Le dimissioni di Papa Benedetto XVI. Oltre la cronaca. Già nella storia

12 Febbraio 2013 Off Di Pantaleo Gianfreda
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Benedetto XVILe dimissioni di Papa Benedetto XVI sono già “storia”. La cronaca, in questo caso, è solo nella “fisicità” della notizia. L’eccezionalità e l’unicità della notizia la rende immediatamente “storia”.

Forse non a caso gli antichi greci raffiguravano Hermes, il messaggero degli dèi, con le ali ai piedi. Non solo perché il “volare” dava il senso della rapidità nel portare notizie agli dèi, ma anche per significare, metaforicamente, che la notizia “vola”, “fugge”, è volatile, viene dimenticata o archiviata nei mille o milioni di piccoli o grandi eventi quotidiani tra cui l’umanità e la globalità di ieri e di oggi sono sommerse.

Non tutti gli eventi entrano nella storia o fanno la storia. Gran parte finiscono nel dimenticatoio. Le dimissioni di un Papa sono “storia”. Quelle di un Papa nell’era moderna sono un evento dalle conseguenze inimmaginabili. Un “atto rivoluzionario”, qualcuno ha scritto.

L’ultimo papa si era dimesso 600 anni fa (esattamente 598), il 4 luglio 1515. Si chiamava Gregorio XII. Il contesto era profondamente diverso. Si era in pieno “scisma d’Occidente” e Gregorio XII venne eletto papa in contrapposizione ad un altro – guarda caso! – Benedetto, Benedetto XII, eletto dai cardinali francesi e residente ad Avignone.

Nella storia millenaria della Chiesa, oltre quelle di Gregorio XII, le dimissioni papali si contano sulle dita di una mano: Benedetto IX (1 maggio 1045; un altro Benedetto!), Gregorio VI (20 dicembre 1046) e Celestino V (13 dicembre 1294), il più celebre, “colui che fece il gran rifiuto”, come scrive Dante nella Divina Commedia. Dimissioni di tempi medievali, quando le notizie “si velocizzavano” al più in groppa ad un cavallo, erano sempre riservate ad una ristretta schiera e venivano nella conoscenza collettiva dopo mesi se non addirittura anni e decenni.

Oggi, nell’era della conoscenza e della globalizzazione, una notizia, soprattutto clamorosa, è contestualizzata da milioni e milioni, forse miliardi, di videospettatori e/o internauti. Il mondo si tocca con mano e si legge all’istante e la presa di coscienza dei cittadini è diretta, immediata, non mediata da interventi o condizionamenti esterni. Immediatamente i cittadini percepiscono ed esternano i loro sentimenti o reazioni.

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Ecco perché le dimissioni del Papa sono state percepite da tutti come un evento eccezionale – “storico” appunto -, da cui nessuno, tanto meno la Chiesa, potrà prescindere.

Non ho mai avuto particolare simpatia verso questo Papa. Nutrivo naturalmente profondo rispetto e considerazione per la sua alta funzione, la profonda e dotta preparazione culturale e teologica (prima sul versante progressista, ai tempi del Concilio Vaticano II, e poi su quello conservatore), per la sua mitezza di uomo e di pastore. Ma non mi entusiasmava. Avevo desiderato, come tanti, il compianto Martini come successore di Giovanni Paolo II. Si vede che i miei desideri non coincidevano con quelli dello Spirito Santo, che sa guardare molto meglio e più lontano.

Con le sue dimissioni, infatti, questo Papa “conservatore” ha compiuto un atto “rivoluzionario”. Ha “stracciato”  canoni e stereotipi consolidati. E’ proprio vero che nella storia le vere rivoluzioni sono spesso venute da chi meno ci si aspettava, talora proprio dagli stessi conservatori. Lincoln era un conservatore che si mise contro i propri grandi elettori nel perseguire con tenacia l’abolizione della schiavitù. Una rivoluzione, in quel tempo, per gli Stati Uniti. Le rivoluzioni sono come i terremoti. Accadono all’improvviso. Conseguenza di sommovimenti sotterranei non sempre percepiti. Sommovimenti che cambiano spesso la fisionomia e inducono a ricostruire nuovi modelli sull’epidermica crosta terrestre.

Non so se Benedetto XVI avesse avvertito i profondi sommovimenti del mondo moderno, anche nella Chiesa. Certo è che, con il suo gesto, ha compiuto un “terremoto” dagli esiti ancora imprevedibili. Ha reso “umana” la Chiesa e i suoi vertici, talora percepiti come lontani dal mondo, se non addirittura “tenebrosi”. Ha voluto connotare di un senso di “umanità” il ruolo di un papa, abbandonando quello della “sacralità”, che spesso indulge al “mistero” pagano. Ha fatto una scelta laica, quella che ogni persona normale farebbe. Anche un papa diventa vecchio e percepisce i suoi limiti. Benedetto ha operato una profonda cesura con Giovanni Paolo II, di cui si era sacralizzato e mitizzato l’umana, e al contempo disumanizzante, visione del Papa sofferente. “Non si scende dalla Croce”, disse quel grande papa, ammalato gravemente, poche settimane prima di morire. Non a caso alcune velate critiche sono arrivate proprio dal mondo vicino a papa Wojtila. Non c’è alcuna contrapposizione tra i due. Sono espressione di due eventi storici complementari e divaricanti. Complementari e divaricanti rispetto ad un modo di vivere la Fede e il Cristo. Il Cristo-Dio che muore in Croce. Il Cristo-Uomo del “Padre, allontana da me questo calice!” nell’Orto degli Ulivi. La “divinità”, spesso portata ad un eccesso enfatizzante e misterico. L’”umanità” che avvicina il “Figlio dell’uomo” all’uomo di tutti i giorni.

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Oggi la Chiesa non ha bisogno di miti o divinità astratti e lontani, ma di umanità viventi… di uomini tra gli uomini… anche se fa riflettere la data e le coincidenze dell’annuncio pontificio nel mentre ufficializzava la canonizzazione, che avverrà il 12 maggio prossimo, degli 800 martiri otrantini. Il martirio… Su questo concetto e significato il discorso porterebbe lontano. Certo è che per un fine teologo come Benedetto anche il gesto dirompente delle sue dimissioni dopo l’annuncio della canonizzazione di 800 martiri cristiani è un “segnale”. Capiremo meglio dopo.

Cosa farà e quale sarà ora la reazione della Chiesa ufficiale?!? Quale sarà il messaggio che vorrà dare al mondo con l’elezione del nuovo Papa?!? La storia della Chiesa, storia di uomini, è fatta di mille contraddizioni e incongruenze, ma anche, seppur in misura minore, di grandi “segni”… Tanti si augurerebbero che la Chiesa colga ancora una volta, dopo Giovanni XXIII, il “segno dei tempi”… un sentiero, ancora all’orizzonte, è stato indicato con la decisione di Benedetto XVI… speriamo che non venga subito richiuso ma reso praticabile.

Infine, mi ha fatto impressione ascoltare le dichiarazioni in televisioni di alcuni sconosciuti sacerdoti, i quali, pur scossi dall’annuncio papale, ritenevano giuste quelle dimissioni, osservando che se c’è un limite dei 75 anni per governare una parrocchia o una diocesi non si capiva perché non dovesse essere applicabile anche al “vescovo di Roma”, cioè al capo della Chiesa universale. E’ forse questo un “segno” di quanto le comunità parrocchiali di base siano molto più avanti dei vertici romani?!? Certo è che se tutti hanno sempre colto l’incongruenza del limite dei 75 anni applicabile a tutti ma non al Papa, solo un conservatore come Benedetto ha avuto il coraggio di gridare al mondo l’umanità dolente, la debolezza fisica di un papa, la sua parabola umana, uguale a quella di tutti gli uomini. Una decadenza naturale e fisiologica che non permette ad un uomo di essere sempre “condottiero”, seppur sacrale, e di guidare una grande Istituzione – “divina”, per alcuni; “umana”, per tutti – , in un mondo e in un’era non più medievale, ma ormai postmoderna. Certo, non sempre l’età è sinonimo di rinnovamento, anzi nella Chiesa i maggiore innovatori sono stati quasi sempre dei vegliardi, ma è indubbio che anche la Chiesa debba spogliarsi di una sacralità astratta, cerimoniosa ed apparente per dedicare la sua missione alla difesa della profonda “sacralità” dell’uomo e del suo diritto a vivere in un mondo migliore e uguale per tutti.

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Non ho gli strumenti per “leggere” la storia dei prossimi decenni e secoli. Certo è che il gesto di Benedetto ne segnerà il cammino. Almeno della Chiesa. E già questo ha permesso a Benedetto XVI di entrare nella Storia da “gigante”.

 


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Pantaleo Gianfreda