“La pace grida la sua urgenza”: nel 2024 spesi 2.443 miliardi di dollari in armamenti. 2025, anno di speranza?!?

“La pace grida la sua urgenza”: nel 2024 spesi 2.443 miliardi di dollari in armamenti. 2025, anno di speranza?!?

11 Gennaio 2025 0 Di Pantaleo Gianfreda

La crescita della spesa in armamenti ha toccato quest’anno la cifra record di 2.443 miliardi di dollarila pace grida la sua urgenza”, ha detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel tradizionale messaggio di fine anno.

Tra le tante considerazioni del Presidente, questa forse ha colpito in modo particolare molti cittadini.

2.443 miliardi di dollari spesi per le armi in un solo anno sono una cifra enorme e scandalosa, che “qualifica” i leader che oggi decidono i destini dell’umanità. Recentemente il neoeletto presidente americano ha persino invitato i Paesi alleati ad elevare al 5% del Pil la loro spesa per gli armamenti (oggi l’Italia ne destina l’1,75% e un punto del nostro Pil equivale a circa 15mila miliardi).

Con quella mole enorme di denaro, un ipotetico governo mondiale – o, più realisticamente, una vera ed efficace Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu) – basato sui principi di umanità e solidarietà potrebbe contribuire a risolvere in pochi anni e alla radice i tanti problemi che affliggono l’umanità (povertà, fame, sottosviluppo, ambiente, emigrazioni, immigrazioni, sperequazioni ed emarginazioni sociali, ecc.).

Il tema della Pace torna con decisione in questo inizio 2025.

La martoriata nazione ucraina ormai allo stremo delle forze, nonostante i massicci aiuti economici e militari; il massacro del popolo palestinese e le immagini devastanti dei bambini uccisi e di tanta povera gente in fuga; gli annosi conflitti e microconflitti, alcuni dimenticati, e le faide etniche in tante parti del mondo e la cupidigia dei “signori della guerra” obbligano i potenti a sedersi attorno ad un tavolo, ascoltare le ragioni di tutti, trovare la sintesi per un’umanità che senza la pace non ha futuro.

Obbligano, al contempo, anche ognuno di noi a coltivare e promuovere la “cultura della pace”.

Trump

Non ho idea di quali saranno le scelte del nuovo e imprevedibile presidente americano Trump, che se da un lato sembrerebbe propenso a chiudere subito la guerra in Ucraina, dall’altro minaccia “fuoco e fiamme” contro i palestinesi e sostegno totale al guerrafondaio leader israeliano. Certo non giocano a favore della pace le sue stravaganti dichiarazioni di annessione agli Usa di Canada, Groenlandia e Canale di Panama. Così come non sono un buon segnale le ripetute sfide alla Cina, l’individuazione di quella nazione come il vero “nemico” per gli Stati Uniti e la volontà di imporre nuovi dazi sia alla Cina che alla stessa alleata Europa, verso la quale ha dimostrato scarsa considerazione nel corso della sua campagna elettorale.

Xi Jinping

Potrebbe consolare, di contro, che il leader cinese Xi Jinping, nel messaggio di Capodanno a Putin si sia impegnato a “promuovere la pace e lo sviluppo nel mondo“. Ad essere obiettivi, la Cina, a differenza di Stati Uniti e Russia, negli ultimi decenni non è stata mai protagonista o coinvolta in conflitti o aggressioni di rilevanza internazionale, privilegiando, invece, l’arma dell’economia e degli investimenti per “conquistare” le emergenti società del Sud del mondo.

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Poi c’è Papa Francesco, vera ed unica Autorità morale in questo mondo oppresso da guerre e ingiustizie, ad elevare costantemente la sua voce per la pace e ad auspicare “segni di speranza”.

Francesco

Non a caso il Giubileo indetto per il 2025 è nel segno della Speranza (“Spes non confundit” – “La Speranza non delude”). E il “primo segno di speranza – ha detto Francesco – si traduca in pace per il mondo, che ancora una volta si trova immerso nella tragedia della guerra. Immemore dei drammi del passato, l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza. Cosa manca ancora a questi popoli che già non abbiano subìto? Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle Nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono derivare a livello mondiale? È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?”.

Ce lo ricorda sempre Papa Francesco, che spesso con le sue verità “dà fastidio” ai potenti: nessuno ha ragione quando “parlano” le armi, non esistono ragioni per giustificare le guerre!

In questi primi decenni del terzo millennio, in cui la tecnologia ha raggiunto ormai livelli impensabili, la pace nel mondo deve rappresentare l’obiettivo primario. La tecnologia può diventare strumento di pace o, al contrario, di distruzione. Sta all’uomo decidere.

Il mondo è cambiato e sta cambiando profondamente. Tanti popoli e nazioni, già sottosviluppati, si evolvono e progrediscono. Gli equilibri politici ed economici sono mutati e stanno mutando. Il mondo occidentale, impreparato a cogliere i cambiamenti ed arroccato su una presunta supremazia, perde sempre più la centralità che aveva acquisito sullo scenario internazionale dopo la seconda guerra mondiale. America ed Europa annaspano nel rivendicare una centralità che diventa sempre più opaca e non sembrano accorgersi che popoli e nazioni si ergono a protagonisti di un nuovo ordine mondiale. Cina, India, Arabia Saudita, Turchia ed altri Stati (Sudafrica, Brasile, ecc.) hanno acquisito spazi e ruoli inimmaginabili qualche decennio fa. La stessa Russia, nonostante le sanzioni decise dall’Occidente dopo l’invasione dell’Ucraina, continua ad essere uno dei protagonisti della politica internazionale e non collassa, come tanti auspicavano. Allontanata dall’Europa, si è riavvicinata alla Cina. Esclusa dal G8, aderisce oggi al Gruppo dei Paesi c.d. “Brics” in un’alleanza strategica che già oggi determina importanti scelte internazionali. I “Brics”, in cui è significativa la presenza di Cina e India, si rafforzano ed allargano la loro sfera di influenza in antitesi a quelli del G7. Se questi ultimi mantengono una leggera, seppur contestata, supremazia nei dati del Pil, i primi rappresentano circa la metà della popolazione mondiale (4 miliardi di abitanti contro gli 800milioni dei Paesi G7).

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Basti solo pensare al ruolo centrale e alla penetrazione economica della Cina, basata sul pragmatico principio di “non interferenza” nella vita politica dei singoli Stati, in gran parte dei Paesi africani (oltre che in altri Paesi del mondo), molti dei quali ne stanno risentendo in maniera benefica.

Il “modello asiatico”, secondo Federico Rampini (v. “La speranza africana. La terra del futuro concupita, incompresa, sorprendente”), si sta imponendo nell’immenso continente che si immerge in tre oceani e si affaccia sul Mediterraneo, a quattro passi da un’Europa distratta, ritratta su se stessa e appiattita su “totem” ormai anacronistici. Accanto alle grandi aziende statali e private cinesi (e anche russe e arabe) che costruiscono infrastrutture e sostengono l’economia degli Stati africani, un milione di microaziende cinesi “inseminano” in Africa esperienze e nuovi modelli di imprenditorialità e microimprenditorialità locale.

È indubbio che con i pregiudizi e senza una visione globale, reale e realistica, dei fenomeni e dei processi mondiali attuali non è possibile comprendere in quale direzione si muove l’intera umanità e quale può e deve essere il “minimo comune denominatore” che deve tenere insieme i popoli della martoriata Madre Terra.

Modelli diversi (economici, sociali e politici) si soprappongono e coesistono sullo scenario internazionale e alcuni hanno portato indubbiamente ad una maggiore emancipazione di popoli ieri nel sottosviluppo.

La rovinosa idea dell’Occidente di “esportare la democrazia” con le armi ha provocato le terribili situazioni che vivono, ad esempio, l’Afganistan o i Paesi del bacino mediterraneo, in primo luogo la Libia, che oggi subisce l’influenza russa. Non solo, ma ha persino indebolito le democrazie occidentali, soprattutto europee, sempre più alla mercé di populismi, destre estreme e persino di rigurgiti nazifascisti.

Il modello di democrazia liberale, conquista e “fiore all’occhiello” dell’Europa uscita vittoriosa dalle macerie del nazifascismo, oggi appare in crisi e non riesce a trovare una via d’uscita. Il modello di democrazia (“governo del popolo”) che ha garantito libertà e sviluppo ai Paesi europei ed occidentali viene oggi contaminata da “varianti” che la insidiano, intossicano e debilitano, quali la plutocrazia (“governo dei ricchi”), l’oligarchia (“governo dei pochi”) e, soprattutto, la socialcrazia (“governo dei social”).

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Dall’idea novecentesca della socialdemocrazia, capace di redistribuire reddito e ricchezza per tutti i ceti popolari e che in Europa ha saputo costruire “comunità modello”, si rischia di passare alla socialcrazia, dominata da plutocrati che accentrano nelle proprie mani enormi ricchezze e mezzi di informazione capaci di orientare le scelte dei cittadini e le decisioni dei governi nazionali, sempre più deboli e impreparati ad affrontare fenomeni sovranazionali derivanti da macroscopiche degenerazioni della recente globalizzazione e già prima dalla c.d. “deregulation”.

L’influenza dell’informazione e dei social nell’odierna società è diventato il tema centrale ed ancora irrisolto delle democrazie occidentali e di tutti i governi del mondo.

Il 2025 può essere l’anno della Speranza?!?

Il nuovo anno nasce ancora all’insegna delle mille contraddizioni che connotano il quadro internazionale. Eppure alcuni segnali, che provengono soprattutto da Oriente, sembrano affacciare la speranza di una pace possibile. Noi occidentali, che pur dovremmo maggiormente riaffermare e valorizzare i nostri valori di democrazia e libertà, dobbiamo essere in grado di cogliere questi segnali e capire che la pace si costruisce realisticamente guardando al nuovo ordine mondiale, che dovremmo avere l’intelligenza di favorire senza arroccarci su anacronistiche “superiorità” ed egemonie che spesso hanno generato e generano solo guerre.

Certo “fa specie” che la sinistra (non solo di casa nostra) non ponga la pace – e aggiungo “la pace ad ogni costo” – come tema centrale della sua azione politica e come condizione ineludibile per la vita e lo sviluppo dell’umanità e si perda nei labirinti di politiche “senz’anima”, miopi, appiattite su un capitalismo sempre più selvaggio e incontrollato, che non accetta o sfugge (o talora detta a suo piacimento) alle regole degli Stati nazionali e degli Organismi internazionali.

Forse, condizionati da informazioni interessate che ci propinano i media, non ci accorgiamo che l’Occidente sta rischiando di perdere questa “terza guerra mondiale a pezzi”, secondo l’opportuna definizione di Papa Francesco, che si sta combattendo in tante parti del mondo, di cui la martoriata Ucraina rappresenta il simbolo più significativo e devastante, e che nel solo 2024 ha avuto il costo di 2.443 miliardi di dollari per nuovi armamenti.

Occidente ed Oriente, Nord e Sud del mondo devono confrontarsi e legittimarsi reciprocamente, evitare l’idea, utile solo ai “signori della guerra”, di imporre i propri modelli politici, sociali ed economici.

In un mondo multilaterale e multipolare, quale è oggi, solo il confronto, l’accordo e la coesistenza pacifica possono determinare una svolta per l’umanità.

L’augurio è che questo 2025 sia almeno l’anno della speranza e che introduca al cammino verso la pace!

Pantaleo Gianfreda

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