotto le volte della Chiesa “Maria SS. Immacolata”, di cui è parroco da 13 anni.

Don Giuseppe nella Chiesa dell’Immacolata di Maglie

I suoi libri (“mi servono per cibarmi”, dice con saggezza) sono già stati impaccati e lo hanno preceduto nella nuova “casa” di San Severo, dove il 31 maggio si insedierà nella Cattedrale di Santa Maria Assunta quale nuovo Vescovo della diocesi più settentrionale della Puglia. Oltre San Severo, città di circa 50 mila abitanti, la Diocesi comprende, infatti, le parrocchie dei Comuni di Apricena, Chieuti, Lesina, Poggio Imperiale, Rignano Garganico, San Nicandro Garganico, San Paolo di Civitate, Serracapriola e Torremaggiore (in quest’ultima, a me cara e patria di Nicola Sacco, pochi mesi di insegnamento mi hanno permesso di intessere una fitta rete di amicizie, compresa quella dell’attuale sindaco Emilio Di Pumpo).

Cattedrale di Santa Maria Assunta a San Severo (FG), sede vescovile di don Giuseppe

Eppure, don Giuseppe, che, dopo la nomina vescovile (e martedì 16 maggio sarà consacrato Vescovo nella Cattedrale di Otranto) ha vissuto un periodo particolarmente intenso e impegnativo, è rimasto sino all’ultimo nella sua trincea pastorale… a fare il parroco.

Ho nutrito sempre curiosità e stima per questo “ragazzo” che conosco sin da tenera età. Una volta mi ha ricordato quando saliva con me sul trattore “alle Pirazze” e “a Maricore” in quelle poche occasioni in cui mio padre o mio fratello mi permettevano di “provare” sul campo il trattore. Ci unisce la “cuginanza” tra mio padre Pasquale e suo nonno Adolfo (le madri erano sorelle), un uomo, ricorda oggi don Giuseppe, “scaltro, maestro di vita e deciso, forte come persona”, che ha avuto un ruolo importante nella vita del piccolo Giuseppe.

Ringrazio don Giuseppe per avermi concesso il “dono” di dedicare quasi un’ora del suo prezioso tempo a parlare – lui così riservato! – della sua “collepassesità”, come gli avevo chiesto, ad aprire e riconnettere cuore e mente con le radici che lo hanno nutrito sin da tenera età e portato oggi ad essere successore degli Apostoli, primo vescovo nella storia di Collepasso, una comunità che pur ha offerto al servizio di Santa Madre Chiesa tanti suoi figli, alcuni autorevolissimi.

L’annuncio di Mons. Negro, nella Cappella del Seminario di Otranto, della nomina a Vescovo di don Giuseppe Mengoli (1.3.2023).
Sotto: la commozione del neovescovo dopo l’annuncio

Confesso, altresì, di aver avuto difficoltà a condensare in un articolo l’interessante colloquio con il neo Vescovo, comprese tante preziose “pillole” di saggezza e di umanità con cui “veste” alcuni ricordi. Fortunatamente il pulsante del registratore ha funzionato. Dopo averlo riascoltato, ho deciso di trascrivere il colloquio, omettendo le mie interlocuzioni e altre ininfluenti, e di pubblicarlo quasi integralmente in pdf a pié di pagina. Vi invito a leggere.

Trovo, infatti, molto interessante e profonda la testimonianza di don Giuseppe, uomo e sacerdote di grande cultura e umanità che, come ho avuto modo di dirgli, in alcuni tratti (anche fisici) mi ricorda don Tonino Bello e trasmette l’immagine di un “pastore d’anime” saggio ed equilibrato che sa condurre placidamente le sue “pecorelle” verso la Grazia in punta di piedi, ma in modo attento, amorevole, solidale e fraterno.

Come, d’altronde, sembra naturale conoscendo bene le sue origini semplici, gli insegnamenti degli amati genitori Luigi e Adele e delle tante buone persone che hanno incrociato e formato la sua vita.

Adele Calò e Luigi Mengoli, genitori di don Giuseppe. Sotto: la sorella maggiore Luisa con il marito Giovanni Pellegrino e i figli Maria Adele e Andrea

Emblematico ed emozionante l’incipit delle sue “confessioni”… “Quando mi ha chiamato il Nunzio Apostolico in Italia per comunicarmi la decisone del Papa, la cosa che mi ha fatto molto emozionare è che nel mio curriculum giunto sul tavolo del Nunzio, e quindi del Papa, al primo rigo era indicata la mia permanenza in Germania con i miei genitori… e mi son detto allora… il lavoro di mio padre, il lavoro di mia madre sono giunti fino a Roma… e se sono qui, nel mio piccolo, lo devo a loro… un contesto familiare molto semplice, laborioso, che è vissuto di grande fatica per portare avanti la famiglia…”.

Nel 1970 (don Giuseppe è nato il 16.3.1965) “lo strappo familiarea cinque anni mi hanno fatto iniziare le scuole in Italia”, dice.

Eugenio Fachechi

Grazie “all’arguzia” di nonno Adolfo, che comprende subito la precocità e l’intelligenza del nipote e gli fa fare “la primina con Ada Marra, che abitava di fronte alla Scuola elementare”, si iscrive direttamente in seconda elementare. Qui trova “l’ottimo uomo e maestro Eugenio Fachechi, del quale – dice – ho un ricordo straordinario… aveva un approccio paterno, umano”.

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In quei primi anni dell’infanzia comincia a farsi strada l’idea del seminario.

Frequenta la Parrocchia dove c’era “una bella squadra di ministranti con la signorina Ernesta Bray, don Salvatore… lì a me venne questa vocazione. Come venne?”.

La “signorina Ernesta” (al centro) con alcuni ragazzi dell’Azione Cattolica negli anni ’60. Sotto: Don Cesare Palma, viceparroco di Collepasso nei primi anni ’60, davanti alla grotta della Madonna di Lourdes con due ragazzi della Prima Comunione

In quei tempi era molto sentita a Collepasso, nel mese di febbraio, la tradizione della novena della Madonna di Lourdes con l’usanza di portare di primo mattino la statua nelle case dove veniva preparato un altarino.

Don Salvatore Miggiano

Una mattina, di prim’ora, “ragazzo di seconda o terza elementare”, decide di andare a messa. Nonno Adolfo e nonna Cristina (“donna molto riservata, segnata anche dalla sofferenza per la morte prematura del figlio Quintino a nove anni”), ambedue molto mattinieri, la sorella maggiore Luisa, pur meravigliati da questa decisione, non ostacolano la decisione del piccolo Giuseppe (“… andavo la mattina da solo a fare il chierichetto… anche se il parroco non conosceva ancora il mio nome…”).

Nel racconto di don Giuseppe emerge un mitico/mistico “filo mariano” che tesse e lega la sua vocazione al sacerdozio e ogni momento della sua vita religiosa. Comincia con la Madonna di Lourdes a Collepasso, da semplice chierichetto. Prosegue da sacerdote a Maglie con la Madonna Immacolata nella parrocchia di cui è stato parroco. Approda da vescovo a San Severo nella Cattedrale dedicata alla Madonna Assunta.

Entra in seminario il 5 ottobre 1975 (il giorno prima io mi sposavo ad Otranto), con alcuni giorni di ritardo.

Anche questo è un aneddoto interessante perché ce l’ho segnato addirittura sul mio corpo”, racconta.

Mi mostra il dito anulare della mano destra (“l’anello andrà proprio qui…”, dice) dove si evidenzia un piccolo callo osseo. “A casa mia si faceva e si vendeva vino e c’era la vendemmia. Pochi giorni prima dell’entrata in seminario, tornando dalla vendemmia, mi capitò un incidente. La mia mano capitò casualmente nella carolla e rischiai di perderla. Per fortuna ci fu un operaio che abitava vicino casa mia, lu Carminucciu Capirussu, che fu svelto a strappare il filo dalla presa. Insomma, entrai in seminario con la mano fasciata… e lì il percorso è continuato”.

Don Giuseppe immerge le sue memorie nel rapporto con la sua comunità di origine, dove il 1° luglio 1989 ha ricevuto l’Ordinazione sacerdotale.

Don Giuseppe il giorno della sua Prima Messa a Collepasso. Nella foto: a destra l’Arciprete don Salvatore Miggiano; a sin., l’arcivescovo emerito Mons. Romano Rossi, suo antico Padre Spirituale. Foto sotto: don Giuseppe dà la Prima Comunione alla sorella minore Cristina nel giorno della sua Ordinazione

Il rapporto con Collepasso è stato sempre un rapporto avvincente – dice -. Ho avuto sempre grandi amicizie. Allora c’era quella sana abitudine di passeggiare sulla villa comunale… lunghi giri di villa … forse oggi queste abitudini sono cambiate… e ricordo che erano belle amicizie, vere. A volte c’era anche un sano clima dialettico… ci pizzicavamo un po’ reciprocamente sulle motivazioni della vita, anche sulle mie motivazioni di fede… c’erano tra quegli amici incontri sinceri e colloqui appassionanti. Relazioni autentiche, insomma, nelle quali mi sentivo chiamato in causa come amico ma anche come seminarista… e devo dire che ad un certo punto anche le amicizie hanno avuto un ruolo importante nella mia scelta vocazionale. Perché anche davanti ai miei normali momenti di confusione, alcuni amici sono stati decisivi, senza pretesa, senza ergersi a maestri, ma semplicemente dandomi una lettura equilibrata, giusta, realistica anche di quello che era il mio futuro. Per cui io ho un immenso senso di gratitudine verso queste persone”.

Nonostante le mie insistenze, don Giuseppe non ne fa i nomi, ma aggiunge: “…chi ha nel cuore questi momenti, leggendo si ritrova…”.

Don Giuseppe, il giorno della sua ordinazione sacerdotale (1.7.1989) in una foto di gruppo con fedeli di Collepasso

Il rapporto con Collepasso significa soprattutto rapporto con la Parrocchia, solo una in quei tempi.

In preparazione del suo discorso “per i ringraziamenti a fine ordinazione… è chiaro che ringrazio tante persone, ma ne cito pochissime. Una che citerò – e non può non esserlo – è il mio parroco don Salvatore Miggiano, verso il quale ho una gratitudine davvero grande perché mi ha accolto da ministrante e mi ha condotto fino all’ordinazione”, dice commosso.

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Da ragazzo e poi giovane seminarista don Giuseppe respira “la vivacità della parrocchia”.

Don Celestino Tedesco

Come non ricordare – continua – i cosiddetti ‘giovani di don Celestino’, nei quali mi identificavo, che erano anche inseriti in un clima sociale forte, prendevano posizione… perché la Chiesa allora aveva anche queste marcature ed aveva un altro approccio con il sociale… che mi facevano capire anche la bellezza di una Chiesa che dialoga, si inserisce nel sociale e un po’ fa leva sul fatto di essere un corpo anche guidato da un carismatico come poteva essere ed è don Celestino…”.

Gli ricordo alcuni episodi del tempo e un po’ sornione aggiunge: “… apro una parentesi, io in certe feste mi affacciavo difilatamente e vedevo come erano gestite e il clima incandescente che si respirava. Voglio fare qualche esempio, che qualcuno ha rimosso. Io ero ragazzo, ma stavo lì… Franzoni, ti dice niente?… non solo questo fatto… io le antenne le ho sempre tenute accese…”.

Franzoni?!?… certo… mi dice “tanto”!

Don Giuseppe (1° a destra) in occasione dell’inaugurazione della Chiesa Cristo Re (23.11.1997) con l’arcivescovo Mons. Cacucci, l’arcivescovo emerito Mons. Franco (1° a sin.), e, dalla sua destra, don Cesare Palma, don Grazio Gianfreda, don Oronzo Orlando

La sorprendente “confessione” (ma anche altre sul mio conto che qua e là “semina”… sa tutto questo riservato “cercatore di anime”… sa pure del “Premio di Condotta” conferitomi in seminario nell’A.S. 1962-63 dall’arcivescovo mons. Gaetano Pollio…) mi riporta ad antichi ricordi, quando, in un agosto di metà anni ’70, riuscii, giovane segretario Pci, a portare a Collepasso alla “Festa de L’Unità”, in una piazza gremitissima, l’ex abate benedettino Dom Giovanni Franzoni, “cattolico del dissenso”, divenuto un “caso” nazionale perché sospeso a divinis per la sua scelta di votare per il Partito Comunista. Anche i giornali provinciali, all’epoca, ne parlarono diffusamente. Ricordo l’ampia intervista che gli fece Adolfo Maffei per “La Gazzetta del Mezzogiorno” nella sezione Pci di via N. Sauro…

… ma torniamo ai ricordi e ad alcune figure particolarmente significative della sua adolescenza/giovinezza.

Prima di tutte, un “fratello maggiore”, così lo definisce, “con il quale, a volte, uscivo la sera”, che “aveva un amico che allora era docente alla scuola professionale”.

Don Oronzo Orlando, “fratello maggiore” di don Giuseppe

Il fratello maggiore era Oronzo Orlando”, che all’epoca frequentava il seminario maggiore a Molfetta, mentre don Giuseppe, più piccolo di nove anni, il seminario minore ad Otranto. “Uscivo con lui”, ricorda, “e poi in villa c’era un amico che si aggregava. Lo nomino come lo chiamavamo tutti quanti in quel momento, Uccio Russo, il prof. Uccio Russo”.

Don Antonio Russo

Per cui – riflette – c’era questo clima bello, relazionale, che poi è fiorito ed è diventato testimonianza di fede… ho conosciuto a Collepasso i vari volti della testimonianza evangelica… perché don Salvatore Miggiano ha avuto un ruolo, don Celestino un altro, i giovani di don Celestino un altro ancora, poi la testimonianza più vicina, con cui c’era complicità, di Oronzo Orlando, Uccio Russo che vedevo che era una persona in ricerca nonostante avesse la sua professione e il suo lavoroe quindi ho sempre respirato a Collepasso un’aria di famiglia, un’aria di comunità, che chiaramente a me ha giovato molto e mi ha fatto comprendere la bellezza di spendermi per la Chiesa” e aggiunge: “È chiaro che tutto ciò non preclude, anzi necessita, della grande scoperta senza la quale non si fa nessun passo ed è la scoperta di Gesù Cristo vivo… perché quel testimone in realtà serve a questo… non parla mai di sé, ma è un semplice strumento, una sorta di indice puntato sulla bellezza di Cristo vivo e vero, risorto… i veri testimoni di fede non parlano mai di sé, ma sono come un indice puntato su Gesù Cristo…”.

… e qui don Giuseppe mi ricorda l’aforisma del dito e della luna e riporta, a mo’ di esempio concreto, un’immagine dell’arciprete don Salvatore Miggiano solitario in Chiesa… ma su questo ed altro rimando alla lettura integrale delle sue considerazioni a piè di pagina.

Mi piace, però, riportare un bel concetto che don Giuseppe esprime quando gli chiedo se la figura di don Salvatore sia stata centrale nella sua vita e nelle sue scelte.

Don Giuseppe nel giorno della sua Ordinazione sacerdotale

“…accanto a questa ci sono state tante altre figure – dice, introducendo una profonda riflessione e una bella “lezione di vita” -. Sai che nella vita non esiste, da un punto di vista sociologico, la ‘teoria della monocausa’. Nella vita è così… se uno dicesse “da qui in poi”… Faccio un esempio simpatico. Ero Cancelliere e un giorno scendevamo dai gradini della Chiesa con il Vicario don Quintino. Era estate. Ero lì da poco tempo. È stato interessante perché parlavamo della vita… c’erano confronti anche molto profondi con lui. Gli dissi “Eh, Don Quintino, ho vissuto a Roma i più belli anni della mia vita”. Lui, con la sua solita e garbata precisione, sempre pronta a puntualizzare, ha aggiunto… “per adesso”! Bellissimo questo “per adesso”… Per cui non bisogna mai enfatizzare una fase. Diceva un grande psicoterapeuta che occorre l’’‘arte della docibilità”… “docibilitas” in latino. Cosa vuol dire? Vuol dire che nel rapporto con le cose, con le persone, con ciò che si incontra, si può essere o avversativi in genere o difensivi oppure avere l’atteggiamento dell’integrazione. Per cui, addirittura ciò che è storto, ciò che è ispido, ciò che è difficoltà mi fa crescere”.

Don Quintino Gianfreda

“L’atteggiamento della docibilitas – prosegue don Giuseppe – è tra gli atteggiamenti più maturi di una persona, tra i più importanti, perché mi fa capire che io posso fare tesoro di ciò… alla fine la sintesi accade sempre nella coscienza di una persona… non posso dire che questo telefonino perché è tuo non va bene… è un telefonino, ha una caratteristica che è dissimile dalla mia. Un’altra lettura forse più facile è quella che si può chiamare la “povertà evangelica” per sentirsi ricchi di tutto e di tutti… questo è un segreto… perché se uno poi è autoreferenziale alla fine ha succubi o nemici. Questo è un rischio: di avere o succubi o nemici… e sono diritti inconsci spesso, come insegna Freud… perché capita qualche volta che uno pensa di avere amicizie, magari adesso il virtuale aiuta ad illudersi su questo, ma poi in realtà… a volte i consensi, anche plebiscitari, rischiano di non dare l’autentica verità delle cose. Io sono un po’ per il concetto greco ed ebraico di ‘verità’. In greco è ‘Alétheia’ (ἀλήθεια)… “togliere i veli, svelare”… perché la verità sempre sta nel cuore, mai nella patina. Platone diceva che le persone vanno distinte tra filodòxoi e filosòfoi. I filodòxoi sono amanti dell’opinione (spesso della sciocchezza), i filosòfoi sono amanti della sapienza. Mentre in ebraico, “Aman” (da cui viene “Amen”), la “Verità”, è lo “stare in piedi”. Non c’è il concetto di verità, c’è il verbo…”essere veri”… questa è la caratteristica bella anche della prospettiva affatto illuministica della concezione ebraica.

E conclude: “Uno dei rischi nostri, che a volte siamo fuoriclasse della parola proprio come categoria, noi che abbiamo il microfono spesso sotto mano, è quello di rimanere sul piano dei concetti. Allora occorre farsi sempre la stessa domanda, io me la faccio ogni sera prima di andare a letto… ‘quanto sono stato, sono rimasto sul piano dei concetti e quanto, invece, sono sul piano delle relazioni’… perché a volte c’è una visione ipostatizzata delle idee, che però invecchiano con noi, e il rischio qual è… di vincere, issare la bandiera sulla propria idea pensando di avere ragione ma di aver perso inesorabilmente una relazione… e quando cadono gli steccati tra persona e persona io senza accorgermene rischio di avere un cimitero accanto a me. Dico queste cose perché sono parroco da 25 anni (13 qui, 12 a Botrugno) e quindi è chiaro che parlo anche di contraccolpi perché la vita fa crescere e maturare e sono sicuro che anche questo bagaglio povero che ho potrà essere un bagaglio per aiutare a servire la Chiesa”.

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Potrei fermarmi qui, a questi splendidi concetti che fanno emergere tutta la profondità e la sapienza di un uomo e di un sacerdote di cultura e di fede che va “alla ricerca”, vocato all’incontro e al confronto, che fa della “docilitas” quasi una forma profonda di “esegesi” dell’umanità, la “chiave” per entrare nel cuore, nella coscienza e nella mente degli altri, di tutti.

Don Grazio Gianfreda

Il pensiero va inconsciamente al grande e dotto don Grazio Gianfreda, del quale don Giuseppe è stato anche viceparroco (una doverosa parentesi… il filo della “collepassesità” appare evidente e centrale nel corso di tutta la vita del collepassese don Giuseppe… i due collepassesi don Grazio e don Quintino con ruoli ecclesiastici rilevanti ad Otranto; don Cesare Palma, amatissimo e indimenticabile viceparroco a Collepasso, di cui è stato collaboratore per quattro anni a Martano; don Salvatore, don Celestino, don Oronzo, don Antonio… – … diceva e scriveva don Grazio che in tutti gli uomini vi sono i “semina Verbi”, i “semi” della Parola, cioè della Verità.

Doveroso, però, riportare alcune “confessioni” finali, che riguardano anche l’attualità delle comunità parrocchiali di Collepasso.

Don Antonio Tondi

Adesso – dice -, a Collepasso faccio solo vita familiare, come è giusto che sia. Vengo solo la domenica… anche per rispetto dei ruoli. Sono amico e fratello dei due preti che sono un grande dono per la vostra comunità, don Francesco Vincenti e don Antonio Tondi, amministratori delle due parrocchie. Due preti che si spendono volentieri, diversi, ma nella diversità si integrano e sono giovani non solo fisicamente, ma dentro….”

Don Francesco Vincenti

“Questo è molto bello – conclude -. Don Francesco è riservato, è un ragazzo che ha grande esperienza, equilibrio, sa muoversi e quando si muove agisce nelle fondamenta. È stato un po’ di anni a Botrugno e a Maglie come mio viceparroco. Sono due doni grandi per la comunità parrocchiale, che addirittura mi sembra adesso privilegiata. Perché la comunità di Collepasso è privilegiata ad avere due giovani preti così carichi di entusiasmo ai quali voglio bene”.

… “privilegiata” anche la Diocesi di San Severo ad aver avuto in dono da Papa Francesco un Vescovo e un Pastore così illuminato, dotto, semplice, profondo, umano… “segnato” sin da bambino dalla semplicità e laboriosità di papà Luigi, oggi defunto, e mamma Adele, che dal letto dell’oblio offre a Dio le sue sofferenze per questo figlio amatissimo…

… “privilegiata” anche Collepasso – dove don Giuseppe potrà sempre tornare, accolto a braccia aperte, e respirare “un’aria di famiglia e di comunità” – ad aver dato i natali al nuovo Vescovo di San Severo, che nella sua semplicità e docilitas vuole essere sempre e solo chiamato “Don Giuseppe”…

“Buon cammino”, amatissimo Don Giuseppe!

Pantaleo Gianfreda

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