“Nc’era ‘na fiata…” lu Cataninu: in memoria dell’amico e compagno Gaetano, operaio, comunista, scrittore e “cantastorie”

“Nc’era ‘na fiata…” lu Cataninu: in memoria dell’amico e compagno Gaetano, operaio, comunista, scrittore e “cantastorie”

25 Giugno 2024 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Gaetano “Cataninu” Paglialonga

Scriveva il prolifico scrittore francese Robert Sabatier, autore, tra l’altro, di “Dictionnaire de la mort”, che “La vita fa l’analisi, la morte si incarica della sintesi”.

Sin dal giorno della sua scomparsa, avvenuta il 21 giugno, mi sono detto che era mio dovere scrivere qualcosa per Gaetano, da tutti conosciuto come “Cataninu”.

Gaetano è stato amico, sodale, avversario, persona eclettica, compagno controverso di una vita. Sin dai primi anni ’70, quando, studente lavoratore a Münsingen (Berna) per amore di una bella fanciulla che divenne poi mia moglie, giravo in quei fine settimana estivi la tranquilla Svizzera in autostop con Rita per andare a trovare amici, compaesani e possibili “compagni”. Eravamo in un periodo in cui noi giovani comunisti della “generazione Berlinguer” cercavamo di costruire un forte Partito comunista anche a Collepasso, della cui sezione ero diventato segretario. Masetto e Cettu con il fratello Antonio a Delémont, Tonino a Mouthier, Cataninu a Zurigo, ecc. ecc. Erano gli anni in cui l’emigrazione era particolarmente attenzionata dal Pci e le associazioni dei pugliesi in Svizzera vicine al partito erano molto attive.

Inizia in quei primi anni ‘70 l’intenso e controverso rapporto con Gaetano e la moglie Luigina e, al loro ritorno a Collepasso (Gaetano aveva trovato lavoro a Taranto come operaio metalmeccanico), la profonda e alterna “comunione” tra le nostre famiglie. Il mio primogenito Marco e il loro secondogenito Ivan hanno vissuto in simbiosi la loro fanciullezza e continuano, seppur adulti e “accasati” con prole, a vivere l’inestinguibile e positivo “stigma” di quelli anni fanciulli.

I nostri figli fanciulli al mare

Luigina ha rappresentato per Gaetano il grande amore della sua vita, la sua vera ancora. Lei ha dedicato a lui la sua vita, tutte le sue attenzioni e cure. Nelle precarie condizioni fisiche vissute negli ultimi mesi, Luigina è stata per Gaetano “ossigeno” e “dispensatrice di vita”. La “sua grande Luigina”, conosciuta quand’era ancora bambina, ha avuto sempre un posto d’onore nelle sue rime e tanti sono stati gli slanci d’affetto e di poesia che il marito le ha dedicato. Per tutti, una poesia del 2.3.2004, in occasione del 36° anniversario di matrimonio, dal titolo significativo (cliccare su “Lode a Luigina”).

Luigina in una foto giovanile

A menti preconcette potrebbe apparire strano come uno degli “ultimi apache” del comunismo puro e duro fosse acceso “rivoluzionario” in politica e, al contempo, fortemente “conservatore” nei costumi e nelle tradizioni. Per Gaetano la famiglia era sacrosanta e veniva prima di tutto, persino prima della politica.

Gaetano e Luigina il 9 marzo u.s. e (sotto) una tenera immagine dei due in occasione dell’83° compleanno di Gaetano

L’età mi vede sempre più spesso scrivere di cari amici che “approdano al porto” (“la morte dei giovani è un naufragio, quella dei vecchi un approdare al porto” scriveva Plutarco) e in ognuno di essi mi pare di cogliere il senso arcano e profondo di quella frase… “La vita fa l’analisi, la morte si incarica della sintesi”.

Se, con lo sguardo a questi ultimi cinquanta anni, dovessi soffermarmi sull’“analisi”, di Gaetano potrei scrivere di tutto e il contrario di tutto, di cose belle e brutte, gloriose e ingloriose… ma “la morte si incarica della sintesi”. Anche perché, come scriveva Arthur Schopenhauer, “è principalmente la perdita che ci insegna il valore delle cose” e, come altri hanno scritto, “arriviamo a comprendere fino in fondo gli esseri umani ai quali siamo uniti da un vincolo indissolubile soltanto nell’attimo della loro morte”. È proprio vero.

Gaetano e il fratello Giovanni, vestiti da chierichetti, con le sorelle in una foto degli anni ’40

Ho avuto questa sensazione il 9 marzo u.s., quando, sentendo forse vicino “l’approdo”, Luigina ha voluto organizzare una bella festicciola per l’83° compleanno del marito, nato il 6 marzo 1941. Attorno a Gaetano si era riunita l’intera “tribù” familiare (dai figli ai pronipoti) e anche alcuni vecchi amici, tra i quali io e mia moglie. Segno del “valore delle cose” e del “vincolo indissolubile” che ci ha unito, nonostante passati dissapori politici (è noto che il mio originario “catto-comunismo” e la mia idea di “socialismo riformista” fossero spesso oggetto di critiche, talora aspre e violente, da parte di Gaetano). L’età porta saggezza e il tempo fa diventare limpide acque già intorbidite dalle tempeste. La “parte finale” della vita rappresenta talora un inconscio ritorno-ricongiungersi alle “origini”, fa vedere le cose belle e positive vissute insieme… la “sintesi”! Sarà per questo che Gaetano mi ha voluto alla sua ultima festa di compleanno?!?

Gaetano con familiari e (sotto) amici nel giorno del suo ultimo compleanno

Nitidi ricordi personali, archivi cartacei e i tanti files, che conservano memoria di Gaetano e della sua fitta attività, mi offrono su un “piatto d’argento” la “sintesi” di un uomo di grande vivacità e intelligenza; di una persona attenta e curiosa; di un combattente appassionato e fedele alla causa operaia; di un sindacalista duro e intransigente; di un rivoluzionario marxista-leninista che credeva nel valore demiurgico della “lotta di classe”; di un polemista acceso; di un gramsciano “autodidatta” che vedeva nella cultura il riscatto della classe operaia, di cui voleva essere “intellettuale organico”; di un comunista che non si era mai rassegnato, dopo la caduta del Muro di Berlino del 1989, alla resa della sinistra storica di fronte, a suo dire, alla pervasiva e corruttiva metastasi di un capitalismo selvaggio che avanzava “a briglie sciolte”, cui il “socialismo reale” dell’Unione Sovietica aveva sino ad allora costituito argine.

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In una memorabile “catilinaria” in versi in cui denunciava “la deriva del grande e glorioso P.C.I. negli anni ottanta”, concludeva con una nota: “… queste mie blasfeme rime vanno solo considerate come un tentativo di fermare la deriva social-liberale che comunque alla fine si è imposta. Sono stato sconfitto? Oppure ho solo perso una battaglia? Ai posteri l’ardua sentenza”.

Lasciamo certo “ai posteri l’ardua sentenza”, anche perché la storia è fatta di “corsi e ricorsi”, ma è evidente che l’attuale situazione nazionale e internazionale lascia un’amara sensazione di sconfitta (o, almeno, di “ripiegamento”) in tutti coloro che, pur da diverse prospettive, hanno creduto, come Gaetano e tanti di noi, nei valori di libertà, uguaglianza, giustizia sociale e pace incarnati storicamente dalla sinistra. Valori che Gaetano ha cercato di trasmettere a tanti giovani, che, riconoscenti, lo hanno voluto ricordare nel sottostante manifesto.

La nostalgia del ’68 e delle lotte operaie degli anni ’60-’70 furono oggetto, poetico e prosaico, della sua ultima opera, pubblicata nel 2009, che offro all’attenzione dei lettori (cliccare su “Quell’autunno caldo di 40 anni fa”).

Gaetano, come noto, era un autodidatta, amava la scrittura e le composizione in rima  per esprimere liberamente e con arguzia il suo pensiero. Una delle opere più dissacranti è stata indubbiamente “La Commedia delle sante menzogne”, di cui, pur avendo copia, non ho il file. Rimando, pertanto, grazie ad internet, alla sua lettura cliccando su “La Commedia delle sante menzogne”.

Torta con falce e martello in occasione del 70° compleanno di Gaetano

A mio parere, però, la “sintesi” più efficace è in un poema dialettale che è il suo vero capolavoro letterario. Pubblicato nel 2006, fu oggetto di successive integrazioni. Sino alla quarta edizione, la più completa, conservata nei miei files, che, se non ricordo male, non venne mai pubblicata.

In ricordo di Gaetano, ne offro copia ai lettori, pregandoli di leggere e gustare la bellezza dei versi e dei ricordi dei tempi che furono. Credo che sia una delle opere, unica nel suo genere, più compiute e meglio scritte in dialetto sul “tempo che fu” a Collepasso (cliccare su “Nc’era na fiata a Culupazzu…”).

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Significative le prime rime nell’Introduzione: “Cchiù vecchiu tìe te faci, cchiù picca poi te movi e cu l’anche e razze fiàcche, tuttu ‘ncoddu poi te throvi; cchiù ferme stannu l’anche, chiùi lu cervellu fuce e nvece cu quarda a nnanzi, sulu a rretu face luce. Cusì vitti tante cose ca m’ìa riscurdatu…”.

Foto inserita nei suoi libri

… e quelle con cui chiude l’opera: “Mo’ lu cuntu ghè spicciatu, tante cose v’àggiu cuntatu, se ùi tenìti àddhru te tire, lu putìti puru giungìre. Cu tutti sti’ lithratti e cu tutti sti’ canti, speru ca nu v’àggiu ruttu li vacanti”… per poi concludere: “E lu cuntu nu n’è cchiùi, mo’ cuntàtine n’àddhru ùi”. Questi ultimi versi declamati alla stregua dei vecchi “cantastorie” che ebbero a Collepasso l’ultima significativa figura in Alfredo Paglialunga, “cantore epico cieco e vagabondo” (secondo la definizione del prof. Bronzini), i cui “cunti” sono stati raccolti a fine anni ’70 dallo scomparso Rodolfo Mellone per la sua tesi di laurea, la cui mancata pubblicazione per responsabilità ben precise “grida vendetta verso Dio”.

Nel suo perfezionismo, Gaetano aveva tante volte corretto, limato e integrato quell’opera molto apprezzata, che fu anche oggetto di studio in alcune classi della Media di Collepasso.

Molte sono state le recensioni di amici e personalità che Gaetano volle includere nelle successive edizioni. Se avete la pazienza di scorrerle vi troverete la “sintesi” e l’immagine del vero Catanino.

Come nella mia (Gaetano aveva voluto scrivermi una significativa dedica, che riporto sopra), in cui scrivevo: “Non è un libro di poesia. D’altronde, l’autore respinge sdegnosamente l’appellativo di “poeta”. Preferisce quello più “popolare” e meno impegnativo di “cantastorie”. Almeno per quest’opera. Perché Gaetano, per chi non lo sapesse, si è già cimentato in ricerche ed opere più impegnative. Seppur semiclandestine. Che connotano, comunque, al di là dei contenuti e di alcune specifiche peculiarità e molteplici contraddizioni dell’autore, il robusto bagaglio di letture, la grande voglia di conoscenza, l’innata curiosità, la famelica aspirazione alla cultura dell’ex “operaio metalmeccanico”, “sindacalista” per antonomasia e “antitutto” per strutturazione antropologica. È, però, un’opera in versi dialettali. Dialetto collepassese. Forse, la prima opera in assoluto scritta totalmente nel dialetto del nostro paesello. Chi conosce Gaetano sa che la sua naturale predisposizione per la rima data da lungo tempo e che non sempre i suoi “culacchi in versi” sono stati apprezzati. Invece, in questa sua opera, Gaetano esprime il meglio di sé, riconduce la sua “naturale predisposizione alla rima” a narrare e “cantare”, novello “aedo”, una dimensione importante della sua/nostra vita, un patrimonio di ricordi infantili da trasmettere alle future generazioni. Si coglie all’istante la vivezza del ricordo, lo scorrere fluido del tempo e dei versi, la nostalgia distaccata del tempo che fu. Forse, del tempo che passa. Inesorabile. Senza, però, la crudeltà dell’Alzheimer dei ricordi. Che rimangono. Anche per quelli che verranno. Sin da quando mi rese partecipe dei primi versi dell’opera e, insieme al fratello Giovanni, lo incoraggiai ad andare avanti e dare alle stampe il libro, fui colpito dal piacere intenso che mi procurava la lettura di quei versi. Fluidi. Dialettali. Collepassesi. Ritmici. Filmici. Mnemonici. Ma anche disincantati. Talora, irridenti. E, però, assai partecipi. Versi che scavano nella memoria di noi cinquantenni/sessantenni e creano files di umanità vissuta per i giovani. Non solo collepassesi. Ma salentini e meridionali. Insomma, a me piace moltissimo quest’opera dell’ex “operaio metalmeccanico” Gaetano Paglialonga, “cantastorie” del nostro vissuto, crogiuolo di umanità e ricordi”.

Gaetano il 9 marzo u.s. con la torta del suo ultimo compleanno

E come (mi scusino gli altri!) non riproporre la significativa “sintesi” di Don Celestino Tedesco?

Scriveva l’amato parroco: “Si narra nella vita di Papa Giovanni che, eletto Nunzio Apostolico a Parigi, si recò all’Eliseo per porgere le credenziali al Presidente della Repubblica. Sapendo che Herriot era noto come anticlericale e mangiapreti, si sentiva imbarazzato per quell’incontro. Ma quando vide il Presidente, grosso e grasso come lui, sbottò in una battuta fulminante e faceta, che fece il giro di tutti gli ambienti diplomatici: “Eccellenza, siamo del tutto diversi io e lei. Ma qualcosa l’abbiamo in comune!” e indicò il pancione prominente che ciascuno mostrava allegramente. Ritengo che io e Gaetanino (autore del libro) abbiamo del mondo e della vita una visione diversa, ma una cosa abbiamo in comune: la passione per l’uomo e la giustizia. È la stima reciproca, pertanto, che mi spinge, richiesto, a una breve e amichevole presentazione. Che dire? Gaetanino è troppo intelligente per credersi un poeta. È un cantastorie. Fosse vissuto ai tempi dell’Omero, sarebbe stato un ottimo aedo, senza la valenza epica d’allora. Egli canta, ricorda i tempi passati. È una nostalgia della memoria… (naturalmente per certi aspetti!). La documentazione fotografica è un proprio documentario filmico di ciò che eravamo. Per i più anziani è un tuffo nella fanciullezza… e sappiamo che il tempo trascolora tutto! Per i più giovani è conoscenza di un’era che oggi sembra una favola, forse perfino incredibile. Per me quest’opera è l’ideale trasposizione, in chiave locale, di un bel libro che anni fa ebbe una grande popolarità: “Quando eravamo povera gente” di Cesare De Marchi. Bene! Auguro la stessa accoglienza e il medesimo successo!”.

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Che bella “sintesi” scrisse già allora don Celestino per Gaetano, con il quale aveva in comune “la passione per l’uomo e la giustizia”!

Chiudo lasciando la parola proprio a Gaetano con la lettera “Ai ragazzi della seconda media di Collepasso”, riportata nella copia sopra pubblicata.

Scriveva Gaetano:

Una foto di sei anni fa

Cari ragazzi, ve la voglio raccontare tutta come e perché è nata la volontà di mettere nero su bianco questi miei ricordi d’infanzia! Dopo aver intascato una pensione che senza lussi mi consente di vivere dignitosamente; avendo dei figli che hanno già imparato a volare da soli e da soli beccano qua e là quanto occorre loro per la quotidiana lotta per la sopravvivenza; sapendo bene che il mio futuro non è costellato da ostacoli, ma è fatto solo di un percorso breve, mi sono voltato indietro ad osservare da dove vengo e ho scoperto delle cose straordinarie che avevo dimenticato e che mai nella mia vita, fatta sempre di corse ad ostacoli, avevo avuto modo di ricordare. Quindi, con il senno di poi, rivivo e analizzo la mia esperienza. Una esperienza questa, comune a molti miei coetanei, e che io, a torto o a ragione, ritengo straordinaria! Perché straordinaria?

Il sottoscritto ha vissuto tre mondi diversi tra loro: fanciullezza e  pre-adolescenza in condizioni da quarto mondo; giovinezza in un mondo in via di sviluppo; età adulta in un mondo in crescita esponenziale e super tecnologica. Questo particolare mio cammino, volevo raccontarlo ai miei figli e solo a loro. Ma un giorno delle persone, delle quali avevo ed ho motivo di fidarmi, mi convincono che questa storia, così come è raccontata, merita una platea più larga.

Faccio stampare questo libro, che molti troveranno interessante e leggeranno con piacere. Che cosa volevo raccontare ai miei figli?

Chi e come paga i costi delle guerre e chi invece si arricchisce con esse; quanto e chi deve sgobbare per ripristinare i danni di una guerra; quanto la scienza, applicata alla tecnologia, ha contribuito a creare le condizioni per una vita molto più agiata; come e perché leggi e costumi vengono travolti dai modi di produzione della rivoluzione industriale. Infine, mi piace richiamare una felice espressione presente nella recensione del prof. Vittorio Errico a questi miei racconti, e con essa ricordare a tutti voi: “la freschezza dell’acqua di oggi è figlia delle pozzanghere di ieri”.

Questo intendevo trasmettere come eredità ai miei figli, non avendo altri beni da offrire loro. Se poi questi racconti possono risultare utili anche per voi, be’, allora ho superato tutte le mie più rosee aspettative. Buon viaggio, ragazzi, nel vostro tempo, e vivete intensamente e dignitosamente la vostra vita. Gaetano”.

… sembra il suo testamento!

Buon viaggio anche a te, Gaetano, nel tuo nuovo tempo…

… e grazie per quello che ci lasci!

Pantaleo Gianfreda

 


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